Alle origini dell'etica ambientale
di Giuseppe Serra - 05/12/2005
Fonte: filosofia-ambientale.it
Alle origini dell'etica ambientale
Luisella Battaglia
Edizioni Dedalo, Bari 2002, pag, 205, € 14.00
Peter Singer, filosofo animalista australiano, ha dimostrato quanto l’esclusione degli animali dalla sfera morale non solo non sia giustificabile razionalmente ma sia frutto del puro e semplice pregiudizio specista. Un libro della filosofa Luisella Battaglia si inserisce in questo filone, anche se con obiettivi e toni radicalmente diversi da quelli di Singer. Del testo, denso e rigoroso nei contenuti, colpisce l’efficacia comunicativa, una qualità già notata, a suo tempo, da Raffaele la Capria sul Corriere della Sera (24/06/2003).
La linearità dei ragionamenti della filosofa, in effetti, pervade il saggio fin dalle prime domande: «Esistono principi morali che dovremo adottare nel modo di trattare il mondo non umano? E, in caso di risposta affermativa, qual è il valore degli enti naturali? Valgono solo strumentalmente in funzione dei nostri interessi e bisogni o costituiscono anche un bene in sé, da tutelare indipendentemente dai nostri bisogni?». Non è cosa da poco rispondere. Un esame scrupoloso presuppone la messa in discussione di categorie etiche quali «giustizia», «prossimo», «responsabilità», è un po’ come mettere con le spalle al muro l’uomo contemporaneo che percependo, ormai in modo netto, la svalutazione del mondo naturale, sente il bisogno di accogliere nel suo orizzonte culturale un pensiero ecologico che abbia solide basi teoretiche.
È quasi naturale, allora, per la Battaglia, riesaminare le tradizioni di pensiero dominanti nella nostra cultura, sgombrando il campo da quegli equivoci che alimentano opposti fondamentalismi individuabili sia nell’antropocentrismo forte, che postula una netta disgiunzione tra uomo e natura, che nel biocentrismo il quale, all’inverso, rifiuta l’idea di una specificità umana. Esiste una terza via? proprio attorno a questo tema si snoda la tesi principale del libro. Luisella Battaglia parte da questo assunto: l’uomo non è l’unico soggetto degno di considerazione morale, è, sì, generatore di valore, ma non ne è l’unico destinatario; e allora come coniugare le preoccupazioni ecologiche con la cultura umanistica la quale, invece, ipotizza la centralità dell’uomo?
Per rispondere vengono utilizzati tutti gli strumenti che appartengono al pensiero ambientalista, con l’esclusione, però, dell’ecologia del profondo, foriera di pesanti «equivoci». Vediamo quali. Usando come filtro le analisi di Luc Ferry, la Battaglia spiega come l’egualitarismo biocentrico (il «valore intrinseco» della «Vita umana e non umana sulla Terra», così recita il primo principio della piattaforma del movimento dell’ecologia profonda) sfoci un’immanenza alla natura, assumendo pericolose sfumature antiumanistiche che possono condurre l’uomo a «smarrire la sua specificità esistenziale e simbolica».
Bisogna quindi preservare l’alterità dell’uomo all’interno della natura, per questo il fondamentalismo biocentrico viene accostato all’ecologia del profondo e alla sua idea di «valore intrinseco». In sede di recensione, però - e il libro ne ha avute diverse -, il messaggio è stato così semplificato: l’ecologia profonda è una pericolosa tendenza di pensiero che mette in discussione il progresso e la modernità; porta avanti un progetto di sacralizzazione dell’armonia naturale e mette in pericolo la stessa posizione dell’uomo come soggetto morale.
Sergio Bartolommei ha scritto che quando gli ecologisti del profondo parlano di “valore intrinseco” lo fanno in senso «metaforico o fenomenologico» dato che intendono dire con l’espressione che «esperiamo la natura come qualcosa che è valutabile nel suo proprio interesse, senza che ciò implichi uno statuto morale della natura». Semmai, continua Bartolommei, è meglio invece parlare della «legittimità o meno di un trattamento nettamente differenziato di uomo e natura» (Etica e natura, Laterza, Roma - Bari 1995, pag. 82). Naess e Drengson sono ugualmente intervenuti per chiarire questo punto controverso: «II principio di egualitarismo biosferico definito in termini di eguaglianza di diritti è stato talvolta malinteso, come se significasse che i bisogni umani non devono mai prevalere su quelli non umani». (Piergiacomo Pagano, Filosofia ambientale, Mattioli1885, Fidenza 2002, pag. 264). Sembra dunque costante la preoccupazione dei fautori della deep ecology di salvaguardare l’alterità dell’uomo.
