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Politica russa in fermento in vista del 2008

di Daniele Scalea - 16/05/2007

 

 

 

 

Nel marzo 2008 la Federazione Russa affronterà un evento all'apparenza banale, come sono delle semplici elezioni presidenziali, ma in realtà cruciale. Lo sanno bene i principali attori della politica russa così come le forze straniere che mirano a manipolarla, e l'hanno sottolineato persino i nostri media occidentali, solitamente assai distratti e sprovveduti. Vladimir Putin, dato che la Costituzione vieta il reiterarsi del mandato presidenziale oltre i due consecutivi, non potrà candidarsi. Con l'uomo che ha ridato stabilità e dignità alla Russia fuori gioco, si scatena la lotta per il potere: da un lato scalpitano le opposizioni neoliberali, che vorrebbero ritornare ai "fasti" dell'era El'cin; dall'altro premono i comunisti, i nazionalisti ed i patrioti che hanno giudicato Putin troppo moderato e filoccidentale; nel mezzo, lo stesso schieramento di potere putiniano che andrà lacerandosi tra fazioni ideologiche ed affaristiche. Il tutto con sullo sfondo l'inquietante presenza degli Stati Uniti d'America, che sperano in (e lavorano per) un "regime change", la madre di tutte le "rivoluzioni colorate". Quale antipasto di tutto ciò, in Russia sta per arrivare il momento delle elezioni parlamentari, che si svolgeranno all'inizio di dicembre. Vediamo sinteticamente alcuni dei più interessanti sviluppi osservatisi recentemente nel panorama politico russo.

