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Carlo V

di Cesare Segre - 14/05/2007

   
In occasione dell’uscita del nuovo libro di Giuseppe Galasso, intitolato Carlo V e Spagna imperiale, l’articolo ripercorre la storia dell’imperatore Carlo V, dalle sue strategie matrimoniali al periodo della riforma protestante, dalla conquista di Milano al Sacco di Roma. Tre aspetti vengono specificatamente analizzati: il concetto di impero, basato più sul modello romano che su quello di Carlo Magno; la ristrutturazione dell’organizzazione statale; il sostegno alle nuove élites borghesi.

Sin dal primo capitolo dei Promessi sposi, Manzoni si diverte a deridere la magniloquenza dei titoli con cui i signori spagnoli del Seicento si presentavano. Il governatore di Milano, don Carlos de Aragón, è «principe di Castelvetrano, Duca di Terranuova, Marchese d’Avola, Conte di Burgeto, grande Ammiraglio, e gran Contestabile di Sicilia», ecc.; subito dopo viene ricordato don Juan Fernández de Velasco, con quattro righe di qualifiche. Ma non si trattava solo di un’esibizione. Perché l’elenco regolamentare delle cariche e di qualche beneficio è in genere preceduto da una sequenza di titoli nobiliari cui corrispondono effettivi diritti su dati territori: insomma feudi. Sono riflessi di quella politica matrimoniale, attuata già nell’antichità e continuata sino alla rivoluzione francese, in base alla quale i giovani principi conquistavano spesso regioni e regni, invece che con le armi, coniugandosi con donne di solito indesiderabili e non desiderate.
Carlo V, che governò un impero sul quale, come dicevano, non tramontava mai il sole (alla Spagna, ai Paesi Bassi, a parte della Francia, ai territori germanici, a mezza Italia, si aggiungevano le colonie sudamericane e le Indie orientali), era legittimato, oltre che dalla scelta dei principi elettori, dall’eredità che gli veniva da nonni e genitori. [...] È per puri motivi di strategia di governo che si farà sempre più spagnolo, e diventerà anzi un grande promotore di quella cultura.
Nel suo lungo regno, Carlo dovette affrontare problemi gravissimi: la Riforma religiosa, che stava estendendosi nella parte tedesca dei suoi territori, accendendo conflitti spesso cruenti; l’espansionismo turco, che minacciava le frontiere orientali, e dopo queste l’Europa stessa; l’indipendentismo delle signorie italiane, spesso favorito o attizzato dal re di Francia, Francesco I, che Carlo aveva già sconfitto sonoramente nella battaglia di Pavia (1525). Ai problemi esterni si aggiungevano poi quelli interni, e cioè la necessità di far funzionare territori così eterogenei per leggi e consuetudini, che in complesso rispettava. Carlo V riuscì a barcamenarsi con saggezza, grazie a consiglieri ben scelti (tra i quali all’inizio il piemontese Mercurino Gattinara), ma soprattutto al suo senso del dovere, alla sua alta concezione dell’impero. In Italia, Carlo V è poco amato: aveva stroncato la libertà di Firenze e Siena, conquistato Milano, messo nell’angolo Venezia, aggiogato Genova, devastato Roma. È in questi termini che Giuseppe Galasso, nel libro Carlo V e Spagna imperiale, riassume i motivi dell’avversione, evidente anche nell’Ariosto, che nell’ultimo Furioso nasconde sotto il grande rispetto per l’imperatore la sua poca simpatia: lo considerava anche responsabile del sacco di Roma, che, oltre a procurare immani disastri, pose fine al periodo migliore del Rinascimento.
Galasso ha già posto Carlo V al centro di altri suoi studi; qui ne analizza magistralmente la figura, sia mediante l’analisi critica dell’opera degli storiografi, tra i quali i nostri grandi Guicciardini e Chabod, sia alla luce di varie questioni generali che aiutano a caratterizzarne l’azione. Per esempio il concetto d’impero. Certo, l’impero di Carlo era una tarda attualizzazione del Sacro Romano Impero fondato da Carlo Magno. Ma è interessante che Carlo V, ispirato dai suoi consiglieri, abbia insistito piuttosto sulla continuità con l’impero di Tito o di Traiano o Giustiniano: non voleva rinchiudersi in una genealogia e in un’area prevalentemente germanica, ma piuttosto aprirsi ad altri spazi, quello mediterraneo e quello del mondo nuovo appena scoperto. Un altro aspetto esaminato da Galasso è la ristrutturazione degli apparati e della rete di governo, ottenuta, da un lato, riorganizzando lo Stato spagnolo, con le varie segreterie del re, con i suoi ministeri (Consigli) e le sue giunte, per specifici rami d’affari, dall’altro istituendo, tra il governo spagnolo e i territori italiani, un Consiglio d’Italia, che mediava e conciliava.
Questo volume è anche la premessa per altre considerazioni importanti, relative a mutamenti decisivi nelle classi dirigenti. All’inizio Carlo stronca molti municipalismi e corporativismi, e promuove la maturazione di nuove élites, parallelamente all’esautoramento dell’alta nobiltà a favore degli intellettuali e in genere della «gente mediocre», dei borghesi. [...]