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Ultime notizie dal mondo 1/15 Maggio 2007

di redazionale - 21/05/2007


 

a)      Italia. Il governo di centrosinistra annuncia l’invio di ulteriori mezzi ed uomini in Afghanistan (1 e 15 maggio). Ma nell’ultima campagna elettorale il centrosinistra non aveva promesso un significativo cambio di direzione della politica estera? Dov’è la discontinuità con il governo Berlusconi? Intanto il presidente –”comunista”– della Camera Fausto Bertinotti (8 maggio) esalta in Libano l’operato della Folgore. Sulla dipendenza dagli USA, si ponga attenzione al sistema GPS (9 maggio) ed a chi deterrebbe il controllo dello scudo anti missile (11 maggio). Su Calipari ed il suo assassino, Mario Lozano, infine, curiosa la notizia sempre all’11.

 

b)     Russia. Mosca e Pechino temono il dominio globale di Washington, ma diffidano reciprocamente per ragioni storiche e geopolitiche (2 maggio). Intanto il viaggio di Putin a Turkmenbashi conferma il controllo russo sull’Asia centrale (12 maggio). Sulla questione dello scudo antimissile USA (11 maggio), la Russia ribadisce il congelamento del trattato CFE (4 maggio). E mentre con gli USA permangono divergenze anche in merito al futuro del Kosovo (13 maggio), densa di conseguenze per gli equilibri geopolitici globali potrebbe essere l’apertura a Teheran per l’ingresso nella CSTO, la cosiddetta “NATO russa” (15 maggio).

 

c)      Libano. Il rapporto Winograd, sulla sostanziale sconfitta d’Israele nell’aggressione al Paese dei Cedri (3 maggio), continua a far discutere e dovrebbe far riflettere. Intanto Siria ed Hezbollah avvertono l’ONU a non imporre un Tribunale internazionale. Con il pretesto di voler far luce sull’assassinio dell’ex premier libanese Hariri, non pochi sono convinti che Washington voglia intorbidare le acque e attizzare conflitti nell’area (1 e 15 maggio). In altre edizioni del notiziario abbiamo evidenziato circostanze e dichiarazioni di chi, senza mezzi termini, arriva ad accusare Washington e Tel Aviv come mandanti di quell’assassinio.

Sparse ma significative:

Venezuela. Uno sguardo sugli ultimi provvedimenti di politica interna ed estera del presidente Chàvez (2 e 11 maggio).

Montenegro. Il presidente Vujanovic, a nome di un paese privo addirittura di esercito, firma con Washington un trattato militare «bilaterale» con cui gli USA allargheranno il dispositivo di basi che già hanno nell’area balcanica, con la preventiva assicurazione di impunità per qualsiasi atto compiuto dai militari USA in territorio montenegrino (4 maggio).

 

  • Israele. Tel Aviv «tortura e sevizia», denunciano due note organizzazioni umanitarie israeliane. All’8, 11 e 14 maggio qualche esempio delle persecuzioni e sevizie praticate dallo Stato sionista verso i palestinesi. Persecuzioni che non risparmiano gli stessi cittadini israeliani, come l’eroico Mordechai Vanunu, l’ex tecnico della centrale atomica di Dimona che fece conoscere al mondo i programmi nucleari segreti di Israele, che rischia di tornare in carcere (1 maggio). Indignazione e offesa per le «aberrazioni» di Israele sono espresse anche da esponenti ebrei (9 maggio).

 

  • Pakistan. Tensione politica alle stelle dopo la rimozione del giudice della Corte suprema Iftikhar Chaudhry da parte del presidente-generale Musharraf. Massiccio il sostegno popolare al giudice (6, 7, 13 e 14 maggio). Intanto al via la costruzione di un muro al confine con l’Afghanistan per impedire l’arrivo di taliban e separare il Pashtunistan (11 maggio).

 

 

Tra l’altro:

 

Catalogna / Euskal Herria (3 maggio).

Euskal Herria (11, 13 maggio).

Irlanda del Nord (4, 8 maggio).

Scozia / Gran Bretagna (5, 6 maggio).

Repubblica Ceca / USA (11 maggio).

Etiopia / Somalia (1 maggio).

Somalia (10, 12 maggio).

Iraq (4 maggio).

Armenia (12 maggio).

Georgia (1 maggio).

Cuba (9 maggio).

Colombia / USA (11 maggio).

 

 

  • Italia / Afghanistan. 1 maggio. «Il ministro ha espresso la sua preoccupazione per un eventuale coinvolgimento dei nostri militari in azioni estranee alla missione autorizzata dal Parlamento». A parlare, ieri, è Andrea Armaro, portavoce del ministro della Difesa, Arturo Parisi, preoccupato di quel che accade. È un segno che, sul ruolo dell’Italia nell’offensiva di Herat, persino il principale responsabile politico del comportamento dei militari è preoccupato. E, forse, che in queste ore non si sa nemmeno cosa stanno davvero facendo i soldati italiani nell’area, visto che già da tempo, nel silenzio generale, sono coinvolti in operazioni di affiancamento formalmente coperte dal mandato del parlamento e praticamente tutelate solo dalle regole di ingaggio fissate in ambito NATO: «Il ministro Parisi», dice Armaro, «ha chiesto con urgenza informazioni più dettagliate al nostro Stato maggiore a proposito delle informazioni provenienti dall’Afghanistan, in riferimento ad un’azione offensiva condotta da forze speciali USA in unione con reparti afgani nell’area ovest, e in particolare nella provincia di Herat, dove opera il contingente italiano nel quadro della missione ISAF». Elettra Deiana di Rifondazione Comunista, partito di governo, ha fatto la mossa chiedendo che il governo riferisca in parlamento.

