Ecosistema e civiltà
di Edward Goldsmith - 09/09/2005
Fonte: Edward Goldsmith
Un ecosistema in fase pionieristica, cioè ai primissimi stadi del suo sviluppo, dopo aver subito una discontinuità naturale (eruzione vulcanica, terremoto ecc ... ) o prodotta dall'economia umana (sviluppo industriale, disboscamento, costruzione di una grande diga ... ) presenta un insieme di tratti strettamente legati. In un certo senso è il meno vitale degli ecosistemi, quello in cui i caratteri distintivi della vita appaiono meno evidenti, per la semplice ragione che non hanno avuto il tempo di manifestarsi.
Fra le altre cose, un ecosistema pioniere si dimostra molto produttivo, il che è apprezzabile per la società moderna produttivista, che ne può prelevare la biomassa, apparentemente in eccesso, trasformarla e metterla in vendita sul mercato internazionale. Il motivo per cui è così produttivo è che le piante pioniere, molto vigorose, crescono in un ambiente semplificato, relativamente aleatorio, libero dalle costrizioni tipiche degli ecosistemi organizzati. Fin dal primo momento i processi naturali di guarigione sono all'opera per permettere all'ecosistema di raggiungere le diverse tappe della successione ecologica verso lo stadio climax.
L'ecosistema climax, invece, è pochissimo produttivo di biomassa in eccesso, perché è lo stadio più stabile nelle condizioni particolari e perché, una volta raggiunto, la successione si ferma. Nel mondo naturale in effetti, nessun processo continua indefinitamente, tutti si trovano circoscritti in un ciclo di azioni e reazioni. Nell'ecosistema giunto allo stadio climax (cioè a maturità), i cambiamenti si riducono allo stretto necessario per la manutenzione e le riparazioni dell'immensa vitalità che contiene. Lo scopo non è la produzione in eccesso.
Gli ecosistemi pionieri presentano altri tratti così strettamente legati che la presenza degli uni implica quella degli altri. Vi si trova poca diversità e organizzazione. Di conseguenza i loro elementi costitutivi sembrano disposti in disordine, a caso. Inoltre sembrano isolati, suscettibili di uno studio riduzionista, vale a dire individuale. Questi componenti sono anche competitivi, giacché affrancati dalle costrizioni della partecipazione alla coesione con l'insieme, che sono costrizioni interne, autoimposte. Solo si esercitano le pressioni esteriori: competizione, predazione e la cosiddetta gestione (management), né raffinata né efficace. La storia degli ecosistemi pionieri si trova dunque punteggiata di discontinuità notevoli, spesso imprevedibili, alle quali si adattano solo con cambiamenti strutturali di grande ampiezza (caduta e esplosione di popolazioni).
Caso, individualismo, competizione, controllo esterno approssimativo e instabilità, queste sono le caratteristiche tipiche dell'ecosistema pioniere; quelle di un mondo in cui le caratteristiche degli esseri viventi restano in germe. Questi tratti sono anche distintivi della società e dell'ambiente degradato di oggi, risultati inevitabili dell'avanzamento industriale che a torto ci viene insegnato a identificare col progresso. Sono le caratteristiche di quello che Eugene Odum chiama un dis-climax.
Le caratteristiche di un ecosistema climax sono diametralmente opposte. Un simile ecosistema è ordinato e il suo comportamento è teleologico, cioè orientato a un fine, quanto meno quello di mantenere l'ordine generale dell'ecosfera. Gli individui vi si integrano a diversi livelli di organizzazione, nel caso della nostra specie: la famiglia, la comunità locale e poi la società.
L'ecosistema nello stadio climax, inoltre, dispone di notevoli capacità di autoregolazione per ammortizzare l'impatto delle discontinuità, esterne o interne, sia modificando l'ambiente per proteggersi dai suoi rigori, sia aumentando la propria resistenza alla rottura. Le due strategie proteggono la sua struttura di base dal cambiamento, aumentando la stabilità - o omeostasi - dell'ecosistema. La sua sorte, di conseguenza, dipende molto meno da un gioco brutale di forze esterne.
Ordine, teleologia, integrazione, cooperazione, contributo al mantenimento dell'ecosfera. Stabilità e controllo interno caratterizzano l'ecosistema allo stadio climax, ma essi caratterizzano anche le civiltà umane naturalisticamente più evolute, capaci cioè di rispondere alle proprie aspirazioni sociali e spirituali in un ecosistema climax senza degradarlo.
Quelle che rispondono particolarmente bene a questa descrizione sono le comunità di cacciatori-raccoglitori. Le popolazioni forestali che praticano l'agricoltura itinerante sui bruciati sanno quasi altrettanto bene muoversi in un ecosistema climax senza distruggerlo. Coloro che passano per essere i più arretrati si trovano dunque vicino al vertice della maturità ecologica, biologica e sociale. Chiaramente qui si tratta di comunità che possono godere di un ecosistema climax già dato alla cui stabilità contribuiscono con la propria forma di vita.
Un livello ancora più alto si potrebbe considerare quello delle comunità umane che, per rispondere alle proprie aspirazioni sociali, morali e spirituali, riescono a portare un ecosistema, in un tempo significativamente più breve di quanto farebbe la natura lasciata a se stessa, dallo stadio pionieristico allo stadio climax. Si tratta, come nell'oasi, partendo da una situazione di disastro naturale di rendere la terra abitabile per il maggior numero di forme di vita, che perciò si sentano arricchite dalla presenza umana. È il compito della simbiosi su cui si misura il livello di maturità e che impone una conversione profonda dell'organizzazione sociale ed economica attuale.
Può esservi una crescita spirituale umana senza conseguenze per l'ecosfera? Individualmente sì, ma certamente no sul piano sociale. Il livello di una società e la sua stessa capacità di sopravvivenza si misura nei suoi rapporti con la natura.