Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Clima: il capitalismo e la fine del mondo

Clima: il capitalismo e la fine del mondo

di Paolo Emiliani - 16/05/2007

 
Il genere cinematografico “catastrofico” sembra godere, ormai da parecchi anni, del favore del pubblico. Gli spettatori sembrano infatti gradire quegli scenari apocalittici pre o post fine del mondo. Enormi meteoriti che colpiscono la Terra, sciami di terremoti devastanti, inondazioni, glaciazioni piacciono sullo schermo, avendo però la consapevolezza di poter uscire dopo due ore dalla sala di proiezione e ritrovare ogni cosa al suo posto.
Tra meno di cinquanta anni, però, quegli scenari potrebbero diventare drammatica realtà.
E’ stato, infatti reso noto ieri a Londra il risultato di una ricerca commissionata dalla Christian Aid, un’importante organizzazione cristiana di beneficenza del Regno Unito, realizzata consultando i più autorevoli esperti internazionali sulle conseguenze del riscaldamento globale.

Intitolato “Human tide, the real migration crisis” (Marea umana, la vera crisi della migrazione), mostra un drammatico futuro per l’umanità, una realtà che, secondo gli esperti, potrebbe concretizzarsi intorno all’anno 2050, praticamente domani. Un miliardo di persone, un settimo della popolazione mondiale totale potrebbe essere costretto a lasciare le proprie case, il proprio lavoro, il proprio paese, per rifugiarsi altrove. Tutto questo, ovviamente, se i disastrosi effetti del cambiamento climatico non saranno arrestati o contenuti quanto prima. Il rapporto osserva che già oggi 163 milioni di persone sono state costrette ad abbandonare il paese d’origine, acquisendo lo status di rifugiati secondo l’Onu, a causa di guerre, catastrofi naturali e grandi progetti industriali. Ma in poco più di quattro decenni questo numero potrebbe moltiplicarsi per dieci: entro l’anno 2050, sostiene Christian Aid, altri 50 milioni di profughi saranno stati creati da conflitti e violazioni dei diritti dell'uomo, 250 milioni da inondazioni, siccità e fame, 645 milioni da progetti come dighe, deforestazione e grandi imprese industriali. Oltre questi numeri (ed in parte già dentro questi numeri) ci sono poi coloro che migreranno attirati dal falso mito del benessere del mondo capitalistico.

Quella che verrà sarà una migrazione di massa che scatenerà nuove guerre e spaventose tensioni. Il rapporto sostiene che nel 2080 tra 1 miliardo e 100 milioni e 3 miliardi e 200 milioni di persone (un terzo della popolazione terrestre) non avranno abbastanza acqua, e fra 200 milioni e 600 milioni di persone non avranno abbastanza cibo. Inoltre tra i 2 milioni e i 7 milioni di persone saranno interessate dal sollevamento degli oceani, effetto direttamente collegato al riscaldamento del pianeta.

Gli scienziati interpellati da Christian Aid predicono infatti che nel corso di questo secolo la temperatura media della terra salirà tra 1,8 e 3 gradi Celsius a causa delle emissioni di gas nocivi, mettendo così a repentaglio l'esistenza di centinaia di milioni e forse di svariati miliardi di persone.
Secondo Christian Aid, i principali responsabili del cambiamento climatico sono i paesi industrializzati, e, con una lettura assai superficiale del problema, spetterebbe quindi a loro pagare i costi necessari per aiutare le popolazioni più colpite dalle conseguenze dell'effetto serra, oltre che lanciare le iniziative per affrontare questa tragedia prossima ventura. Proprio ieri Gordon Brown, prossimo primo ministro al posto di Blair, ha reso noto un piano per creare centomila case ecologiche in tre nuove “città verdi” in Inghilterra.

Questo è un modo sbagliato per affrontare il problema perché i Paesi occidentali sono ricchi proprio grazie ad un sistema capitalistico fondato sullo sfruttamento degli uomini e delle risorse, queste spesso proprio dei Paesi più poveri. In fondo si finirebbe col pagare il danno con i soldi del danneggiato. Per invertire la rotta, salvare il pianeta dal disastro ambientale e fermare le migrazioni selvagge che minacciano comunque la stessa identità delle nazioni, bisogna abbandonare completamente il modello capitalista. L’avere non dovrà più essere prevalente sull’essere, questo significherà però stagnazione o riduzione di consumi (specie dei prodotti voluttuari) e solo uno Stato socialista potrebbe redistribuire il lavoro necessario garantendo a tutti l’occupazione, magari con un monte ore più basso. Serve uno Stato formato da cittadini e un governo che sia espressione dei loro interessi. Fin tanto che avremo solo sudditi e consumatori ed una politica economica asservita al profitto ogni intervento serio è impossibile. Per fermare il disastro bisogna diminuire le produzioni, ma in questo sistema ciò è impossibile, perché minaccia il profitto di chi conta.