 

  • Croazia. 1 maggio. Un filmato conferma le accuse di genocidio verso i serbi all’ex governo croato condotto dal deceduto Tudjman. La Televisione croata ha trasmesso il 25 aprile un filmato registrato della riunione del vertice politico e militare croato svoltosi alla vigilia dell’operazione militare “Tempesta” del 31 luglio del 1995. Nel corso della riunione l’allora sciovinista presidente croato Franjo Tudjman, ordinando che venisse bombardata la città di Knin, dichiarò che i serbi dovevano essere cacciati via e sparire dalla Croazia. In base ad alcune dichiarazioni pronunciate durante questa riunione, il tribunale dell’Aia ha accusato i generali croati Ante Gotovina, Ivan Cermak e Mladen Markac di aver partecipato all’impresa criminale del vertice politico e militare della Croazia di pulizia etnica verso i serbi in Croazia. L’operazione aveva l’appoggio della Germania e della NATO e sarebbe stata approvata dagli Stati Uniti se fosse stata eseguita in modo professionale e in pochi giorni, al pari dell’azione effettuata nella Slavonia occidentale. La procura statale della Croazia ha confermato precedentemente che questo filmato è autentico. Secondo i dati delle associazioni dei profughi serbi della Croazia, durante l’operazione Tempesta sono stati uccisi 2.400 serbi, la metà dei quali civili, mentre 250mila serbi sono stati costretti abbandonare il territorio croato. Tutte le loro case e edifici pubblici sono stati saccheggiati. Circa 20mila case sono state date alle fiamme.

 

  • Sahara Occidentale. 1 maggio. Il Consiglio di Sicurezza ha approvato l’altro ieri una risoluzione per colloqui diretti Polisario-Marocco sotto egida ONU per cercare una soluzione che «includa l’autodeterminazione per il popolo del Sahara occidentale». Il Polisario si è detto pronto a «negoziati diretti» con Rabat per «consentire al popolo saharawi di esercitare il diritto all’autodeterminazione».

 

  • Etiopia / Cina. 1 maggio. Sessantacinque etiopi e nove cinesi sono morti una settimana fa nella regione etiope dell’Ogaden, al confine con la Somalia, dove la quasi totalità della popolazione è di etnia somala. Altri sette lavoratori cinesi sono stati rapiti. L’attacco è avvenuto nei pressi di Abole (a circa 120 chilometri dalla capitale regionale Jijjiga) in un campo di esplorazione petrolifero gestito dalla Zhongyuan Petroleum Exploration Bureau, una società del gruppo cinese China Petroleum and Chemical Corporation, meglio nota come Sinopec. L’attacco è stato rivendicato dal portavoce del Fronte nazionale di liberazione dell’Ogaden. «Abbiamo più volte avvertito il governo cinese e quello etiopico sul fatto che non avevano nessun diritto a trivellare quelle zone. Sfortunatamente nessuno ci ha dato ascolto. Siamo dunque dovuti intervenire per difendere la nostra integrità territoriale. I rapiti saranno trattati umanamente finché saranno sotto la nostra protezione», ha dichiarato il portavoce Abdirahaman Amdhi. Il premier filo USA Meles Zenawi ha definito l’accaduto «un massacro a sangue freddo». Un’importante personalità del governo etiope, Bereket Simon, consigliere speciale del premier, non si è limitato ad accusare il Fronte nazionale di liberazione dell’Ogaden, ma ha aggiunto che è il governo eritreo a supportare queste azioni.

 

  • Etiopia / Somalia. 1 maggio. L’Ogaden è una regione dell’Etiopia sudorientale a lungo contesa tra Addis Abeba e Mogadiscio, che a riguardo si combatterono una feroce guerra di trincea alla fine degli anni ‘70. In quest’area vivono circa 4 milioni di persone, al 99% di etnia somala, in condizioni durissime, a causa della aridità del suolo, delle ripetute siccità seguite spesso da inondazioni (l’ultima solo alcuni mesi fa), ma anche dalla totale mancanza di infrastrutture e di aiuti da parte del governo centrale. È proprio su questa “dimenticanza” che i ribelli ricevono il sostegno della popolazione dell’area. Il Fronte nazionale di liberazione dell’Ogaden conduce una guerra a bassa intensità nell’area, chiedendone l’indipendenza. Mesi fa, prima dell’attacco etiope in Somalia, l’Ogaden era stata al centro di una dura battaglia verbale tra il governo etiope e l’Unione delle Corti Islamiche somale, che ne rivendicavano l’appartenenza appunto alla Somalia. Già lo scorso anno, il Fronte aveva avvertito che non avrebbe tollerato qualsiasi investimento effettuato nell’Ogaden di cui avesse beneficiato il governo centrale. Questa è comunque la prima volta che il gruppo attacca un’installazione petrolifera, per di più gestita da una compagnia straniera.

