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Piogge inutili

di Mario Tozzi - 03/05/2007

Le piogge di questi giorni mitigheranno il problema della siccità del nostro Paese, ma certamente non lo risolveranno, viste le condizioni del territorio, lo stato dei fiumi e lo spreco continuo della risorsa acqua in Italia. Il tutto in un contesto internazionale in cui manca una strategia che permetta di affrontare efficacemente il surriscaldamento atmosferico, evidente concausa dell’attuale siccità: probabilmente alle nostre latitudini pioverà ancora meno nel futuro, ma non ci si preoccupa di alcuna prospettiva d’intervento a medio termine. La piovosità media italiana è ancora sopra la media europea (1000 mm di pioggia all’anno contro 650), ma già ora la gran parte della pioggia evapora quasi immediatamente: quanto più farà caldo tanto più il processo sarà rapido, nonostante l’acqua complessivamente in circolo sia sempre la stessa.

Il territorio italiano è però radicalmente cambiato negli anni, in particolare sono aumentate le superfici occupate da asfalto e cemento (il ritmo di cementificazione è, grosso modo, di 150 mila ettari l’anno), cioè quelle virtualmente impermeabili. In pratica città, impianti industriali e strade impediscono oggi alle piogge di ricaricare la vera risorsa idrica del Paese, le falde acquifere profonde dove l’acqua s’infiltra, scorre e riposa protetta. L’acqua che beviamo ogni giorno è, nella gran parte dei casi, quella delle falde sotterranee, piuttosto che quella dei fiumi, come spesso erroneamente si crede.

Siccome i tempi di ricarica delle falde sono lunghi, anche una grande quantità di pioggia non si trasferisce immediatamente in profondità. Ma se l’acqua è costretta a scorrere in superficie, invece che infiltrarsi nel sottosuolo, gonfierà solamente i corsi d’acqua e finirà più rapidamente in mare, incrementando semmai il rischio di alluvioni e tracimazioni.

È cambiato anche il tipo di precipitazione: la quantità d’acqua che oggi piove in qualche ora un tempo cadeva in un paio di giorni, avendo tutto il tempo per infiltrarsi in profondità. Le pioggerelle fini sono state sostituite dagli acquazzoni abbondanti, che spesso provocano le cosiddette flash flood, le alluvioni improvvise, che hanno già fatto i loro danni e le loro vittime in Italia (Versilia, Ofanto).

Se arriva meno acqua alle falde il nostro prelievo resta, però, insostenibile: siamo i maggiori consumatori d’acqua d’Europa (terzi nel mondo dopo Stati Uniti e Canada), prelevando ogni anno circa 980 metri cubi a testa, una quantità spaventosa. Ma, mentre i nordamericani prelevano risorse realmente disponibili, noi attingiamo direttamente alle cosiddette acque verdi, cioè quelle la cui ricarica è più lunga e difficile.

Sappiamo che la voragine che spreca acqua in Italia non è né l'industria né l’uso civile nelle case, ma la campagna, con oltre 25 km cubi di acqua dispersa ogni anno. E siamo consapevoli che la rete idrica italiana sarebbe ottima: oltre 230 corsi d’acqua principali, più di 50 laghi, quasi 200 bacini artificiali, più una trentina di paludi costiere di rilievo e un centinaio di foci fluviali con bacini di alcune decine di km quadrati. L’acqua in Italia c’è, ma noi la sprechiamo troppo.

Poi c’è un problema molto serio di gestione dei fiumi. Spinti dalla paura delle alluvioni in Italia si è operato sui fiumi esclusivamente in maniera ingegneristica: alvei sempre più stretti e irregimentati per consentire una più rapida evacuazione delle piene. Così l’acqua di pioggia arriva sempre più velocemente ai fiumi che la portano a mare sempre più in fretta, senza peraltro evitare i colmi di piena. Né si possono trascurare le dighe. In Italia si contano circa 8.000 bacini artificiali, che significa altrettante dighe in cemento o in terra, di cui almeno 1.600 più alte di 10 metri. Le dighe rubano acqua ai fiumi costituendo riserve che non sono neppure sufficienti in tempi di siccità e si interrano in 30-40 anni dopo aver sottratto per sempre territori fertili agli usi sostenibili. Ci sarebbe un sistema per recuperare i fiumi italiani: lasciarli in pace, liberare le aree golenali dagli insediamenti antropici, rinaturalizzare le sponde, lasciarli liberi di sfociare dove vogliono (oggi spesso non arrivano neppure al mare) cancellando argini di cemento e canali inutili.

L’approccio meramente infrastrutturale non funziona per i bacini idrogeologici e per l’acqua. A ciò si aggiungono i prelievi illegali (sono oltre un milione e mezzo i pozzi non censiti) o gli sfruttamenti assurdi, come i 90 milioni di metri cubi di acqua buttati nell’innevamento artificiale dell'arco alpino o, non ultima, la mancata applicazione delle direttive quadro europee (Acqua 2000/60/CE). E, infine, la frammentazione delle competenze sulla risorsa acqua, che in Italia dipende da istituzioni, enti, consorzi, uffici e assessorati fra i più diversi. Anni fa sono state istituite le autorità di bacino che dovevano avere un ruolo centrale, controllare e verificare l’efficacia delle azioni intraprese. Quasi tutti i Comuni che avevano invocato a gran voce l’istituzione dell’Autorità di bacino del Po dopo le alluvioni del 2000 e del 2004 ne hanno contestato addirittura le competenze una volta che venivano imposti vincoli e limiti per rinaturalizzare il fiume.