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La Rivolta di Gaia

di Intervista a Carlo Bertani - 16/05/2007

 

Intervista a Carlo Bertani autore del libro sul mutamento climatico "La Rivolta di Gaia" - Arianna Editrice

«Nonostante per millenni gli uomini si fossero scannati senza remore – dalle pietre all’arco e dal fucile al missile – fu solo con la nascita della nuova specie, homo sapiens technologicus, che fu possibile mettere ragionevolmente in dubbio la sopravvivenza della specie stessa.
Il fragile corpo umano è facile preda dei grandi eventi della natura: tutta la tecnologia è inutile se non beviamo per una settimana o se non mangiamo per quaranta giorni.
Tutto finito, eppure vivevamo nell’illusione di dominare la natura come signori feudali, dispensatori di vita o di morte.»

Nel tuo libro racconti una storia. Siamo nel 2020 e l’umanità si trova a dover fare i conti con un abbassamento globale e catastrofico delle temperatura. Il mutamento climatico è avvenuto.
Si tratta di una previsione, di una realtà ineluttabile e di un modo per mettere in guarda l’umanità?
Nessuno, dotato di buon senso, si mette a fare il profeta. Ritengo però che la storia raccontata sia quanto di più vicino alla realtà si possa immaginare qualora dovessero avverarsi le premesse (ovvero il crollo della rete elettrica europea, ecc). Non è per niente certa né ineluttabile, però è una fra le carte che il mutamento climatico potrebbe condurci a pescare dal mazzo.

Nel libro scrivi che l’uomo vive nell’illusione di “dominare la natura come un signore feudale”. Ma la natura non si lascia dominare. E si ribella. Quali sono i segnali che Gaia ci sta inviando e che non vengono ascoltati?
I segni sono evidenti, scorrono accanto a noi, se solo abbiamo occhi per scorgerli. Nel volgere di pochissimi anni, la coltivazione dell’olivo sta espandendosi nell’area padana. I temporali estivi sono quasi scomparsi: quando avvengono, assumono sempre di più le sembianze di piccoli cicloni, segno evidente che l’energia presente nell’atmosfera è in aumento. Le precipitazioni, in Italia, si stanno dimezzando nel volgere di un solo decennio ed avvengono soltanto in brevi intervalli di tempo. Il Sud è a serio rischi di desertificazione, mentre l’agricoltura del Nord perde ogni anni circa il 30% dei raccolti per la siccità. Se questi non sono segnali chiari, mi domando cosa stiamo aspettando.

Emergenza clima. Quante volte ne abbiamo sentito parlare nelle torride estati o nelle primavere senza pioggia? Eppure questi eventi eccezionali si stanno verificando sempre più spesso, tendendo a perdere, appunto, il loro carattere di eccezionalità. Perché dunque si continua a parlare di emergenza?
Confinare questi fenomeni con il termine “emergenza”, ci consente di rimuovere gli aspetti più catastrofici dei fenomeni stessi e di considerarli alla stregua della “normalità”. Una “normale” emergenza. Tutto ciò avviene poiché prendere coscienza del mutamento climatico investirebbe la classe politica di responsabilità di ben alto livello: se l'attuale classe politica non riesce ad accordarsi su tematiche più semplici quali i diritti fondamentali dei cittadini, l'accertamento del reddito, la democrazia nell'informazione, le riforma della scuola, del lavoro e della previdenza, come potrebbe affrontare un problema così vasto come il mutamento climatico?

Se l’emergenza diviene costante non è più tale. Tutti noi però facciamo fatica a percepire la questione climatica come un problema stabile. Perché?
La principale difficoltà che incontriamo, quando affrontiamo il mutamento climatico, riguarda la differenza tra clima e meteorologia. Mentre la meteorologia si occupa di previsioni a breve termine, la climatologia studia i mutamenti nel medio e lungo periodo: senza la continua osservazione e valutazione dei dati, per la popolazione un inverno più freddo, un'estate più calda, o viceversa, tendono ad acquietare tutte le ansie per il mutamento del clima. L’informazione di regime, poi, fa il resto edulcorando gli aspetti più pericolosi del problema.

I Governi, ed in particolare il governa USA tendono ad ignorare la questione. Qual è la connessione esistente tra clima, energia e politica?
La principale fonte d’informazione per studiare il mutamento climatico è l'apposita commissione creata dall’ONU (IPCC): oramai, il 70% degli scienziati è convinto che l'attuale mutamento climatico sia dovuto alle attività umane. Per i governi si tratta di una “tegola” che va a cadere sui bilanci: non a caso gli Usa, che da soli consumano il 40% dell'energia del pianeta, si oppongono al protocollo di Kyoto. Vi sono, inoltre, degli aspetti legati all'economia ed alla finanza: il mercato del petrolio viene valutato in dollari americani, e questo consente ad una massa enorme di valuta statunitense di non rientrare mai nei confini nazionali, passando di mano sempre tra compratori, venditori ed investitori esteri. Tutto ciò ha un effetto benefico sul dollaro, che viene preservato dai rischi dell'inflazione: potremmo quasi affermare che è il mercato dell'energia a sorreggere il valore del dollaro. Questa è una delle ragioni che conducono al mancato decollo delle energie rinnovabili, le quali non consentirebbero il ferreo controllo che oggi possiamo identificare nel binomio dollaro/petrolio.

Nel tuo libro descrivi il fallimento dell’ambientalismo mondiale, incapace di capire che la soluzione al problema ambientale e climatico non è solo scientifica e tecnologica, ma anche e prima di tutto politica. Ma come può la politica, dominata dal potere economico, cambiare spontaneamente le proprie regole di funzionamento?
Anche se correrò il rischio d’apparire pessimista, confesso di non aspettarmi molto dalle attuali classi politiche. Chi ci governa non ha ancora compreso a fondo che la rivoluzione tecnologica degli ultimi vent'anni ha cambiato il volto del pianeta: la produzione industriale aumenta a fronte della diminuzione degli occupati. Ciò significa che l'incremento tecnologico è – o meglio, potrebbe diventare – fattore di stabilità, crescita e benessere per l'intera umanità: a patto di comprenderne la natura e le necessità. Il potere economico e finanziario si muove in una sola ottica: l'aumento dei profitti. Come potrebbe gestire un mondo nel quale ci sarebbe energia a basso costo per tutti, e la quantità di lavoro necessaria per produrre un bene diminuirebbe enormemente? Dovremmo leggere Rifkin e mettere nel cassetto Keynes e Galbraith. No, non sono pessimista, sono molto pessimista.

A noi comuni mortali cosa è dato fare? Dobbiamo aspettare che qualche esperto porti avanti la causa o possiamo agire in prima persona? In che modo?
Visto che l'informazione di regime, le televisioni controllate da pochi e ricchissimi proprietari (pubblici e privati) e la stampa – foraggiata abbondantemente con leggi ad hoc – non possono compiere adeguatamente il loro dovere, l'unica speranza sono il Web e le poche case editrici che si ostinano a compiere il loro dovere d’informazione. Nessuno ci salverà dai possibili rischi del mutamento climatico, poiché gli interessi economici tendono a negarlo. E non potremo nemmeno sperare nel classico “io speriamo che me la cavo”.

Segnalazioni librarie:


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