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Come Prodi, anche D'Alema ha finalmente una banca (per avere un mutuo)

di redazionale - 21/05/2007


COME PRODI, ANCHE D’ALEMA HA FINALMENTE UNA BANCA (PER AVERE UN MUTUO)
PERDE BAZOLI MA IL GRANDE SCONFITTO SI CHIAMA VELTRONI (ROMA DE-CAPITALIA)
ROMANO PAREGGIA “OBBLIGANDO” GERONZI A IMBARCARE IL PRODIANO COSTAMAGNA

La nuova banca da cento miliardi di capitalizzazione che nasce dalla fusione fra Unicredit e Capitalia, si chiamerà Unicredit Group e sarà il secondo più grande gruppo bancario europeo. Ma rimarranno in uso anche i nomi e i marchi degli altri istituti coinvolti e i marchi degli sportelli saranno differenziati per aree geografiche: al nord Unicredit, al centro Banca di Roma e Banco di Sicilia nell'isola. Il via libera è avvenuto in contemporanea dai cda delle due società, a Roma e Milano.

«È tutto fatto» ha detto Paolo Savona, vice presidente di Capitalia. «È una bella giornata» ha detto l'amministratore delegato di Ras-Allianz, Paolo Vagnone, che è anche uno dei 23 consiglieri di Unicredit. Per le 18 è annunciata una conferenza stampa del presidente di Capitalia Cesare Geronzi e dell'ad di Unicredit Profumo, che illustreranno i dettagli dell'operazione.

CONCAMBIO - Con il concambio di 1,12 titoli Unicredit per ogni azione Capitalia deciso dai due cda, il titolo dell'istituto romano viene valorizzato, ai prezzi di Borsa di venerdì, 8,41 euro, ben al di sopra delle ultime quotazioni. Le azioni Unicredit venerdì, prima della sospensione, erano infatti quotate a Piazza Affari 7,51 euro mentre quelle Capitalia erano scambiate a 7,97 euro.

QUATTRO SOCI - Il nuovo consiglio di amministrazione di Unicredit avrà quattro posti riservati ai soci capitolini, che saranno coperti dal Cesare Geronzi e dai rappresentanti di Fonsai, Fondazione Manodori e Regione Sicilia. Abn Ambro non siederà nel board, secondo quanto riferito dal presidente del patto di sindacato di via Minghetti, Vittorio Ripa di Meana.

SI DIMETTE ARPE - E come previsto, l'amministratore delegato di Capitalia Matteo Arpe ha rassegnato le dimissioni dall'incarico. L'uscita da via Minghetti sarà operativa dal 31 maggio. In una nota, il cda di Capitalia ha «sentitamente ringraziato il dottor Arpe per lo straordinario lavoro svolto, negli ultimi cinque anni, con capacità e determinazione e gli augura un futuro ricco di altrettanti successi e soddisfazioni». «Ho confermato al presidente la mia disponibilità a rassegnare le dimissioni al fine di rendere possibile un'aggregazione che può sicuramente rappresentare per la nostra banca e il sistema finanziario italiano ed europeo un'ipotesi di straordinario valore e significato».

Così Matteo Arpe ha motivato le sue dimissioni dal gruppo romano. «La posizione di una singola persona - spiega in una lettera indirizzata al presidente, al cda, al collegio sindacale autorizzandone la pubblicazione - benché sia noto il mio attaccamento professionale e umano a questo gruppo e alle persone che vi lavorano, la considero sicuramente marginale». (da www.corriere.it)


Dagospia 20 Maggio 2007

 

COME PRODI, ANCHE D’ALEMA HA FINALMENTE UNA BANCA (PER AVERE UN MUTUO)
PERDE BAZOLI MA IL GRANDE SCONFITTO SI CHIAMA VELTRONI (ROMA DE-CAPITALIA)
ROMANO PAREGGIA “OBBLIGANDO” GERONZI A IMBARCARE IL PRODIANO COSTAMAGNA


Orazio Carabini per il Sole 24 Ore

Bisogna insistere un po' ma alla fine il banchiere si sbottona: «Mah, chi dice che la politica non c'entra ha un bel coraggio. Esiste un fil rouge che attraversa l'operazione UniCredit-Capitalia. Parte da Massimo D'Alema e tocca altri punti importanti nella mappa del potere: Franco Marini, Francesco Cossiga, Fabrizio Palenzona, Gianni Letta».

«Il filo — ricapitola il banchiere — parte da D'Alema, raggiunge Marini, che nella Margherita guida l'ala non prodiana, e tocca Cossiga. Poi c'è Palenzona, instancabile cementatore di alleanze, che è più un politico che non un manager o un banchiere. Infine a benedire il tutto è arrivato anche Letta, a garanzia che il centrodestra non avrebbe frapposto ostacoli». Dunque il filo rosso avrebbe parecchie venature bianche, nel senso che tra i fautori dell'alleanza bancaria sull'asse Milano-Roma figurano molti ex Dc. Ma in questo caso gli schieramenti sono trasversali, assai poco ideologici. Contano più la passione per il potere e l'ansia di non subire, ma di orientare le grandi manovre della finanza.