 

  • Libano. 1 maggio. Il tribunale ONU su Hariri «non ha precedenti nella storia». Lo sostiene il responsabile della diplomazia siriana, Walid Muallem, denunciando che gli statuti del tribunale per giudicare la morte, in un attentato, dell’ex primo ministro libanese, Rafic Hariri, «non hanno precedenti nella storia dei tribunali internazionali». «Questi statuti trasformeranno il procuratore generale –che sarà designato dall’ONU– in un alto commisario non solamente per il Libano ma in tutta la regione», denuncia. Il governo pro-occidentale di Fouad Siniora ha firmato la convenzione con l’ONU, ma manca la firma del presidente, Emile Lahoud, e del presidente del Parlamento, Nabih Berri. Muallem ha messo in guardia il Consiglio di Sicurezza dal creare un tribunale «che risponde solamente agli interessi particolari di Francia e Stati Uniti». «Un tribunale di questo tipo», aggiunge, «potrebbe acutizzare le divisioni in Libano (...) noi siamo invece favorevoli a che siano i libanesi a trovare un accordo». Ha quindi avvertito che, continuando gli attacchi del governo Siniora al suo paese, non saranno ristabilite le relazioni diplomatiche con il Libano.

 

  • Palestina. 1 maggio. C’è il rischio di una grande esplosione in Medio Oriente. Lo ha detto ieri Khaled Mechaal (Hamas) in un’intervista, da Il Cairo, al quotidiano di Ramallah Al-Ayyam. Secondo il dirigente, in esilio, dell’ufficio politico di Hamas, le drammatiche circostanze in cui vivono i palestinesi in Cisgiordania e Gaza sono simili a quelle che portarono all’Intifada alla fine degli anni Novanta. «Se il popolo palestinese continua a trovarsi tra la spada ed il muro, se continuano le sanzioni collettive e l’aggressione israeliana e se l’assenza di una prospettiva di soluzione politica persiste... tutto questo sfocerà in una grande esplosione che riguarderà non solo i palestinesi ma l’insieme della regione, e in particolare l’entità sionista», assicura il dirigente islamista, rifugiato a Damasco (Siria). Mechaal, a Il Cairo per un incontro con il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mahammud Abbas, ha denunciato le restrizioni finanziarie e diplomatiche internazionali nonostante la messa in essere, a marzo, di un governo di unità nazionale con Al Fatah.

 

  • Israele. 1 maggio. Vanunu potrebbe tornare in carcere. Nuova condanna per Mordechai Vanunu, l’ex tecnico della centrale atomica di Dimona che nel 1986, con le sue rilevazioni al Sunday Times, fece conoscere al mondo i programmi nucleari segreti di Israele. Il tribunale di Gerusalemme ieri lo ha riconosciuto colpevole di violazione delle pesanti restrizioni impostegli tre anni fa dopo la sua scarcerazione. Il verdetto potrebbe riportare in carcere Vanunu, che ha già scontato 18 anni di prigione, di cui 11 in isolamento totale. Secondo l’accusa, il tecnico nucleare avrebbe avuto contatti con giornalisti e cittadini stranieri e tentato di lasciare Gerusalemme per andare a Betlemme, in Cisgiordania. Le autorità israeliane, dieci giorni fa, gli avevano prolungato di sei mesi il divieto di espatrio, perché sarebbe ancora «custode» di informazioni riservate. Residente da tre anni nella zona araba di Gerusalemme, e convertito al cristianesimo, Vanunu ha più volte tentato, invano, di ottenere asilo politico all’estero.

 

  • Afghanistan. 1 maggio. Nuove proteste contro la NATO per la morte di civili. Migliaia di manifestanti sono scesi in strada nella provincia orientale di Nangarhar. È difficile che NATO ed USA ammettano la morte di civili nei frequenti bombardamenti sui villaggi. Recentemente la BBC ha documentato come, dopo un bombardamento, militari statunitensi collocassero armi accanto ai cadaveri spacciandoli poi per taliban uccisi. I video del giornalista suscitarono scalpore per qualche ora, poi tutto è passato nel dimenticatoio. I manifestanti hanno portato i cadaveri sulla strada principale della zona bloccandola. Slogan contro il presidente degli Stati Uniti, George Bush, il suo omologo fantoccio afgano, Hamid Karzai, e contro il governatore di Nangarhar.

 

  • Georgia. 1 maggio. Tbilisi è pronta ad un ingresso nella NATO entro la fine del 2007. Lo ha affermato il 19 aprile il presidente Mikhail Saakashvili. Secondo quanto rivelato dall’agenzia di notizie RIA Novosti, «la Georgia sarà pronta a passare al livello più alto del programma quest’anno, ragion per cui aspettiamo che ci venga riconosciuto lo status di candidato ufficiale entro pochi mesi». Con l’adesione nella NATO, Saakashvili ritiene di poter contare su un potente alleato per recuperare il controllo sulle regioni dell’Abkhazia e dell’Ossezia Meridionale, la cui indipendenza di fatto è sostenuta dalla Russia anche con truppe militari. Lo speaker del parlamento georgiano Nino Burdzhanadze ha affermato che la NATO «rappresenta una priorità» e che il paese sta ristrutturando il proprio apparato militare per adeguarsi agli standard previsti dal Trattato. Proprio il 10 aprile, il presidente USA George Bush aveva firmato il “NATO Freedom Consolidation Act”. Già approvato il 15 marzo dal Senato e il 26 marzo dalla Camera dei Rappresentanti, tale legge prevede uno stanziamento di 12 milioni di dollari di aiuti a Albania, Croazia, Macedonia, Georgia e Ucraina nel 2008, poiché «hanno chiaramente manifestato la loro volontà di entrare nella NATO e stanno lavorando alacremente per rispondere ai requisiti specifici richiesti per l’adesione».

