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I mali del '900: quando i vecchi nemici tornano di moda

di Sergio Romano - 14/05/2007

 

Quello che sta succedendo in Polonia e in Estonia, e viene fatto passare per spontanea reazione della popolazione alle passate vessazioni comuniste e sovietiche, sarebbe stato comprensibile se fosse avvenuto nel 1989 ma è assai sospetto ora. Sarebbe stato assennato andare a smantellare il Foro Italico o distruggere le piastrelle di Palazzo Venezia con i disegni dei fasci nel 1963 dopo che avevano superato indenni il 1945? O non c'è piuttosto una relazione con l'ingresso della Polonia e dell'Estonia nella Comunità europea e con i rapporti tra Putin e l'America che recentemente sono divenuti tesi? I soldati sovietici che sono morti, e che il monumento di Tallinn ricorda, hanno vessato i poveri estoni o sono morti per liberarli? Che senso ha smantellare il monumento eretto alla loro memoria? Ed è ben noto che i polacchi non sono stati aggrediti da eserciti stranieri nel 1980 quando avvennero i ben conosciuti fatti orchestrati dal Papa con i finanziamenti dello Ior del cardinale Marcinkus. Perché i polacchi fanno la caccia alle streghe, cosa che non mi risulta facciano gli ungheresi, i cechi e gli slovacchi?

Leone Faravelli , curiosaccio@yahoo.it

Caro Faravelli, la rimozione del monumento al soldato sovietico da una piazza di Tallinn mi è sembrata un gesto inutilmente polemico. Gli austriaci e i tedeschi hanno deciso di non toccare i grandi monumenti all'Armata Rossa che vennero costruiti alla fine della guerra nella Schwarzenbergplatz di Vienna e nella Siegallee di Berlino, e hanno fatto bene. Credo che gli estoni avrebbero potuto fare altrettanto senza rinunciare ai loro sentimenti nazionali. E' possibile deplorare l'occupazione sovietica delle Repubbliche baltiche nel 1940 e il duro regime imposto da Stalin nell'immediato dopoguerra, senza disconoscere i meriti dell'Armata Rossa e il suo ruolo nella guerra contro il Terzo Reich. Lei si chiede perché queste manifestazioni di anticomunismo e antisovietismo appaiano a quasi vent'anni dalla fine della guerra fredda. Proverò a risponderle osservando anzitutto che il fenomeno rispecchia tendenze e cicli di cui siamo stati più volte testimoni in Europa dopo la Seconda guerra mondiale. In Italia, dopo gli episodi descritti da Gianpaolo Pansa nei suoi libri, decidemmo tacitamente di accantonare il passato e pensare al futuro. L'antifascismo ridivenne una ideologia militante all'epoca del governo Tambroni e soprattutto dopo l'autunno caldo, quando una nuova generazione cominciò a denunciare il «pericolo nero», il «fascismo diffuso nella società borghese» e a proclamare la necessità di una «nuova resistenza». Lo stesso accadde in Germania, più o meno nello stesso periodo. Anche nella Repubblica federale si chiuse bruscamente la stagione dei silenzi (durante la quale alcuni esponenti del regime hitleriano avevano trovato decorose collocazioni nelle istituzioni democratiche) e il nazismo divenne ancora una volta il nemico da vincere, talora con la violenza del terrorismo. Un terzo episodio, particolarmente interessante, concerne le comunità ebraiche. Per un paio di decenni, dopo la fine della guerra, i loro leader avevano parlato soprattutto di coloro che li avevano aiutati durante le persecuzioni e ringraziato pubblicamente, in particolare, Pio XII. Ma dopo il processo Eichmann e la Guerra dei sei giorni, l'ebraismo ufficiale modificò il proprio atteggiamento. Apparve allora, insieme alle accuse contro papa Pacelli, una sorta di ideologia fondata sulla convinzione che il genocidio hitleriano fosse il risultato di antichi sentimenti e pregiudizi antiebraici delle società cristiane, mai completamente sradicati. Credo che all'origine di questi soprassalti a scoppio ritardato di antifascismo, antinazismo, anti-antisemitismo e ora di anticomunismo vi siano ragioni generazionali, politiche e sociali, in parte eguali per tutti e in parte diverse da un Paese all'altro. Nel caso di alcuni Paesi dell'Europa centro- orientale, dove la transizione è stata dolce e ha permesso a molti comunisti di mantenere o conquistare posizioni di prestigio, il fenomeno coincide con l'ascesa al potere di gruppi nazional- populisti che si servono dell'anticomunismo anche per meglio combattere l'opposizione. E' probabile che la protezione degli Stati Uniti e il peggioramento dei rapporti russo-americani diano a questi governi un sentimento di invulnerabilità e, quindi, una maggiore baldanza. Ed è possibile che ad alcuni ambienti americani queste posizioni, direttamente o indirettamente antirusse, non spiacciano. Se le cose sono in questi termini è più facile comprendere perché Putin reagisca bruscamente a qualsiasi dimostrazione popolare. Un'ultima osservazione, caro Faravelli. E' probabile che la Santa Sede abbia aiutato finanziariamente Solidarnosc. Ma il verbo «orchestrare» non rende onore a un movimento che dette prova di grande coraggio e fu sostenuto da una larga parte della società nazionale.