Ecco allora che si capisce perché Giovanni Bazoli, presidente di Intesa Sanpaolo, e Walter Veltroni, sindaco di Roma e antagonista di D'Alema dentro al nascente Partito democratico, non sono entusiasti dell'operazione progettata da Alessandro Profumo, amministratore delegato di UniCredit, e Cesare Geronzi, presidente di Capitalia.

Bazoli e la sua Intesa Sanpaolo sono il "bersaglio" dell'alleanza che viene presentata oggi. Troppo "prodiani", lui e la sua banca, per conquistare senza combattere il primato sul mercato italiano. E con un peccato originale da scontare: la fusione tra Intesa e Sanpaolo è infatti arrivata quando sembrava cosa fatta l'alleanza tra il gruppo torinese e il Montepaschi.

Uno sgarbo cui fin dall'agosto scorso si è cercato di porre rimedio. «Dopo Intesa Sanpaolo — racconta un autorevole parlamentare della maggioranza — è parso chiaro a tutti che bisognava puntare su UniCredit-Capitalia. Il problema era l'incompatibilità tra Profumo e Geronzi che, pur essendo consapevoli dell'ineluttabilità dell'alleanza, erano su posizioni molto distanti. Per carattere e per cultura. Il grosso lavoro della politica è stato quello di favorire un avvicinamento tra i due».

E così Profumo, l'antipolitico, ha stretto un patto con Geronzi, il banchiere dei Palazzi della politica. Scommettendo sull'anagrafe (Geronzi ha 22 anni più di lui) ma anche consapevole che Capitalia era l'unica carta rimasta per provare a riconquistare la leadership in Italia. Profumo è stato costretto a strapagarla ma l'ha annessa al suo impero. L'alternativa era di spostare sempre più all'estero l'asse di UniCredit. Con il rischio, fra l'altro, che gli azionisti tedeschi prendessero gradualmente il sopravvento su quelli italiani.

Giovedì 10 maggio è stato D'Alema in persona a portare la lieta novella a Bazoli, facendogli visita nella sua residenza milanese. Il banchiere non l'ha presa bene e ha abbozzato un tentativo in extremis di fermare una macchina ormai avviata offrendo, come contropartita,un ruolo più prestigioso in Intesa Sanpaolo per Pietro Modiano, il numero tre della banca, vicino ai ds. Inutilmente.

E così Bazoli era servito. A 600 chilometri di distanza Veltroni non era di un umore migliore.Tutta l'operazione era passata sopra la sua testa.Anche perché il sindaco di Roma in questi anni aveva puntato tutte le sue carte su Matteo Arpe, l'amministratore delegato di Capitalia entrato in rotta di collisione con Geronzi, ora in procinto di lasciare il gruppo. Ufficialmente Veltroni è preoccupato solo del fatto che Roma perda la "testa" di Capitalia, solo un anno dopo aver perso quella della Bnl, conquistata dai francesi di Bnp.

Ma chi l'ha sentito in questi giorni descrive un Veltroni imbronciato, infastidito dall'attivismo di D'Alema e di Marini, sorpreso dal ruolo di Palenzona. Il quale, nonostante le sue disavventure giudiziarie (Gianpiero Fiorani lo accusa di aver incassato soldi su conti esteri e i magistrati ne hanno rintracciati ben 11 a lui riconducibili), è diventato da poche settimane presidente di Aeroporti di Roma, oltre che presidente dell'Aiscat (associazione delle autostrade) e di UniCredit.

Eppure anche Romano Prodi e Tommaso Padoa-Schioppa hanno avuto parole di elogio per l'operazione e i suoi artefici. E il governatore Mario Draghi aspetta il 31 maggio per dare la sua benedizione. Che non mancherà. «I Prodiboys — osserva un parlamentare dell'opposizione molto attento ai fatti della finanza e dell'economia — alla fine sono riusciti a mettere lo zampino anche in questa operazione. Il capolavoro di Geronzi è stato il coinvolgimento dell'ex Goldman Sachs Claudio Costamagna che è risultato decisivo». Ma anche Silvio Berlusconi, la cui Fininvest è azionista di Capitalia, non ha commentato.
«Sa, è difficile trovare qualcuno che non sia in buoni rapporti con Geronzi», conclude il parlamentare di Forza Italia.