 

  • USA. 1 maggio. Il generale delle forze aeree Henry Obering III, direttore del programma di difesa missilistica, ha affermato il 1 marzo che gli Stati Uniti vorrebbero piazzare elementi del loro sistema di difesa missilistica nel Caucaso Meridionale, non specificando però quale dei tre paesi ex sovietici verrà prescelto: Armenia, Azerbaigian o Georgia. La dichiarazione segue i piani USA rivelati in gennaio che prevedono il dispiegamento del sistema di difesa missilistica nella Repubblica Ceca e in Polonia per fronteggiare presunti attacchi da Iran e Nord Corea. Mosca, da parte sua, ha dichiarato che risponderà adeguatamente all’eventuale dispiegamento di uno scudo missilistico nel Caucaso.

 

  • Cina / Russia. 2 maggio. Relazioni diplomatiche ed economiche sì, ma una reale intesa strategica no. Perlomeno, non ancora. Questo, nei rapporti tra Cina e Russia, scaturisce dalla recente visita del presidente cinese Hu Jintao a Mosca (26-28 marzo 2007). I presidenti di Cina e Russia hanno mostrato di non volersi opporre in modo più deciso alle iniziative, spesso unilaterali, promosse dagli Stati Uniti sulla scacchiera mondiale. Nella dichiarazione finale del Summit non c’è alcuna critica agli Stati Uniti né dichiarazioni di principio su un possibile sistema internazionale multilaterale, garante di un ruolo politico maggiore per i due paesi. La ragione? Diffidenze reciproche.

 

  • Cina / Russia. 2 maggio. Pechino non segue Mosca sui due punti a cuore al Cremlino: l’opposizione al piano Ahtisaari sul futuro del Kosovo (che la Russia vede anche come un pericoloso precedente per spirali secessioniste che possano riguardarla) e al progetto USA del sistema di difesa anti-missile nell’Europea orientale. Di significativo, nella dichiarazione finale, ci sono due punti: entrambe le parti hanno posto in evidenza la necessità di risolvere pacificamente la crisi con Teheran. Un chiaro timore degli effetti destabilizzanti dell’aggressività statunitense sulla regione del Golfo Persico e sull’economia mondiale. Inoltre è indirettamente criticata la crescente presenza statunitense in Asia centrale. L’invocazione al rispetto per la «storia e le tradizioni culturali» dei paesi dell’Asia centrale, sottintende che entrambe le potenze non vedono favorevolmente modifiche dello status quo nella regione né sono ovviamente interessate allo sviluppo pro-occidentale delle repubbliche nate dal collasso della Unione Sovietica. Gli interessi di Cina e Russia in Asia centrale restano tuttavia conflittuali, soprattutto per quanto riguarda l’accesso alle risorse naturali di cui l’area è ricca.

 

  • Cina / Russia. 2 maggio. Sull’interscambio commerciale che conta non mancano le frizioni. Mosca è sempre restia a vendere sistemi d’arma avanzati alla Cina né intende avviare produzioni congiunte o su licenza in territorio cinese, nonostante la firma di contratti su, principalmente, forniture di minerali, acciaio e aerei commerciali. Il Cremlino non intende creare legami di interdipendenza con l’economia cinese. Non sorprende che il progetto di costruire un oleodotto che colleghi i giacimenti petroliferi della Siberia orientale con la città cinese di Daqin sia stato ulteriormente rinviato. Mosca sta seriamente riflettendo sull’opportunità di modificarne il tracciato facendolo terminare a Nakhodka sulla costa dell’oceano Pacifico. Questa variante permetterebbe ai russi di offrire i prodotti petroliferi siberiani non solo alla Cina ma anche al Giappone e alla Corea del Sud. La Federazione russa ha chiaramente condizionato la vendita di maggiori quantità di idrocarburi alla disponibilità cinese di aprire i propri mercati ai prodotti industriali russi (mezzi di trasporto, prodotti agricoli e impiantistica nucleare). La firma di un accordo tendente ad aumentare le esportazioni di petrolio russe verso la Cina da 10 a 15 milioni di tonnellate all’anno, prevista nel corso della visita del premier cinese, è stata annullata. Ufficialmente, la causa è stata imputata al perdurante contenzioso tra la società Rosneft e le ferrovie russe circa l’ammontare delle tariffe di transito. La cooperazione bilaterale nel settore del gas rimane anche qui difficoltosa. Nonostante l’offerta russa dell’anno scorso di creare un gasdotto che legasse i giacimenti siberiani alla Cina, non sembra che il Summit abbia offerto l’occasione per concludere le negoziazioni e per definirne i tempi di esecuzione che rimangono lunghi e incerti.

