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Materiali per redimere il lutto della strage di Bologna

di Mauro Palma - 21/05/2007

 
«Venivamo dal Msi, dove c'era una forte sospettosità nei confronti della destra extraparlamentare. Si diceva che fossero legati ai servizi segreti e si sapeva che i loro militanti avevano compiuto omicidi per conto degli spagnoli o dei cileni. Per noi era inconcepibile: pensavamo che con le guardie non ci si allea in nessun caso. Loro invece avevano ammazzato, per conto delle guardie, seppure di altri paesi, persone che comunque combattevano contro il sistema: li consideravamo infami. Solo quando li abbiamo conosciuti direttamente, in carcere, abbiamo capito che il loro problema era solo combattere i comunisti, e per ammazzare i comunisti erano pronti ad allearsi con chiunque. Non erano infami, però la loro intelligenza politica non gli permetteva di andare oltre quel livello». Con queste parole Valerio Fioravanti descrive la costituzione dei Nar all'interno della sezione del Msi di Monteverde, a Roma. La frase, una delle tante testimonianze dei due protagonisti del libro di Andrea Colombo Storia nera (Cairo Editore), riflette il nucleo delle esperienze su cui l'autore indaga per comprendere cosa sia stato il mondo dell'estrema destra negli anni Settanta e Ottanta, un mondo variegato di cui troppo spesso non sono state colte le differenze, i percorsi individuali e collettivi, i legami con gli apparati del potere e, simmetricamente, con una destra radicale di base. Ripercorrere quei percorsi rappresenta una pista utile per chi voglia capire quanto si è prodotto nel corpo sociale, senza relegarlo a semplice escrescenza degli apparati di potere, per chi voglia elaborare i lutti di cui il libro è saturo.
L'elaborazione del lutto avviene attraverso la ricostruzione degli eventi delittuosi, svelando così la razionalità, seppure negativa, che li animava: un'operazione storica e intellettuale che nulla ha a che vedere con la compiacenza verso i protagonisti di quelle vicende. È questa l'operazione compiuta da Andrea Colombo a partire dalle testimonianze di due personaggi scomodi, Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, il cui percorso ben difficilmente può essere racchiuso negli stereotipi del fenomeno neo-fascista negli anni che vanno dalla strage di Piazza Fontana ai giorni del loro arresto. Colombo compie questa operazione a partire da un gruppo, i Nar, protagonista di molte operazioni criminali e sanguinose e tuttavia poco presente all'interno dell'organigramma delle diverse formazioni neo-fasciste di allora. Un gruppo «anarchico» molto evocato ma poco organizzato, più attento al territorio che agli apparati dello Stato (nonostante la sua esposizione a tutte le forme di strumentalizzazione sia da parte della criminalità organizzata che da parte degli stessi apparati) e segnato da percorsi personali piuttosto che da un progetto golpista.
L'autore sbroglia l'intricato bandolo della matassa della storia dei Nar senza tuttavia cadere nella tentazione della dietrologia, una modalità interpretativa che ha invece caratterizzato la vicenda giudiziaria sulla strage di Bologna. Una strage i cui esiti processuali, con la condanna di Mambro e Fioravanti all'ergastolo per il reato di strage e quella recentemente definitiva di Luigi Ciavardini a trent'anni, hanno lasciato il retrogusto del dubbio sul fatto che sia stata stabilità la verità. Già negli anni passati il processo di Bologna era stato oggetto di riflessione da parte di coloro che avevano letto i materiali processuali - un appello anni fa si intitolava emblematicamente «Ma, se fossero innocenti?». Una lettura in cui appariva poco fondata l'accusa, sostanzialmente basata sugli stessi meccanismi che molti avevano denunciato in occasione di alcuni processi contro appartenenti e simpatizzanti di organizzazioni armate della sinistra. Emergeva, infatti, in quelle carte giudiziarie una circolarità dell'indagine e di deduzione in negativo delle prove: «non poteva non sapere», «non si può escludere che» e via così argomentando. Emergeva il rischio di una soluzione che, aggiungendo un ergastolo a persone già condannate a tale pena, finiva col trovare una soluzione «facile» e permetteva di non porsi altre domande.
Nessuno intendeva allora - né Colombo intende oggi - guardare all'inchiesta come espressione di un complotto ordito dai diversi magistrati che hanno seguito il caso. Allora come oggi, l'obiettivo è individuare il punto debole di un sistema investigativo che una volta intrapresa una via rischia di essere cieco verso altre possibilità e che soprattutto non accetta la realtà in cui un'organizzazione armata esprime un'autonoma volontà decisionale, riconducendo invece il suo operato all'interno di un progetto più ampio, tanto ampio da divenire sfuggente. Per la strage di Bologna si condannano così i presunti esecutori, ma non si chiarisce il loro progetto; si individuano per essi alibi mancati, ma non ci si interroga sui perché della loro azione; si ricercano legami «in alto», ma non si indaga la loro operatività in quel periodo.
Da qui nascono i dubbi, ma anche altrettanto fantasiose ipotesi alternative, avanzate da chi in questa zona grigia si muove con disinvoltura: si difendono i condannati riversando fango su realtà «terroristiche» nazionali o internazionali verso cui il quadro attuale, diverso da quello di vent'anni fa, rende più disinvolta l'accusa. Per fare luce si aggiunge oscurità: una tentazione a cui l'autore non cede, riportando tutte le ricostruzioni anche le più fantasiose, ma solo per dovere di cronaca. Anzi, nel volume resta valida per Bologna la connotazione di «strage fascista», anche se si esprime la convinzione che i presunti esecutori non siano tali.
L'autore non si limita tuttavia a svolgere una indiretta difesa di Fioravanti e Mambro dall'accusa di stragismo. Il libro, come già detto, opera la ricostruzione dell'esperienza dei Nar nel panorama della destra italiana. Resta tuttavia la durezza della citazione riportata in apertura: il senso di ribellione; l'ossimoro esistenziale espreso nella volontà rivoluzionaria - o ribellistica - all'interno di un fronte che individuava la propria centralità nella difesa della conservazione; il sentirsi assediati e «contro» pur avendo direttamente o implicitamente dalla propria parte, almeno per un lungo tratto, il potere costituito; la ricomposizione delle divergenze attorno a quel «combattere i comunisti» che tutto comprendeva e assolveva. Eppure il libro dice anche a noi, che eravamo dall'altra parte, molto sui nostri giorni di allora.