T.A.V. in Val di Susa. Un buio tunnel nella democrazia
di Marco Cedolin - 27/01/2006
I contenuti del libro T.A.V. in Val di Susa
Prefazione di Massimo Fini. Una rivolta legittima e localista
Introduzione
LA STORIA
La storia della TAV in Valle di Susa
GLI ULTIMI MESI
La battaglia del seghino
Lo sciopero
Le notti di Venaus
La reazione della Valle
LE RAGIONI DEL SISTEMA TAV
La motivazione ecologica
La motivazione occupazionale
Motivazioni economiche della nuova linea alta velocità/capacità Torino – Lione
Il corridoio 5
I traffici commerciali
Alternativa della linea storica
La situazione attuale delle ferrovie italiane
ECOLOGIA
La Valle di Susa
Problemi idrogeologici
Materiali di risulta
L’amianto
L’uranio
Il radon
Le olimpiadi
POLITICA
Politica e democrazia rappresentativa
I media
Politica e grandi poteri
Le grandi imprese
La democrazia partecipata
CRESCITA E DECRESCITA
La Crescita infinita
Decrescita e futuro
I PROSSIMI MESI
Scanzano e le scorie nucleari
Gli operai dei Melfi
Acerra e l’inceneritore
Forlì e gli inceneritori
Tanti ciottoli uniti formano una strada
Marco Cedolin
T.A.V. in Val di Susa. Un buio tunnel nella democrazia
Edizione Arianna/il la CONSAPEVOLE 2006
Pagg. 136 – Euro 10,50
I progetti, i costi e i benefici della costruzione delle linee ferroviarie per i treni ad Alta Velocità/Capacità, una serie di opere faraoniche che sono inutili dal punto di vista economico, ecologico e strategico. Per sostenere tali opere la collettività sarà costretta a pagare oltre 2 miliardi di euro ogni anno almeno fino al 2040, impegnando in questo modo i nostri figli e nipoti a una serie di sacrifici che, con tutta probabilità, non saranno in grado di sostenere. Il progetto della linea ad Alta Velocità/Capacità Torino – Lione ha suscitato una mobilitazione locale e popolare contro la TAV, che va oltre i confini nazionali. Portata avanti dagli abitanti della Valle di Susa, stanno riscoprendo come il bene comune sia composto da tutti noi e non debba mai somigliare ad un’entità statuale astratta che si muove sopra le nostre teste, decidendo il nostro futuro senza prima averci neppure interpellati. Abitanti che sono riusciti a mettere in crisi l’intero sistema politico italiano con la sola forza dell’esercizio del libero pensiero e della partecipazione, nonostante i mass media, asserviti ai grandi poteri politici e finanziari, che tentano di plasmare la realtà a loro piacimento nel tentativo di creare necessità e bisogni fittizi che siano funzionali al perseguimento degli interessi tecnocratici. E oramai chiaro che la democrazia rappresentativa è una procedura anonima che tiene insieme politica, finanza e grande imprenditoria, fino a creare un mostro che fagocita senza pietà tutto ciò che incontra sulla propria strada. In controtendenza, la democrazia partecipata e le Municipalità sono l’unica risposta funzionale ad un nuovo modello di sviluppo che tenga conto dell’esigenza imprescindibile di riscoprire valori quali la qualità della vita e l’armonizzazione del rapporto dell’uomo con il proprio territorio.
Prefazione di Massimo Fini. Una rivolta legittima e localista
Quella della Val di Susa non è una rivolta ecologista. È una rivolta localista, antiglobalista, antimodernista . Può anche essere che la Tav non abbia quell'impatto ambientale che molti temono. Ma il punto non è questo, non è più questo. È che la gente si è stufata di vedersi passare sopra la testa decisioni che, oltre a toglierle i propri tradizionali punti di riferimento, arricchiscono in astratto la Nazione, ma impoveriscono in concreto le persone, dal punto di vista esistenziale ma, da qualche anno, a causa della globalizzazione, cioè della spietata competizione fra Stati, anche da quello economico. E non ha nessuna intenzione di "mettersi il cuore in pace". Quel che interessa, in Val di Susa come altrove, non è collegarsi sempre più velocemente col mondo intero, ma avere una vita più semplice, più serena, più equilibrata, più coesa, più umana, anche se, eventualmente, più povera. Poco importa che la sinistra, che a suo tempo ha approvato la Tav, ora cerchi di strumentalizzare la situazione. Perché la rivolta della gente della Val di Susa è contro le oligarchie politiche, tanto della destra che della sinistra, e quelle economiche, che sono le uniche a trarre sicuramente dei vantaggi da un'opera colossale come la Tav. Ed è completamente fuori strada il Governo quando addebita la rivolta agli "anarchici insurrezionalisti". Non si può delegittimare una rivolta che vede uniti sindaci e assessori di ogni colore politico, parroci, operai, impiegati, pensionati, donne, casalinghe, ragazzi, cioè l'intera Val di Susa, con argomenti alla Bush. Quella della Val di Susa è una rivolta antimodernista. È significativo che questa gente, fino a ieri pacifica e ubbidiente, abbia scelto, per chiamarsi a raccolta, uno strumento antico come le campane delle chiese. Si vuole tornare alle dimensioni del villaggio, a comunità più piccole, più controllabili dove le persone abbiano almeno l'impressione di decidere da sé il proprio destino. Dice: ma l'interesse nazionale? In un mondo globalizzato non esistono più interessi nazionali ma solo lontanissimi interessi globali ai quali i primi sono subordinati. Inoltre, come ho cercato di spiegare in un paio di articoli, l'Occidente, con gli attacchi alla Jugoslavia e all'Iraq, ha commesso il formidabile errore di abbattere il principio di sovranità nazionale abbattendo però, con esso, anche quello di appartenenza nazionale. Se esistono valori sovranazionali superiori a quelli nazionali ciò vale sia nel grande che nel piccolo, cioè nel locale. Quando le scrivevo sembravano cose teoriche, lontane, la rivolta della Val di Susa ne è invece una prima concretizzazione. Del resto doveva essere evidente anche ai "padroni del vapore" che una globalizzazione così spinta avrebbe provocato, come reazione, una localizzazione altrettanto spinta, alla ricerca di identità e di radici che stiamo perdendo. Val di Susa emblematizza lo scontro dei decenni a venire. Che non sarà più fra un liberalismo trionfante e un marxismo morente, fra Destra e Sinistra, ma fra modernisti e antimodernisti. Fra élites, politiche, economiche e intellettuali, ancora convinte della bontà dello Sviluppo avviatosi con la Rivoluzione industriale, e razionalizzato dall'Illuminismo, e le popolazioni esasperate, del Primo e di ogni mondo, che han finito di credere alla bella favola della Modernità.