Adesso il problema sarà decidere qual è la banca di riferimento del Partito democratico. Meglio Intesa Sanpaolo e la sua disponibilità a «farsi carico degli interessi generali del Paese», come hanno detto Bazoli e il presidente della Cariplo Giuseppe Guzzetti? O meglio superUniCredit, con l'inedita coppia Profumo-Geronzi, ovvero il banchiere che pensa solo al Roe e quello che pensa solo a gestire il potere e i rapporti con la politica? «Di sicuro — risponde scherzando un democratico ds — c'è solo che non avremo difficoltà a ottenere un mutuo».
Antonella Olivieri per il Sole 24 Ore

UniCredit-Capitalia a nozze: festa per tutti? Non proprio. Tra gli "scontenti" o almeno tra i "preoccupati" non ci sarebbe solo il top management di Capitalia (l'a.d.Matteo Arpe dovrebbe rassegnare le dimissioni oggi, senza che ci siano ancora garanzie per la sua squadra), ma anche il presidente di Generali, Antoine Bernheim.

La posizione ufficiale dei soci francesi di Mediobanca, che hanno sostenuto per un ulteriore mandato Bernheim al vertice del Leone, è stata illustrata dal capofila della cordata, Vincent Bolloré. «Per un certo periodo sono stato contrario alla fusione tra Capitalia e UniCredit: a me interessava non turbare lo status quo a Mediobanca — ha spiegato Bolloré dalle colonne del Sole24Ore di ieri — Ma ora che ho l'assicurazione e la garanzia che una delle due quote che i due istituti detengono in Mediobanca sarà venduta, non si sono più problemi».

La stessa Mediobanca otterrà il mandato a ricollocare le azioni, con una soluzione che Piazzetta Cuccia ha tutto l'interesse a trovare in tempi brevi. Sempre più probabile inoltre l'approdo alla presidenza del consiglio di sorveglianza di Cesare Geronzi, oggi al vertice di Capitalia, che però potrebbe trovarsi nelle condizioni di dover operare una scelta: nel caso avanza l'ipotesi che a ricoprire l'incarico di vicepresidente della superbanca sia Berardino Libonati. Nel comitato di gestione, a norma di legge, dovrà invece trovare spazio anche un membro indipendente dal management: per questo ruolo il nome più gettonato è quello di Claudio Costamagna, il banchiere ex Goldman Sachs (dove ha lavorato anche il Governatore della Banca d'Italia Mario Draghi) vicino al premier Romano Prodi e consulente di Geronzi per l'aggregazione con UniCredit.

Sul versante di Trieste la situazione è più fluida. E forse non è solo perché non ha partecipazioni dirette (almeno ufficialmente) che Bolloré ha accuratamente evitato qualsiasi cenno a Generali. Dove le quote delle due banche, almeno nell'immediato, si sommeranno. È vero che UniCredit e Capitalia hanno legato i rispettivi pacchetti a due bond convertibili lanciati tra fine 2003 e inizio 2004, ma è altrettanto vero che hanno mantenuto i diritti di voto per la durata quinquennale del prestito (UniCredit per almeno i due anni iniziali), che la richiesta di conversione da parte degli investitori istituzionali avviene normalmente a fine periodo, che le due banche si sono riservate la possibilità di ripagare il bond per contanti.

Convertiranno? Bolloré e soci si aspettano che ciò avvenga. Di fatto è impossibile fare previsioni su scadenze ancora così lontane: 2008 per il bond Uni Credit e 2009 per il prestito Capitalia. A decidere sarà il mercato. Oggi non convertire sarebbe molto oneroso: per la banca milanese lo strike price è di 28,08 euro, per la romana di 26,38 euro, con il titolo che in Borsa è quotato più di 35 euro. Ma se all'approssimarsi della scadenza le quotazioni dovessero essere inferiori al prezzo di conversione le azioni resterebbero nel portafoglio della superbanca.

In teoria potrebbe esserci una via d'uscita tecnica: le banche potrebbero ricomprarsi l'opzione call collegata al prestito e cedere le azioni sottostanti per chiudere la posizione. UniCredit aveva tentato di farlo qualche tempo fa, poi aveva lasciato perdere. Capitalia non ci ha mai provato.

E nei due gruppi la contabilizzazione della partecipazione ha seguito strade differenti. Lo scorso anno l'istituto guidato da Alessandro Profumo ha trasferito 45 milioni di azioni, pari al 3,5% del capitale Generali, nella UniCredito italiano Bank Ireland che ha emesso il bond convertibile. La banca presieduta da Geronzi ha invece trasferito il suo 2,3% alla controllata Capitalia Partecipazioni, dove sono custoditi i pacchetti azionari espressamente definiti «strategici».

Chi può dire se per il 2008-2009, quando scadranno i prestiti, non ci sarà ancora bisogno di difendere l'"italianità" del Leone, motto che aveva convinto quattro anni e mezzo fa UniCredit, Capitalia e Mps (che ha ceduto l'1,58% a Mediobanca, mantenendo però i diritti di voto fino a metà 2010) a scendere in campo a Trieste?