 

  • Venezuela. 2 maggio. Lo Stato prende possesso dei campi dell’Orinoco. Ieri, primo maggio, in un atto «popolare» alla presenza del presidente Hugo Chávez «accompagnato dai militari», la Pdvsa, compagnia statale del petrolio, ha preso il controllo dei campi petroliferi gestiti finora dalle compagnie straniere nella fascia dell’Orinoco, la nuova «Arabia Saudita venezuelana». Il 25 aprile il ministro per l’energia e petrolio, Rafael Ramirez, aveva firmato i memorandum d’intesa con 13 imprese straniere concessionarie per i nuovi contratti «di associazione strategica». Solo la statunitense ConocoPhillips e l’italiana Eni non l’hanno sinora fatto. Il controllo nell’Orinoco configura «il recupero della piena sovranità petrolifera» ha detto Chávez. Dopo aver aumentato royalities e imposte, ora si «nazionalizza», formando società miste in cui Pdvsa avrà almeno il 60% delle azioni. Per questo c’è tempo fino al 26 agosto, poi gli accordi passeranno all’esame del Congresso.

 

  • Venezuela. 2 maggio. L’uscita del Venezuela dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) e dalla Banca Mondiale (BM), annunciata due giorni fa dal presidente Hugo Chávez, «non implica l’isolamento economico del paese che, anzi, approfondirà i suoi rapporti con i paesi latinoamericani»: così il ministro delle Finanze di Caracas, Rodrigo Cabezas, ha replicato al portavoce del Dipartimento di Stato USA, Sean McCormack, rivendicando la «sovranità economica del Venezuela» rispetto a FMI e BM, giudicati «meccanismi dell’imperialismo». Secondo Cabezas, «FMI e BM hanno voltato le spalle all’America Latina e per questo oggi i paesi più importanti della regione, Brasile, Argentina e Venezuela, non hanno più debiti con loro».

 

  • Venezuela. 2 maggio. Già il mese scorso il governo di Caracas aveva cancellato tutti i debiti con i due organismi finanziari, debiti che sarebbero scaduti nel 2012. Così il ministro delle Finanze, Rodrigo Cabezas, aveva dato l’annuncio: «Signori del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale vi salutiamo. Il Venezuela è libero e grazie a Dio, né i venezuelani di oggi né i bambini che nasceranno avranno un solo centesimo di debito con questi organismi dominati dai falchi statunitensi». Termina un lungo periodo di dipendenza che aveva toccato i suoi massimi livelli nel 1989, quando il debito estero del Venezuela si aggirava sui 25.000 milioni di dollari e non c’erano soldi per pagarlo. Il governo di Carlos Andrés Pérez firmò in quell’occasione un accordo con il Fondo, impegnandosi a un rigido programma di austerità che provocò la rivolta sociale nota come Caracazo.

 

  • Venezuela. 2 maggio. Giornata lavorativa a 6 ore, dal 1° maggio 2010. L’annuncio, ieri, è di Hugo Chávez, in occasione della Festa del Primo maggio. La neo costituita commissione presidenziale promuoverà una riforma costituzionale tendente ad arrivare progressivamente a quella data. L’obiettivo è una nuova riorganizzazione della giornata dell’uomo: 6 ore per il lavoro, 6 ore per dormire, 6 ore per lo svago e 6 ore per la formazione e la rigenerazione, per alimentare il corpo e formare il cervello. Non meno importanti gli altri provvedimenti annunciati: da oggi il salario minimo in Venezuela passa a 614.000 bolivares circa, con un aumento del 20%. È bene ricordare che il salario minimo è accompagnato anche da un buono pasto giornaliero. Negli otto anni di governo Chávez il recupero del potere d’acquisto reale del salario del lavoratore è cresciuto come in pochi paesi al mondo: dai circa 30 dollari USA mensili del 1999, anno dell’arrivo di Hugo Chávez al Governo, ai poco meno di 300 dollari USA mensili attuali; in realtà aggiungendo il valore del buono pasto giornaliero, il salario minimo supera abbondantemente i 400 dollari USA mensili. Va anche considerato che, quando Chávez arriva al governo, l’inflazione, che nel 1996 arrivò a superare il 100%, divorava interamente lo scarso salario; negli anni di Chávez l’aumento del salario è sempre stato al di sopra dell’inflazione.

 

  • Venezuela. 2 maggio. Altri i provvedimenti annunciati e che da oggi entrano in vigore per migliorare la qualità della vita delle fasce più deboli. Istituita la pensione sociale (il 60% del salario minimo) per le persone anziane (61 anni di età) che non hanno versato contributi previdenziali e che fino ad oggi non avevano diritto a nessuna fonte di reddito. Oggi è anche il giorno della fine della “Apertura petrolifera”, ossia la legge che permise la privatizzazione del settore petrolifero, pur in presenza di una legge costituzionale che riservava l’attività lucrativa nel settore petrolifero ed energetico esclusivamente allo Stato. Con l’”apertura petrolifera” negli anni Novanta si permise praticamente la privatizzazione del settore. A partire da oggi, l’attività torna ad essere interamente di uso esclusivo dello Stato. Grazie al recupero degli introiti derivanti dallo sfruttamento delle fonti energetiche, il governo Chávez sta operando una ridistribuzione delle ricchezze più giusta ed indirizzata fortemente a pagare l’enorme “debito sociale” di cui furono vittime le classi lavoratrici e più povere. Fino all’avvento del Governo Chávez, le enormi ricchezze del Venezuela erano invece ad appannaggio esclusivo delle classi oligarchiche e di governo. Il grosso della popolazione (70%) sopravviveva con circa 30 dollari USA mensili di salario minimo, senza aver diritto a sanità, educazione, formazione, pensione, assistenza sociale.