Rodina, che in russo significa "Patria", è la "unione popolar-patriottica" ("Narodna-patriotičevskij Sojuz") che nel 2003 coalizzò una trentina di formazioni politiche nazionaliste e socialdemocratiche, ottenendo già a pochi mesi dalla nascita un incredibile exploit elettorale: il 9,2% dei suffragi (quarta forza del paese) e 37 seggi alla Duma (sul totale di 450). Il successo di Rodina chiarì quanto grande potesse essere lo spazio politico ed il consenso potenziale per una forza patriottica e socialista ma non ideologizzata, com'era ed è invece il Kommunističeskaja Partija Rossijskoj Federacii (KPFR), il partito neocomunista di Gennadij Zjuganov. Da allora, però, Rodina non è riuscita a mantenere tutte le aspettative, poiché la sua vita interna ed i suoi rapporti esterni si sono rivelati assai caotici. Partita inizialmente come sostenitrice del presidente Vladimir Putin (e perciò accusata dalle opposizioni d'essere una creatura artificiale del Cremlino volta solo a sottrarre voti al KPFR), dall'inizio del 2005 - cioè in coincidenza con la riforma dei benefit sociali varata dall'amministrazione, la quale ha ridotto sensibilmente i privilegi dei tanti veterani di guerra (tra gli altri) - Rodina è passata all'opposizione: o, per meglio dire, ha confermato l'appoggio a Putin cercando però di sostituirsi quale partito di governo a Edinaja Rossija ("Russia Unita"), considerata (non del tutto a torto) un covo di liberali, affaristi e mangioni. A varara la nuova linea fu l'allora co-dirigente di Rodina Dmitrij Rogozin, che già un anno prima, in occasione delle presidenziali, aveva litigato con Sergej Glaz'ev. La situazione creatasi era paradossale: la dirigenza nazionale di Rodina aveva deliberato di non presentare un proprio candidato ma appoggiare Putin, mentre un dirigente dell'unione nazional-patriottica (per l'appunto Sergej Glaz'ev), in polemica con la "deriva destrorsa" imposta al partito da Rogozin, decideva autonomamente di candidarsi e - ciliegina sulla torta - suscitava la contro-candidatura del capo dell'ala "destra" di Rodina (ossia Viktor Geraščenko)! Il risultato fu che, mentre Geraščenko non riuscì neppure a raggiungere la candidatura, l'indipendente Glaz'ev, promettendo al popolo di liberarlo dalla mafia oligarchica e neoliberale, ottenne ben il 4,1% dei consensi (cioè quasi tre milioni di voti), terzo dietro allo stravincitore Putin ed al candidato agrario-comunista Nikolaj Charitonov. Forte di cotanto risultato Glaz'ev abbandonò Rodina, ma gli oligarchi gli fecero scontare tutti gl'insulti ricevuti mettendogli sistematicamente i bastoni tra le ruote: nel luglio 2005, così, il "figliol prodigo" Glaz'ev si riappacificò con Rogozin e tornò all'ovile. Poco prima era uscito da Rodina un altro dei co-dirigenti, Sergej Baburin: eroe di guerra in Afghanistan, nel 1991 era stato uno dei pochi deputati al Soviet Supremo che votarono contro la dissoluzione dell'Unione Sovietica e nel 1993 aveva capeggiato l'opposizione a El'cin. Baburin, portandosi dietro altri 9 deputati eletti nelle fila di Rodina, ne creò dapprima una copia e poi, per evitare la confusione, chiamò la propria formazione Narodnaja Volja ("Volontà Popolare"). Oggi è vice-presidente della Duma. Il "destrorso" Rogozin ed il "sinistrorso" Glaz'ev s'erano dunque ritrovati (contro Baburin) sulla comune e crescente opposizione non più solo a Edinaja Rossija, ma anche al presidente Putin. Nella tornata d'elezioni locali tenutesi a cavallo tra 2005 e 2006 Rodina, ch'era data in forte crescita, si vide impedita a prendervi parte (eccetto che nella Repubblica dell'Altaj) perché accusata di "incitamento all'odio razziale". Ovviamente il bando aveva carattere intimidatorio, e l'argomento fu utilizzato pretestuosamente come avvertimento affinché Rodina abbassasse la cresta: tuttavia, Dmitrij Rogozin aveva realmente imposto una preoccupante (ricordiamoci che la Federazione Russa è uno Stato multietnico minacciato da moti centrifughi, oggi ampiamente cavalcati e/o fomentati dagli USA) svolta xenofoba alla propria formazione politica. A seguito del brutto affare, nel marzo 2006 Rogozin rassegnò le proprie dimissioni da presidente di Rodina, lasciando il posto al maggiore finanziatore dell'unione nazional-patriottica: il ricco uomo d'affari israelita Aleksandr Babakov. Costui è un personaggio un po' oscuro, che certo dà minori garanzie di onestà e patriottismo, ma è maggiormente gradito al Cremlino. Soprattutto, Babakov ha corretto il tiro e condotto una decisa virata nell'indirizzo politico di Rodina, portandola lo scorso ottobre a fondersi col Rossijskaja Partija Žizni (RPŽ, "Partito Russo della Vita") e col Rossijskaja Partija Pensionerov (RPP, "Partito Russo dei Pensionati"). L'RPŽ era la formazione nazional-liberale di Sergej Mironov, oggi presidente del Consiglio Federale, la camera alta russa; l'RPP ha incrementato notevolmente la propria forza dopo la riforma sociale di Putin, e nell'ottobre 2005 ha persino battuto Edinaja Rossija nelle elezioni locali di Tomsk. Guardando i risultati conseguiti dai tre partiti nelle elezioni legislative del 2003 (Duma), si potrebbe stimare una forza di almeno il 13-14% per il nuovo soggetto, che ha preso il nome di Spravedlivaja Rossija: Rodina-Pensionery-Žizn' ("Russia Giusta: Patria-Pensionati-Vita"). Spravedlivaja Rossija potrebbe essere la grande sorpresa delle prossime consultazioni elettorali russe. L'obiettivo di questa formazione è sostanzialmente quello di Rodina all'inizio del 2005: sostenere Putin ma sostituirsi a Edinaja Rossija quale partito di governo. Lo conferma la recente proposta di Mironov (si badi bene: la seconda carica istituzionale del paese), secondo cui si potrebbe modificare la costituzione per permettere a Vladimir Putin di restare in carica anche dopo il 2008. La limitazione costituzionale alla reiterazione del mandato presidenziale non esiste in Europa, ma la Federazione Russa la copiò dagli USA e non ha senso, secondo le parole di Mironov, «seguire il dubbio modello di democrazia nordamericana, che esiste da appena 250 anni». L'ipotesi ventilata, con tutta probabilità, non riuscirà a realizzarsi, ma il fatto stesso che la si sia accennata è significativo. Dal canto suo Dmitrij Rogozin, seguito dal solo deputato Andrej Savel'ev (famoso per essersi pestato alla Duma col liberal-democratico Žirinovskij: vedi <http://www.youtube.com/watch?v=e_YZ-OzBjQI>), ha scelto di fondersi col movimento anti-immigrazione di Aleksandr Belov, dando vita alla formazione Velikaja Rossija ("Grande Russia"). Il poco modesto Rogozin ha affermato d'aspettarsi di conquistare «almeno» il 25% dei suffragi alle prossime elezioni: previsione certamente troppo ottimistica, ma Velikaja Rossija resta un outsider. Sarà interessante verificare, a  dicembre, quale parte di Rodina avrà la meglio: quella socialdemocratica e filo-Putin di Babakov, oppure quella xenofoba ed anti-Putin di Rogozin. Fortemente favorita la prima.