Va però detto che queste posizioni sono sicuramente ancora vaghe: lo ha già notato Alain de Benoist in più sedi, di conseguenza studi e analisi più approfondite potrebbero finalmente sgomberare il campo da quei famosi “equivoci” che ancora alimentano l’idea di un’associazione, ormai sempre più frequente, tra fondamentalismo ed ecologia profonda.
Spezzata una piccola lancia in favore della deep ecology, non si può non apprezzare l’elemento centrale dell’analisi della Battaglia: giungere a una riconciliazione tra la natura e l’uomo passando per l’uomo. La ricostruzione ci riconduce all’umanesimo, ai suoi momenti caratterizzati da forti tendenze antropologiche ma anche naturalistiche. Sono aspetti differenti che la filosofa definisce “umanesimo antropologico” e “umanesimo naturalistico” dove il primo implica il dominio assoluto sul mondo animale, privato di ogni considerazione morale, il secondo, nato dalle influenze platonico - pitagoriche, non prevede invece l’isolamento dell’uomo all’interno del dato naturale. Pagina 34: «E’ con questo secondo umanesimo, di impronta naturalistica, che il pensiero ecologico può e deve dialogare se vuole [...] radicare l’uomo nel mondo naturale [...] e render conto dell’estrema complessità che, all’interno di questo universo, lo distingue da ogni altro fenomeno naturale conosciuto». È questa la grande sfida e per affrontarla la Battaglia riannoda i fili di quattro diversi percorsi intellettuali che possono offrire una prima base teorica ad una visione umanistica non necessariamente antiecologica: quelli di Voltaire, Michelet, Thoreau e Gandhi.
Voltaire allarga l’idea della tolleranza fino a comprendere gli esseri non umani attribuendogli, nella finzione letteraria, la parola. Percependo che anch’essi sono parte del cosmo, il filosofo auspica il superamento della «visione discontinuista tra uomo e animale» e getta le basi di un’«etica del riconoscimento» che, ravvisando, appunto, nei non umani la dignità di esseri senzienti (come noi soffrono, provano gioia, rabbia e tristezza), non dà adito all’esclusione degli animali stessi dal nostro mondo morale. Aprirsi al dialogo con ciò «che appare [...] oscuro e irrazionale» non deve spaventarci se consideriamo fondata l’idea della «parentela», ma questa non deve condurre gli uomini ad oscurare la ragione. Non si devono «cancellare i confini tra i due mondi», né si devono assumere atteggiamenti atti ad umanizzare l’animale; si rischierebbe altrimenti di rafforzare quello stesso antropocentrismo che si intendeva respingere. L’accettazione dell’alterità degli animali e il contatto sul terreno emozionale, anche se con un grado diverso di sensibilità (si pensi al sentimento dell’amore) proverebbe, secondo il filosofo, il grado di parentela con l’uomo e porrebbe il problema di identificare gli animali come soggetti in grado di conquistare il diritto di avere delle ragioni e di ottenere un riconoscimento sul piano morale.
L’atra figura presa in considerazione nel saggio è quella di Jules Michelet. Il grande storico francese nutriva il sogno di costruire la «città universale», in modo da estendere l’idea di popolo, quella idea cioè che ha reso celebri i suoi studi, «a tutti coloro che gemono e soffrono in silenzio». Allargare questi confini comporta però una pericolosa conseguenza: l’antropomorfizzazione degli animali. E Michelet, scrive la Battaglia, non è immune dal processo di umanizzazione degli esseri non umani, ma è un processo che negli intenti dello storico francese attiva sentimenti di fraternità e di parentela in modo da accrescere nell’uomo il senso di responsabilità nei suoi atteggiamenti verso la natura. Il processo di umanizzazione aiuta l’uomo a superare «la visione dell’animale come macchina», ad individuarne i segnali di intelligenza in modo da percepire in la presenza dell’anima.