 

  • Catalogna / Euskal Herria. 3 maggio. Presentato ieri un manifesto per esigere l’abrogazione della Legge dei Partiti. Si tratta di una normativa, varata su misura dal governo di destra Aznar, per illegalizzare qualsiasi formazione indipendentista basca. L’iniziativa catalana “Sì al Processo”, nella sede della Federazione Catalana delle ONG per lo sviluppo, ha sollecitato la partecipazione della sinistra patriottica basca alle prossime elezioni forali e municipali del 27 maggio. Secondo l’avvocato catalano Jaume Asens la «normativa è da tempi di guerra» e la giornalista Elvira Altés ha rivendicato «di fronte a questa legge di esercitare il diritto a scandalizzarci». La campagna “Sì al Processo”, iniziata alla fine del 2006, si batte per un processo democratico in Euskal Herria e rifiuta una «legge che suppone la violazione del diritto di associazione, partecipazione e libertà di espressione».

 

  • Unione Europea / Palestina. 3 maggio. Aiuti all’Anp (Autorità nazionale palestinese): la Commissione Europea bacchetta gli europarlamentari. Nel giorno in cui decine di migliaia di lavoratori palestinesi hanno incrociato le braccia per chiedere il pagamento dei salari arretrati, la commissaria Waldner ha rimproverato un gruppo di europarlamentari «colpevoli» di sollecitare il riconoscimento del governo di unità nazionale tra Fatah ed Hamas e la rottura dell’embargo che –secondo gli ultimi rapporti delle Nazioni Unite– sta riducendo la Palestina alla fame e sull’orlo di un disastro economico-umanitario. L’Unione Europea è il principale donatore nei Territori Occupati. Un gruppo di 12 europarlamentari guidato da Luisa Morgantini (Sinistra europea) aveva portato la propria solidarietà al governo di unità nazionale, incontrando l’altro ieri, tra gli altri, il premier di Hamas Haniyeh. Il Parlamento europeo non è «il rappresentante ufficiale» della politica estera nell’Unione Europea, si è affrettata a dichiarare Christiane Hohmann, portavoce del commissario UE alle relazioni esterne Ferrero Waldner. La presidenza tedesca resta tiepida sull’ipotesi di aprire a un governo in cui ci sono ministri indipendenti eletti nelle liste di Hamas, mentre Gran Bretagna, Olanda e gran parte dei nuovi membri dell’Europa a 27 restano appiattiti sulla posizione USA-israeliana: nessuna trattativa, in modo da ottenere governi palestinesi sempre più deboli, per non disturbare la colonizzazione israeliana.

 

  • Libano. 3 maggio. Elogio senza precedenti di Hassan Nasrallah della politica israeliana. Ieri il massimo dirigente del movimento della Resistenza libanese Hezbollah, ha detto di «rispettare» l’ammissione del fallimento israeliano nel conflitto della scorsa estate con i suoi uomini in Libano. «È degna di rispetto la circostanza che una commissione d’inchiesta, nominata dallo stesso primo ministro israeliano Ehud Olmert, lo abbia condannato», ha aggiunto. Il riferimento è alla pubblicazione del rapporto Winograd sul fallimento dell’offensiva che la scorsa estate ha devastato il Libano del sud e i quartieri meridionali di Beirut. Il leader di Hezbollah ha quindi detto: «Il primo risultato importante della commissione è di aver finalmente ed ufficialmente detto una parola decisiva su chi abbia vinto e chi abbia perso» in quanto la commissione stessa «ha parlato di una grandissima sconfitta» per gli israeliani.

 

  • Libano. 3 maggio. Il rapporto Winograd indirettamente riconosce che il reale vincitore nella guerra d’aggressione di Israele dell’estate scorsa è proprio Hezbollah. Questa non è rimasta, nel frattempo, con le mani in mano: la sua attività tra i “diseredati nella propria terra”, così come definiti dall’imam Moussa Sadr, figura di spicco dello sciismo libanese, è proseguita e prosegue incessantemente attraverso le molteplici realtà assistenziali in senso lato di cui è dotata la struttura del partito, impegnate nell’aiuto alla ricostruzione, nell’assistenza medica, nell’aiuto per la ricerca di un impiego ed altre attività di ausilio alla popolazione. «Jihad al-Binaa», la fondazione di Hezbollah che si occupa della ricostruzione, ha dato a chi ha perso la casa 10 mila dollari, che se ne vanno per pagare gli affitti, raddoppiati dalla fine del conflitto. Inoltre Hezbollah, grazie a donazioni iraniane (112 milioni di dollari), sta riparando migliaia di case e costruendo centinaia di edifici (lavori a buon punto a Beirut). La credibilità e la stima sociale nei confronti di Hezbollah, anche in tal modo, è prepotentemente in crescita ben al di là dell’area sciita del paese.