Velikaja Rossija ci fornisce lo spunto per saltare alla parte opposta dello spettro politico russo. Infatti Aleksandr Belov, il nuovo socio di Rogozin, fornì i suoi militanti anti-immigrazione alla manifestazione neoliberale tenutasi il 3 marzo scorso a San Pietroburgo e denominata "Marcia dei dissenzienti" ("Marš Nesoglasnych"). Tale manifestazione ha avuto un notevole ritorno mediatico negli USA ed in Europa per via dei metodi spicci utilizzati dalla polizia. In realtà i partecipanti non erano molti, e pare che alcuni fossero addirittura studenti universitari pagati per prendervi parte. Putin ha ben poco da temere dai partiti neoliberali, ed in particolare dall'eterogenea Drugaja Rossija ("Altra Russia") di Kaspàrov, Kas'jànov e Limonov (uno scacchista ebreo, un politico corrotto ed uno scrittore neonazista ...sembra una barzelletta!), fortemente invisi alla stragrande maggioranza della popolazione. Probabilmente solo gli el'ciniani della Sojuz Pravych Sil ("Unione delle Forze di Destra") riusciranno a superare lo sbarramento elettorale del 7% ed a far parte della prossima Duma. Ma allora, perché il governo ha scelto di tenere una posizione inflessibile e dura, ben prevedendo gli strali del Glucksmann di turno e le ormai banali accuse di "autoritarismo" e "repressione" che giungono dall'Europa e dagli USA? La mia opinione è che Vladimir Putin e la porzione del Cremlino più patriottica abbiano voluto lanciare un messaggio all'Occidente, qualcosa come: "Non siamo la Jugoslavia, la Georgia o l'Ucraina; siamo pronti a reagire duramente contro i vostri tentativi di destabilizzazione, anche perché non temiamo ritorsioni". Infatti, chi riesce a immaginarsi un'Unione Europea che s'autocondanni a tornare all'età della pietra rifiutando il gas naturale ed il petrolio russi? A parte i nouveaux philosophes affetti da demenza senile, credo nessuno. Si tenga conto, inoltre, che Garri Kaspàrov è stato già smascherato come agente del nemico: s'è infatti scoperta la sua appartenenza al Center for Security Policy (CSP, vedi: <http://www.centerforsecuritypolicy.org/>), un pensatoio con sede a Washington fondato nel 1988 da Frank Gaffney jr., già funzionario del fanatico religioso e russofobo Ronald Reagan. Scopo del CSP è quello d'individuare e studiare le tematiche fondamentali per la sicurezza nazionale statunitense, in quanto i suoi membri (tra gli altri: Richard Perle e Douglas Feith, due tra i massimi teorici neoconservatori) sono convinti che la forza degli USA sia l'unica garanzia di pace nel mondo. Una volta scoperta la sua appartenenza al CSP, Garri Kaspàrov ha provato a difendersi dichiarando che il proprio nome figurava nell'organico del pensatoio solo «per errore». Sarà: tuttavia, ricordiamo che tra i 17 vincitori del "Freedom Flame Award", riconoscimento che dal 1990 il CSP conferisce a personalità distintesi nella «difesa e promozione dei valori e degl'interessi nordamericani nel mondo», a fianco di bella gente come Ronald Reagan, Donald Rumsfeld, James Schlesinger, Richard Myers e Paul Wolfowitz, compare un solo straniero... il prode scacchista Garri Kaspàrov! (come si può leggere direttamente nel sito del pensatoio neocon: <http://www.centerforsecuritypolicy.org/Home.aspx?SID=62&SubCategoryID=63>).