Thoreau è l’autore più complesso; ha un senso religioso della natura e porta avanti una polemica antirazionalista. Il suo attacco nei confronti dell’uomo civilizzato è violentissimo ed è tra i primi a rivalutare la cultura indiana. Luisella Battaglia si chiede se per Thoreau «la nostra umanità appare incompatibile con la wilderness». Se così fosse le riflessioni di questo autore sarebbero incompatibili con l’umanesimo ecologico; tuttavia, secondo la filosofa, Thoreau non si proietta misticamente nella natura, non vuole perdersi in essa negandone la sua alterità: cerca, sì, un contatto, ma è un contatto di tipo empatico, teso a percepire cariche emozionali, stati d’animo e sensazioni che il silenzio grandioso della natura ci rimanda indietro. Thoreau si astiene dall’analizzare e dal fornire direttive e rinuncia a dare giudizi sugli aspetti della vita naturale: in questo tipo di comunicazione egli crea in sé il vuoto, e ascolta le voci di un mondo in cui, un tempo, l’uomo viveva in armonia. Questo tipo di comunicazione prevede l’immedesimazione per una comprensione profonda, ma mantenendo l’autocontrollo quindi la coscienza della propria specificità.
Il viaggio della filosofa si chiude con Gandhi. E con la sua prospettiva, antiantropocentrica, di identificare l’uomo, che è parte della creazione di Dio, non più come il signore e tiranno della natura ma come suo custode. Al centro delle riflessioni del mahatma sta l’idea dell’aimsha, della non violenza. La norma gandhiana prevede la riduzione della violenza in tutte le sue forme, senza però approdare al dogmatismo etico. Non si tratta di un divieto assoluto: essa può essere esercitata ad esempio per l’autodifesa; il suo esercizio sarà comunque legato al principio di responsabilità: l’uomo, di volta in volta, deciderà l’intensità del grado di violenza da utilizzare per proteggere la sua persona o quella della comunità cui appartiene. Un grado molto basso di violenza è costituito dalla pratica del vegetarianesimo che limita la soppressione delle forme di vita per l’autosostentamento.
Battaglia vede una stretta correlazione tra l’aimsha e l’etica della cura, intesa come «preoccupazione per il benessere di un altro». È questa la via per utilizzare il pensiero di Gandhi nella cultura occidentale, per inserirla all’interno di una moderna visione ecologica e umanista. La “cura” è un esercizio profondo di attenzione (Simon Weil) che ci svela l’esistenza di un rapporto asimmetrico, non reciproco tra uomo e animale. Il «non attendersi nulla in cambio implica una riconsiderazione dei nostri rapporti col mondo vivente», è un nuovo modo di porsi che ci porta a comunicare, anche in questo caso, empaticamente, ad esercitare la compassione, e non dimenticare mai di sentirsi parte del creato.
recensione inserita nel sito di
filosofia ambientale il 5 dicembre 2005
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Dalla IVa pagina
Esplorare le possibilità e le condizioni di un umanesimo ecologico, è il progetto che guida la rilettura di quattro grandi pensatori - Voltai re, Michelet, Thoreau, Gandhi - accomunati tutti dall'idea - alla base dell'etica ambientare contemporanea - che l'universo sia troppo grande per essere solo la dimora dell'uomo. La filosofia della tolleranza come etica del riconoscimento (Voltai re), la visione del processo rivoluzionario come emancipazione di tutte le creature (Michelet), la teoria e la pratica di un'ecologia della libertà (Thoreau), la concezione della non violenza come rispetto integrale della vita in ogni sua forma (Gandhi) scandiscono, nella diversità dei percorsi, le tappe di un itinerario ideale che procede oltre le mura della città dell'uomo verso la grande società dei viventi.
Luisella Battaglia insegna Filosofia morale e Bioetica nelle Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Genova e dell'Istituto universitario Suor Orsola Benincasa di Napoli e dirige l'Istituto italiano di Bioetica. Dal 1999 è membro del Comitato nazionale per la Bioetica. Fa parte del Comitato Scientifico delle riviste: «Pluriverso», «Etica & Questioni Pubbliche», «Quaderni di Bioetica» , «Janus». Tra i suoi scritti: Sociologia e morale in Eugène Dupréel (Milano 1977); Appunti per una sociologia della morale (Milano 1981); Il dilemma della modernità (Napoli 1994); Etica e diritti degli animali (Roma-Bari 1997); Dimensioni della bioetica (Genova 1999).