 

  • Libano. 3 maggio. La strage di Qana con i suoi 29 morti? I civili fatti a pezzi dai razzi sganciati dai caccia israeliani mentre cercavano di mettersi in salvo? Le distruzioni immense in sud Libano e nei quartieri meridionali di Beirut? Di tutto ciò non c’è traccia nel rapporto Winograd. La guerra della scorsa estate, hanno confermato i membri della commissione d’inchiesta israeliana, è stata giusta; l’unico problema è che lo Stato sionista non è riuscita a vincerla a causa dell’incompetenza del primo ministro Olmert, del ministro della Difesa Peretz e dell’ex capo di Stato maggiore Dan Halutz. Circa 1.200 libanesi, in gran parte civili, e 158 israeliani, 119 dei quali militari, sono stati uccisi nel conflitto del luglio-agosto 2006. Nei 34 giorni della guerra scatenata da Israele dopo la cattura di due suoi soldati da parte di Hezbollah, la distruzione in Libano è stata rapida e vasta. Infrastrutture civili, strade, ponti, sono stati polverizzati nel sud del paese. Diversi villaggi e cittadine sono stati in gran parte distrutti dall’artiglieria e dall’aviazione di Israele «in preparazione» dell’offensiva di terra. Bint Jneil è stato raso al suolo per il 45%. I danni ammontano a oltre cinque miliardi di dollari. Non vanno dimenticati anche i danni ingenti alle industrie, le centinaia di milioni di dollari perduti dal turismo (che è uno dei settori trainanti dell’economia), i disastri ambientali causati dai bombardamenti (diverse inchieste hanno anche provato la sperimentazione di nuove armi di distruzioni di massa o l’impiego di armi proibite internazionalmente) e le migliaia di contadini delle regioni meridionali che non possono recarsi nei campi, oppure lo fanno rischiando la vita, a causa della presenza delle bombe a grappolo sganciate da Israele. Durante la guerra Israele ha lanciato sul Libano dai 3.000 ai 6.000 ordigni al giorno e, secondo i dati diffusi dall’UnMacc (l’agenzia dell’ONU per lo sminamento del Libano), attualmente vi sono ancora un milione di bombe inesplose. Due giorni fa Chris Clark, direttore dell’UnMacc, ha riferito che sono al lavoro ogni giorno 60 squadre di sminatori che dovrebbero terminare il loro compito entro la fine del 2007. Dalla fine del conflitto sono stati uccisi dall’esplosione di ordigni abbandonati 22 civili (178 i feriti). Numeri su cui la Commissione Winograd non ha mostrato il minimo interesse.

 

  • Ecuador. 3 maggio. Niente manovre con gli USA. María Fernanda Espinosa e Lorena Escudero, rispettivamente ministre degli Esteri e della Difesa, hanno annunciato che l’Ecuador non parteciperà alle manovre militari Unitas 2007, programmate con le marina di USA, Colombia, Perù e Cile. Secondo il presidente Correa, la decisione «rientra nella determinazione del governo nazionale di salvaguardare la sua sovranità e dignità». Negli scorsi anni, contro le manovre Unitas si erano pronunciate associazioni sociali e politiche, che le avevano definite «un’ingerenza e una prova di invasione».

 

  • Irlanda del Nord. 4 maggio. L’UVF dà per finita la sua campagna militare. L’organizzazione paramilitare lealista più temuta in Irlanda, l’UVF (Forza Volontaria dell’Ulster), conosciuta anche come Comando della Mano Rossa, si è dissolta alla mezzanotte di ieri e si è trasformata in un’organizzazione civile. Il suo armamento –ha sostenuto l’ex prigioniero lealista e fondatore del gruppo paramilitare nel 1966, Gusty Spence– non è più nella disponibilità dei militanti, le attività di reclutamento, addestramento militare e selezione degli obiettivi sono cessate e le unità in servizio attivo disattivate. La Commissione di Messa Fuori Uso delle Armi, guidata dal canadese John de Chastelain, ha però già fatto sapere che le modalità di disarmo dell’UVF non adempiono ai requisiti richiesti. In un’intervista alla rete pubblica irlandese RTU, l’ex prigioniero dell’UVF Tom Roberts ha dichiarato che la decisione dell’UVF di rendere pubblica tale dichiarazione  in questo momento è un’indicazione chiara che «l’UVF e la Mano Rossa sono contenti del ripristino delle istituzioni politiche e della compresenza di Ian Paisley e Martin McGuinness nel governo».

 

  • Montenegro. 4 maggio. «Questo accordo sullo status delle forze, che il presidente Vujanovic e io firmiamo, stabilisce una base perché personale militare degli Stati Uniti operi in Montenegro per attività reciprocamente concordate». Così, a Washington, la segretaria di Stato Condoleezza Rice ha annunciato che il Montenegro diventa una base per le truppe USA. La firma del trattato militare «bilaterale» vede da un lato l’unica superpotenza rimasta sulla terra e dall’altro uno staterello balcanico di 14mila km2 (meno della Puglia), con 650mila abitanti (un sesto di quella pugliese) e senza ancora nemmeno un soldato perché non esiste una legge di difesa che abbia istituito un esercito. Nell’accordo Washington si è assicurata l’impunità per qualsiasi atto compiano i suoi militari in territorio montenegrino.