Ma allora, se la "sinistra nazionale" sembra divisa e "addomesticata" (o resa meno ostile), ed i neoliberali possono tutt'al più creare sporadici disordini grazie alle teste rasate di Limonov finanziate dai soldi targati CIA procacciati da Kaspàrov, di chi deve avere paura il Potere? Forse dei comunisti? Il KPFR è in lento ma inesorabile declino. Certo l'addio (o l'arrivederci) di Putin aumenta le chances di vittoria di Zjuganov o chi per lui, ma la feroce competizione di Spravedlivaja Rossija finirà non solo col pareggiare i guadagni, ma persino col tramutarli in nuove emorragie di voti. La verità è che il Potere vincerà ancora, nel 2007 e nel 2008, e sarà all'interno del Potere stesso che s'assisterà alla vera lotta per la supremazia in Russia. Finora il carisma e - diciamocelo pure - l'ambiguità di Vladimir Putin sono riusciti a tenere unite dentro Edinaja Rossija le due anime del Potere: quella "cosmopolita" dell'affarismo e quella "patriottica" dei burocrati. Plausibilmente, nel 2008 gli oligarchi e gli Statunitensi punteranno non certo su un improbabile "Kaspàrov presidente", ma su un successore di Putin loro gradito, come potrebbe essere Dmitrij Medvedev; al contrario i militari e la nomenklatura scommetteranno su una figura forte ed affidabile come, ad esempio, Sergej Ivanov. Ovviamente, non bisogna cadere nell'errore di schematizzare troppo le cose: vi sono uomini d'affari interessati ad una Russia forte ed indipendente (vedi Babakov, la cui attività si concentra nell'Ucraìna Orientale), così come militari e siloviki pronti a vendersi agli USA; tuttavia, credo di poter affermare che grosso modo gli schieramenti in campo saranno quelli suddetti. La recente evoluzione della politica e della retorica di Vladimir Putin, nonché le aspettative popolari, fanno pensare ad un successore autorevole, forte e patriota: in questo caso, non si può neppure scartare l'idea che, a breve, Spravedlivaja Rossija possa sostituire i residuati el'ciniani di Edinaja Rossija quale nuovo partito di potere. Ma se per qualsiasi ragione il denaro ed i maneggi oligarchico-statunitensi dovessero avere la meglio, assisteremmo ad un passo indietro rispetto all'era Putin, con un'amministrazione più arrendevole in politica estera e più liberista in economia; a questo punto la "sinistra nazionale" si riavvicinerebbe ai comunisti e ci troveremmo di fronte ad un nuovo muro contro muro, come ai tempi di El'cin: traditori contro patrioti.