Pace-maker antidepressivo
di Francesco Raiola - 07/05/2007
«Lo hanno già battezzato ‘intervento anti-suicidio’».
E’ l’ultima speranza possibile per chi, di speranze, non ne aveva più.
All’ospedale Molinette di Torino, un’équipe di neurochirurgia ha impiantato su un paziente affetto da depressione grave il primo pace-maker in grado di restituire il tono dell’umore con la stimolazione dei circuiti cerebrali.
Un apparecchio poco più grande di una moneta, collegato a un elettrodo con tre sensori che viene avvolto al nervo vago, il nervo che arriva dai visceri, passa attraverso il collo e raggiunge diverse aree del cervello...
Spiega il professor Bogetto, primario di psichiatria: «La depressione non è da confondere con la tristezza esistenziale o con un calo momentaneo dell’umore. E va detto anche che questo impianto è destinato solamente a quei pazienti che non reagiscono alle cure tradizionali»...
Se un tempo si pensava che all’origine della depressione ci fosse una predisposizione genetica, «Oggi - sottolinea Bogetto - si sa che le cause scatenanti sono soprattutto ambientali, e il ‘carico genetico’ è del 40%’». (1)
La notizia è di qualche giorno fa.
La depressione, altrimenti nota come il «male oscuro» del secolo è «un disturbo sempre più presente nel quotidiano, una malattia subdola che può comparire a tutte le età e, se non curata, può assumere un andamento cronico con gravi conseguenze in termini di prospettive e di qualità di vita. Nei soggetti colpiti l’esistenza diviene dolorosa, incolore, pessimistica, gli stessi movimenti sembrano rallentati; il sonno non è più regolare, l’appetito scompare o può diventare eccessivo, diminuisce il desiderio sessuale» (2); certamente merita attenzione e studio approfonditi da parte di competenti esperti dei diversi settori delle scienze; tuttavia può essere oggetto anche di una nostra riflessione.
«Dio è luce e in lui non ci sono tenebre. Se diciamo che siamo in comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, mentiamo e non mettiamo in pratica la verità. Ma se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù, suo Figlio, ci purifica da ogni peccato. Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se riconosciamo i nostri peccati, egli che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci purificherà da ogni colpa. Se diciamo che non abbiamo peccato, facciamo di lui un bugiardo e la sua parola non è in noi». (1Giovanni 1, 5-10).
Se Dio è luce (come è), la tenebra, intesa come oscurità spirituale, male fisico e morale, tristezza del cuore, peccato, rifiuto di Dio, non può venire da Lui, ma deve intendersi piuttosto come una sua assenza; il buio si fa, quando, appunto, manca la luce.
Ogni male viene dal peccato e Dio non ha creato l’uomo per l’infelicità o la mestizia, ma per la vita e la beatitudine; l’uomo è stato creato soltanto per Dio, per partecipare di quel che Lui è, della sua vita perenne ed eterna e della sua felicità senza misura; «Se il tuo occhio è sano, anche il tuo corpo è tutto nella luce; ma se è malato, anche il tuo corpo è nelle tenebre. Bada dunque che la luce che è in te non sia tenebra. Se il tuo corpo è tutto luminoso senza avere alcuna parte nelle tenebre, tutto sarà luminoso, come quando la lucerna ti illumina con il suo bagliore». (Luca 11, 34-36).
Dio è felice; Dio è infinitamente felice ed il suo amore sconfinato vuole che altri godano di tale gioia.
«E Dio - che ha in sé, da sé e per sé, tutto ciò di cui potrebbe aver bisogno essuto e posseduto in infinità di esserselo e possederlo, senza che nessuno Gli possa aumentare, togliere o diminuire la felicità essenziale che in gaudio eterno si è - vuole, in un desiderio volitivo del suo infinito potere, creare esseri che lo partecipino, per la manifestazione magnifica dello splendore della sua gloria. ‘Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza’; ‘Per diventare partecipe della Natura divina’». (3)
Ora, il peccato - la libera scelta dell’umanità, che in Adamo ed Eva scelse la morte e non la vita,
l’«io» e non Dio - ha provocato la catastrofe esistenziale in cui vive immerso ogni essere umano dal suo concepimento fino al trapasso.
Premesso questo, possiamo inquadrare molto genericamente il problema della depressione.
Si tratta di una sorta di «apatia esistenziale»; una specie di scelta «pro morte», un atteggiamento decisionale di fondo votato alla propria autodistruzione.
La depressione sembra essere solo una specie di manifestazione fisica di alcuni effetti tipici e deleteri del peccato; quest’ultimo infatti rappresenta certamente una scelta contro la vita (la vita eterna, in particolare): «dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti» (Genesi 2,17), che, in ultima analisi, mena al dolore, alla sofferenza, alla tribolazione ed infine alla morte (polvere sei ed in polvere tornerai); l’uomo che pecca sceglie (spesso inconsapevolmente) di farsi del male, perché rifiuta il bene, Dio stesso, e si pone quindi in condizione di accettare tutte le conseguenze che possano scaturire da questa presa di posizione.
«Ed era notte» (Giovanni 13,30).
Il peccato è, in fin dei conti, sempre, una opzione suicida.
Questa è un’affermazione «sperimentabile»; il frutto del peccato non coincide mai con la vita e con la felicità, ma genera sempre tristezza ed angoscia.
Il cuore dell’uomo, creato per colmare le ansie d’infinito che porta dentro, niente meno che bevendo alle sorgenti della vita, si ritrova stordito dal narcotico del peccato (il quale in sé, essendo sempre «uso di cosa creata», è capace di dare una certa soddisfazione, benché effimera, se non è secondo il destino e l’ordine per cui è stata creata) e quasi incapace di orientare diversamente la propria decisionalità intellettiva; il reiterarsi del peccato porta alla sclerocardia, la quale a sua volta, mena alla tristezza e alle tenebre.
