Le chiese evangeliche e la politica USA nel mondo arabo
di Charles Saint-Prot* - 04/12/2005
Fonte: comedonchisciotte.org
Come spingere i popoli ad uno scontro di civiltà
A partire dal 1947 numerosi capi militari e dirigenti politici statunitensi, tra cui i Bush, appartengono ad un gruppo evangelico segreto, chiamato “La famiglia”, la cui sede si trova nella proprietà dei cedri vicino al Pentagono. Dopo essersi alleata col Vaticano in America Latina contro la teologia della liberazione, quell'organizzazione dirige oggi una doppia offensiva contro cattolici e musulmani. Da essa provengono anche i principali personaggi della dirigenza politica USA; essa estende la sua influenza per il mondo attraverso i suoi missionari. Nel lavoro che vi presentiamo oggi, il politologo Charles Saint-Prot, che ha partecipato alla conferenza Axis for Peace, analizza la strategia del suddetto gruppo evangelico nel mondo arabo.
Da diversi anni l'estremismo religioso, cioè l'utilizzo della religione in funzione di obiettivi politici, è diventato elemento essenziale della geopolitica del vicino Oriente. In momenti come quelli attuali, in cui certi settori e mezzi d’informazione appioppano regolarmente tutti i problemi all'Islam, i commentatori non menzionano, tuttavia, la responsabilità delle chiese protestanti che contribuiscono all'aggravamento del conflitto.
E’ già nota l'importanza che la chiesa evangelica, conosciuta come “revivalista”, ha acquisito negli Stati Uniti, dove esercita considerevole influenza sulla politica dell'amministrazione Bush. Si sa anche che i membri di quella chiesa sono i più ferventi difensori d'Israele e che respingono ogni concessione territoriale ai palestinesi.
Gli evangelici, che s’inseriscono nell’ambito dei cristiani sionisti, gruppo fondamentalista protestante apparso verso la fine del secolo XIX e che pretende che l'istituzione di un Stato israeliano costituisca la realizzazione della profezia biblica [1], non si limitano a prestare ad Israele un appoggio morale. Il loro denaro contribuisce a finanziare la partenza degli ebrei dalla Russia e dall’Ucraina verso Israele.
Secondo il rabbino Yechiel Eckstein, che dirige una delle principali agenzie di raccolta fondi destinati ad Israele tra gli evangelici statunitensi, la sua associazione ha raccolto, in sette anni, più di 100 milioni di dollari USA [2].
Nell’ottobre 2003 estremisti sionisti ed evangelici si riunirono nell’Hotel Re David di Gerusalemme alla presenza di Richard Perle (nella foto sotto) - l’allora presidente del Consiglio per la Politica di Difesa del Pentagono ed influente consigliere di George Bush II - e di vari ministri del governo Sharon, per celebrare “la nascita della Gerusalemme celeste che avverrà dopo la distruzione dell'Islam” [3].
Si sa anche che la corrente evangelica, che dice di contare su più di 70 milioni di fedeli negli Stati Uniti e che sembra disporre di centinaia di migliaia di “pastori-propagandisti” pagati, si espande ampiamente attraverso l'America Latina (Evangelical Union of South América, principalmente in Brasile dove potrebbe avere più di 30 milioni di adepti [4]), Giappone, Africa (vedere, ad esempio, il ruolo che svolsero gli evangelici, favorevoli al presidente Gbagbo, negli eventi di Costa Marfil in Costa d’Avorio), Europa e perfino in India (Indian Missions Association – IMA) ed in Cina... Meno conosciuto è il ruolo degli evangelici nella politica degli Stati Uniti verso il mondo arabo.
È risaputo che la Casa Bianca, il Congresso e la CIA seguono e favoriscono con grande interesse l'espansione delle chiese evangeliche. L'odio che queste professano verso l'Islam, così come il loro disprezzo per i cristiani arabi, ne fanno lo strumento favorito della politica statunitense, tendente a provocare rotture all’interno del mondo arabo, per riuscire ad organizzare un “Grande Medio Oriente” interamente sottomesso all'influenza di Washington e dei suoi alleati israeliani. L'azione delle chiese evangeliche nel mondo arabo ha tre aspetti.
