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Ambiente, l'Africa presenta il conto

di Matteo Fagotto - 18/05/2007

Il Parlamento panafricano chiede all'Occidente di intervenire sul riscaldamento globale
Con una mossa a sorpresa, lunedì scorso il Parlamento dell'Unione Africana ha chiesto ai Paesi occidentali di intervenire per risolvere la questione del riscaldamento globale. Se infatti l'Occidente è il maggior produttore di gas serra (i Paesi del G8 ne emettono il 50 percento, gli Usa da soli il 25 e l'Africa il 5, secondo un recente studio Onu), paradossalmente sarà l'Africa ad essere più colpita dal problema. Un problema che, se non venisse risolto, potrebbe devastare il continente a colpi di siccità, inondazioni e malattie.

Scenari. Secondo un rapporto di Nicholas Stern, economista britannico ed ex-vicepresidente della Banca Mondiale, gli effetti del riscaldamento globale nel 21esimo secolo potrebbero portare a una recessione economica del 20 percento: l'innalzamento del livello del mare, la desertificazione di alcune aree e l'inondazione di altre causeranno centinaia di milioni di “profughi climatici”. Il 40 percento delle specie animali e vegetali rischia l'estinzione, a causa del riscaldamento che, in alcune zone del pianeta, potrebbe arrivare a 5,8 gradi centigradi. Uno scenario apocalittico che, secondo gli esperti, dovrebbe colpire in particolare l'Africa, a causa della dipendenza del continente dall'agricoltura e della mancanza di autorità e strutture in grado di far fronte al problema. Proprio per questo l'Unione Africana ha chiesto ai Paesi occidentali di intervenire, anche se finora dai maggiori inquinatori del pianeta sono arrivate risposte poco confortanti: secondo un rapporto pubblicato da alcune agenzie britanniche, tra cui Oxfam e la New Economic Foundation, per far fronte al problema servirebbero tra i 10 e i 40 miliardi di dollari, mentre finora dai Paesi più industrializzati sono arrivati solamente 43 milioni.

Inondazioni in MozambicoAfrica. “La cosa preoccupante è che, secondo tutti i modelli sviluppati al computer che effettuano stime sul riscaldamento globale, l'Africa sarà la zona più colpita dal fenomeno, mentre per le altre aree del pianeta le proiezioni sono molto più incerte”, dichiara a PeaceReporter William Bond, professore al dipartimento di Botanica dell'università di Città del Capo, in Sudafrica. In particolare, le proiezioni mostrano un inaridimento della fascia del Sahel e dell'Africa meridionale, che porterebbe a un crollo dell'agricoltura e a nuovi conflitti per il controllo delle sempre più scarse risorse idriche: proprio queste ultime sono alle origini del conflitto in Darfur (che in quattro anni ha provocato almeno 200.000 morti), un sinistro presagio degli scenari che potrebbero attendere il continente. Nell'Africa tropicale, invece, è atteso un aumento consistente delle precipitazioni, che aggraverebbe la diffusione di malattie trasmesse da insetti, quali la malaria o il dengue. Secondo un rapporto dell'organizzazione Christian Aid, alla fine del secolo i morti per malattie connesse al cambiamento climatico nell'Africa subsahariana potrebbero toccare i 182 milioni. “La situazione del continente è molto delicata – conferma a PeaceReporter Coleen Vogel, esperta di climatologia dell'università sudafricana di Witwatersrand –. Anche l'India o il Bangladesh potrebbero trovarsi di fronte allo stesso scenario climatico, ma in Africa si aggiungono problemi quali i conflitti o la mancanza di autorità statali capaci di affrontare simili questioni”.

Futuro. Entrambi gli esperti sono, però, contrari ad accusare l'Occidente. “Troppo facile puntare il dito contro gli altri, bisogna vedere cosa sta facendo l'Africa per prepararsi - dichiara Bond –. E se da una parte i governi devono affrontare problemi pressanti, dall'altra sono impressionato dal tentativo di sviluppare un nuovo approccio, che ha portato le autorità del continente a collaborare tra loro più strettamente di molti Paesi occidentali. I progetti di sviluppo attuali sono sempre più influenzati da preoccupazioni ambientali”. Sulla stessa lunghezza d'onda è anche la Vogel, secondo cui “l'adattamento ai problemi attuali è la miglior cura a breve termine: migliorare la capacità di affrontare emergenze quali siccità o inondazioni è fondamentale, anche se sono questioni che non possono essere scisse dallo sviluppo economico”.