Per l’uomo non c’è altra capacità di riempire se stesso della luce e dell’amore di cui abbisogna se non partecipando della vita di Cristo; è Cristo che ha vinto e vince radicalmente ogni male (anche il male oscuro) in maniera definitiva ed irreversibile; è Cristo che, nell’infinita potenza della sua parola, è in grado di sedare le tempeste del nostro cuore agitato.
Tuttavia è necessario accorrere all’affluente della divinità che dal suo costato aperto gronda a beneficio di tutto il genere umano.
E’ per questo che il cristiano non può conoscere depressione; il cristiano non può essere una persona triste.
Sempre pronto a dare ragione della speranza che dimora nella sua interiorità, adorando Cristo, nel cuore, deve vivere conseguentemente al comando paolino: «siate sempre lieti».
Deve a tal segno appartenere a Cristo, identificarsi in Cristo - per processo osmotico - da essere perfettamente compenetrato della sua divina presenza, «fino alla fine», sino alla radice del suo essere ed esistere.
Ma per fare questo, il cristiano non si può illudere di autoconvincersi, sviluppando una specie di processo interno autocognitivo (magari quasi fosse un percorso iniziatico); deve, invece risalire all’esperienza fondante della sua esistenza, attraverso un processo di autocritica costruttiva, fondata sull’oggettività della parola di Dio, della verità, e provata a fuoco nelle viscere della propria anima, in quella lotta interiore quotidiana, che implica un’autentica vita di preghiera.
Se il cristiano non pregherà e non imparerà a pregare, non «saprà» del vino nuovo che Gesù è in grado di elargire senza misura, capace di donare vigore e vita, anche fisica, alla persona; Gesù, unica vera felicità del cuore, capace di donare l’acqua che sgorga e zampilla per la vita eterna; capace di saziare le ansie di tutti coloro che cercano invano di riempire le loro cisterne screpolate nell’arsura della vita.
E’ un dato certo; la diffusione dei sintomi depressivi aumenta; questo fenomeno è in stretta correlazione con l’abbassamento del livello spirituale dell’umanità; prova del fatto che più si vive di Dio, meno si soffre l’abbandono e la solitudine del peccato.
Gesù ha vissuto questo, per noi, «Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?» (Matteo 27,46). Gesù arriva fino alla fine a bere la feccia del calice che il Padre, a nostro beneficio, non volle far passare lontano da Lui, e sperimenta sulla propria pelle lo stesso rifiuto che Dio ha del peccato, vivendo un’impossibile lacerazione interiore tra ciò che era e ciò che portava in sé; ma il suo senso di abbandono è vicario, vittima per noi, peccatori, sperimenta l’effetto del peccato, pur non essendone responsabile.
E, tra decadimento spirituale ed oblio della preghiera personale vige una correlazione strettissima ed evidente.
L’uomo che non prega si abbrutisce al punto da non sentire neppure più la propria dimensione spirituale come qualcosa di «reale»; anzi, al punto da riuscire a negarla o a negare Dio stesso.
Se vogliamo tirare le nostre conclusione sillogistiche, potremmo dire che la depressione aumenta, laddove diminuisca la preghiera; se l’uomo non prega, perde il proprio contatto con Dio, con Cristo e non può beneficiare degli «effetti» della sua presenza, ristoratrice e foriera di vita, di amore, di pace e di gioia.
Ora, lungi dall’affermare che ogni persona depressa sia una peccatrice impenitente, è certo che chi prega può attingere con forza alla vita dello Spirito, capace di rigenerare e rinnovare ogni cosa sulla faccia della terra.
Questo, solo uno spunto di riflessione e contemporaneamente un invito affinchè ognuno di noi (bisognoso e mendicante), davanti al silenzio di un tabernacolo o stringendo un rosario tra le dita o facendo riecheggiare nel petto il nome santissimo di Gesù, si lasci impiantare il vero pace-maker antidepressivo, antimalumore ed antitristezza; l’unico della cui efficacia certificata non è possibile dubitare, se non da chi non abbia mai avuto esperienza di Lui.
«Ho cercato il Signore e mi ha risposto e da ogni timore mi ha liberato. Guardate a lui e sarete raggianti, non saranno confusi i vostri volti. Questo povero grida e il Signore lo ascolta, lo libera da tutte le sue angosce. L’angelo del Signore si accampa attorno a quelli che lo temono e li salva. Gustate e vedete quanto è buono il Signore; beato l’uomo che in lui si rifugia». (salmo 33)
«In te mi rifugio, Signore, ch’io non resti confuso in eterno. Liberami, difendimi per la tua giustizia, porgimi ascolto e salvami. Sii per me rupe di difesa, baluardo inaccessibile, poiché tu sei mio rifugio e mia fortezza. Mio Dio, salvami dalle mani dell’empio, dalle mani dell’iniquo e dell’oppressore. Sei tu, Signore, la mia speranza, la mia fiducia fin dalla mia giovinezza. Su di te mi appoggiai fin dal grembo materno, dal seno di mia madre tu sei il mio sostegno; a te la mia lode senza fine». (salmo 70)
Note
1) tratto da «L’antidepressivo? Un pace-maker», LaStampa.it
2) tratto da http://www.salus.it/psichiatria/depressione_neuroscienze.html
3) tratto da http://www.laobradelaiglesia.org/ita/escritos/len/italen08.pdf