La propaganda antimussulmana, che conta su mezzi considerevoli ed attribuisce ai mussulmani tutti i problemi del mondo. Gli evangelici furono così i primi ad organizzare, in complicità con i neoconservatori statunitensi, i cui impegni a favore d’Israele sono ben noti, campagne tendenti ad associare Islam e terrorismo, ossia ad associare quella religione con l’ “Asse del Male”. Uno dei loro obiettivi prediletti è l’Arabia Saudita, paese contro il quale mantengono una campagna costante mentre, contemporaneamente, incitano certe confraternite a seminare la divisione religiosa all’interno del regno.
L’utilizzazione delle comunità arabe cristiane che attualmente si sviluppano in Libano, Palestina, Siria ed Iraq.
In Libano, missionari evangelici percorrono il paese ogni estate seguendo un itinerario tracciato in collaborazione con l'ambasciata degli Stati Uniti. Gruppi di giovani organizzano concerti, festival, incontri nelle spiagge, prima di passare a riunioni più precise destinate a convincere i giovani cristiani, soprattutto i maroniti, ad unirsi alla chiesa evangelica offrendo loro il pagamento degli studi, visti per andare negli Stati Uniti ed ogni tipo di vantaggi.
Quelle attività vengono accompagnate da un forte proselitismo antimussulmano, che ha molto a che vedere con l'aggravamento del confessionalismo nel paese dei cedri [5]. Gli evangelici usano quegli stessi metodi in Siria, anche se in modo più discreto per via della vigilanza delle autorità.
In Iraq i missionari delle sette evangeliche arrivarono con le truppe statunitensi ed oggi godono di una grande influenza. A suon di dollari si sforzano di conquistare i cristiani iracheni, affinché abbandonino le loro pratiche tradizionali, di carattere orientale ed arabo, e si stabiliscano in comunità separate.
Gli argomenti sono sempre gli stessi: si tenta d’incitare i cristiani arabi all'abbandono della loro religione tradizionale in cambio di un impiego, di sovvenzioni per i loro figli o d’una promessa di concessione di visti. Così come il Vaticano, le chiese tradizionali irachene denunciano il pericolo che rappresentano gli evangelici statunitensi, alcuni dei quali sono stati giustiziati dalla Resistenza.
Il sacerdote del villaggio cristiano di Ain-kawa, vicino a Mosul, dichiara: “Durante le cerimonie religiose spieghiamo ai fedeli che tali missionari sono in realtà agenti statunitensi che tentano di corrompere gli iracheni col loro denaro, stranieri che vogliono farla finita con la nostra storia e provocare conflitti confessionali in Iraq.
Insistiamo affinché i fedeli non accolgano quella gente nelle loro case, né in luoghi dove si riuniscano i loro figli”. I cristiani iracheni affermano che gli evangelici “non soltanto possono causare la dispersione dei fedeli, bensì anche creare un clima di scontro confessionale prima inesistente in Iraq. Quegli stranieri cercano di perturbare le nostre buone relazioni coi mussulmani e di porre fine ad un clima millenario di comprensione” [6]. Un processo simile punto per punto si sviluppa nella Palestina occupata, dove gli evangelici compiono sforzi consistenti per conquistare fedeli e persuaderli poi ad abbandonare il paese.
In terzo ed ultimo luogo, il lavoro di conversione di musulmani costituisce l'aspetto più spettacolare dell'attività degli evangelici.
La strategia statunitense di evangelizzazione diretta verso i popoli mussulmani conta sull'appoggio di vere e proprie reti, così come sull'elaborazione di un messaggio evangelico adattato al messaggio coranico.
Quel tipo di evangelizzazione ha per bersaglio specifico certe comunità musulmane, le cui origini etniche potrebbero essere sfruttate nel quadro di progetti secessionisti ed antiarabi, come nel caso delle minoranze curde in Iraq e Siria, come i kabyle ed i berberi nel Maghreb.
Secondo il quotidiano algerino Al Watan [7] l'evangelizzazione in Kabylia è “il risultato di un proselitismo organizzato e finanziato da una strategia di evangelizzazione dei popoli mussulmani. In Algeria gli evangelici sfruttano il fattore umanitario e scelgono i loro obiettivi tra la gente più svantaggiata, persone che si convertono al cristianesimo per denaro (2.000 dinari, l'equivalente di 20 euro), per ottenere assistenza medica od in cambio di visti per andare all’estero, giacché le cancellerie europee concedono più facilmente visti d’ingresso nell’area di Schengen agli algerini che si presentano come cristiani “perseguitati”. Oltre il 74% delle persone che assistono alla messa, lo fanno soprattutto per ottenere l'aiuto finanziario dei missionari”[8]. Una delle azioni più recenti della chiesa protestante a Costantina fu rivolta agli studenti della scuola secondaria, offrendo loro “un sostegno scolastico gratuito. Oltre alle lezioni proposte, gli alunni ricevettero CD, libri ed altri materiali di propaganda evangelica. Questo stesso procedimento venne utilizzato a Tiaret ed in altre città ” [9].
Secondo le informazioni in nostro possesso, i “diplomatici” dell'ambasciata statunitense in Algeria visitano frequentemente i territori kabyle e spronano il proselitismo evangelico.
In Marocco un'infinità di organizzazioni evangeliche, in maggioranza statunitensi, operano in modo più o meno nascosto nelle regioni povere così come nelle grandi città. Un'organizzazione come Arab World Ministries, società missionaria evangelica internazionale, ha per obiettivo ufficiale “l'annuncio della Buona Novella di un Salvatore ai musulmani del mondo arabo”.
Quella chiesa sembra disporre di oltre 800 agenti clandestini, più del triplo di quelli che aveva nel 2002. Questi si presentano variamente camuffati da medici, infermieri, operatori umanitari, maestri, ingegneri e perfino da impresari [10]. Nel gennaio 2005, durante la visita in Marocco del predicatore evangelista e presentatore televisivo Josh McDowell, come rappresentante della Crusade for Christ International (7.000 volontari nel mondo), la pubblicazione Journal-hebdo parlò di “Marocco preso d’assalto da neoprotestanti statunitensi” [11].
Al lavoro degli evangelici USA si somma la propaganda di numerose stazioni radio e televisive che godono dell'appoggio degli Stati Uniti, soprattutto del Congresso e della CIA, come Radio El Mahabba, che trasmette 24 ore su 24 mediante il canale audio del satellite Eutelsat Hotbird 3, la catena CNA-Channel North África, Arabvision, Life-TV, Miracle Channel, ecc., per non parlare della catena statunitense di propaganda in lingua araba Al Hurra.
Il proselitismo evangelico s’inserisce anche nei progetti di programmi per lo sviluppo di Internet, come il programma Globale Internet Policy Iniziative (GIPI), intrapreso dal Dipartimento di Stato nel quadro dell'Iniziativa di Associazione del Medio Oriente (MEPI), che già si estende all’Algeria, Tunisia, Marocco, Egitto, Siria, Libano, Giordania, Iraq, Arabia Saudita, Bahrein, Kuwait, Oman, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Yemen e Palestina.
Ovviamente tale azione di presunta evangelizzazione, fomentata, finanziata e protetta dal governo di Washington, non risponde ad alcun sentimento religioso sincero. Il suo obiettivo è creare focolai di discordia all’interno dei paesi arabi, allo scopo di destabilizzarli ed indebolirli. Il suo sviluppo attizza artificiosamente lo scontro di civiltà e s’inserisce nel quadro del progetto avviato dall’11 settembre 2001 per demonizzare l'Islam. E’ semplicemente parte della politica USA tesa a rimodellare il “Grande Medio Oriente” e ad estendere l'egemonia statunitense.
*Charles Saint-Prot è Direttore del “Observatoire d'études géopolitiques”.
Fonte: www.rebelion.org
Link: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=23115
- 22/11/2005
Traduzione a cura di ADELINA BOTTERO E LUCIANO SALZA
Note:
[1] Donald Wagner in Daily Star (Beirut), 8 ottobre 2003.
[2] Fonti: Radio-Canada, programma “Zone libre” del 23 gennaio 2004: “Les chrétiens sionistes”
[3] Vedere nostro articolo "Sommet historique pour sceller l'Alliance des guerriers de Dieu”, Voltaire, 17 ottobre 2003.
[4] Cfr Le Monde, 7 maggio 2005: “L'Église brésilienne face à la montée des évangélistes”.
[5] Testimonianze raccolte in Libano...
[6] Cfr Hebdomadaire Magazine, Beirut.
[7] Al Watan, 26 e 27 Luglio 2004.
[8] Algeri (AP), 15 maggio 2004.
[9] Quotidiano algerino Le Jeune Indépendant, 16 agosto 2004.
[10] Quotidiano marocchino Le Matin, 17 marzo 2005.
[11] Vedere Le Journal-hebdo dell’8 gennaio 2005.