  • Montenegro. 4 maggio. Nemmeno un anno fa, il 3 giugno 2006, il Montenegro dichiarava l’indipendenza dalla Serbia, per diventare adesso una base militare statunitense. Questa (formale) indipendenza fu fortemente voluta prima dall’Amministrazione Clinton, tramite l’allora segretario di Stato Madeleine Albright, poi nell’agosto 2006 sono state stabilite le relazioni displomatiche e, in settembre, l’allora capo del Pentagono, Donald Rumsfeld, effettuò una visita in Montenegro preparando il terreno all’odierno accordo militare.

  • Montenegro. 4 maggio. Il Montenegro è un trampolino di lancio decisivo per proiettare forze militari ad est e a sud con gli aeroporti di Podgorica e Tivt. Il porto di Bar, già in parte sede della marina jugoslava, ora diverrà base delle forze navali USA e scalo per i sottomarini nucleari statunitensi che saranno spostati dalla base italiana de La Maddalena. L’immensa portaerei USA si sposta cioè dal Mediterraneo all’Adriatico. Dopo le basi in Bosnia e l’immenso complesso militare di Camp Bondsteel in Kosovo, gli Stati Uniti con questo nuovo accordo si avviano a controllare tutto il sud-est europeo. Con un occhio al sistema di «scudo» anti-missili USA in Europa, dopo la Repubblica Ceca e la Polonia: il Montenegro per la sua posizione geografica, è infatti particolarmente adatto per l’installazione sia di radar che di missili intercettori rivolti verso Medio Oriente e Nord Africa.

 

  • Russia. 4 maggio. «La Russia è libera di procedere a spostamenti di truppe sul proprio territorio senza notificarli ai colleghi della NATO». Lo ha detto il vice primo ministro Serghei Ivanov sottolineando che tale obbligo è venuto meno con il congelamento dell’impegno russo al rispetto del trattato sulle Forze convenzionali in Europa (CFE), annunciato la settimana scorsa da Vladimir Putin. «Abbiamo proclamato una moratoria e quindi non informeremo nessuno sui movimenti di truppe sul nostro territorio», ha detto Ivanov, secondo cui comunque il CFE «resta la pietra angolare della sicurezza in Europa». Il vice premier ha ribadito che la moratoria resterà in vigore fino a quando tutti i paesi NATO non avranno ratificato il testo emendato nel 1999 dello storico trattato del 1990.

 

  • Iraq. 4 maggio. Dichiarazione choc che sta suscitando polemiche in Gran Bretagna. L’ex generale britannico Michael Rose ha detto di comprendere la resistenza irachena. Ha equiparato la sua lotta alla guerra statunitense di indipendenza. «Già l’ho detto a lord Chathman. Se fossi stato americano, mentre gli inglesi rimanevano in terra americana, non avrei mai deposto le mie armi».

 

  • Scozia / Gran Bretagna. 5 maggio. Elezioni, Blair contento: «Non è stata una catastrofe». Nonostante il sorriso del primo ministro inglese, in Scozia, dove si sono segnalati problemi con lo spoglio elettronico tanto da far gridare ai brogli, i nazionalisti dello Scottish Nationalist Party hanno vinto conquistando 47 dei 129 seggi del parlamento decentrato. Se è vero che i laburisti hanno perso 4 seggi rispetto alle precedenti elezioni (50 contro gli attuali 46), il risultato dello SNP è stato strepitoso: un raddoppio dei seggi da 27 a 47. Il leader Alex Salmond ha parlato di «forte richiesta di indipendenza» dal potere centrale di Londra. In Galles, invece, i laburisti si confermano il primo partito, pur perdendo 3 seggi (26 quelli attuali). Segue il nazionalista Plaid Cymru che ha ottenuto 15 seggi, 3 in più che nelle precedenti elezioni. Il Labour non è in grado di stare al governo da solo in Galles e dovrà ricorrere ancora una volta ai voti dei liberal-democratici che giovedì hanno mantenuto i 6 seggi che avevano. In Inghilterra i conservatori spadroneggiano conquistando 157 seggi nei vari enti locali: ben 37 seggi in più che nelle precedenti amministrative. Il Labour, a spoglio quasi completo, conquista solo 33 seggi e ne perde 8. Anche i liberal-democratici non sono andati bene: hanno ottenuto 22 seggi, 5 in meno che nella precedente tornata elettorale.Quella di giovedì per Tony Blair è una sconfitta pesante soprattutto perché il premier aveva fatto della creazione di parlamenti decentrati in Scozia, Galles e nord-Irlanda uno dei suoi cavalli di battaglia nella campagna elettorale del 1997 che lo portò alla trionfale elezione il 1° maggio di quell’anno. Una politica allora premiata sia dai gallesi che dagli scozzesi nelle prime elezioni dei nuovi parlamenti, tenutesi nel 1999.

 

  • Ucraina. 5 maggio. Accordo per elezioni anticipate anticrisi. Il presidente Viktor Yushenko e il primo ministro Viktor Yanukovich hanno annunciato ieri un accordo per uscire dalla crisi istituzionale che attanaglia l’Ucraina: si terranno elezioni politiche anticipate, in data da stabilire. L’accordo ha provocato sconcerto e irritazione nei partiti minori dei due opposti schieramenti (si sono levate voci di «tradimento»), ma soprattutto lascia aperte questioni cruciali come la data del voto, le sue condizioni, l’attività che il parlamento potrà continuare a svolgere nel frattempo. Tutte cose che un gruppo di lavoro comune dovrà decidere «entro un paio di giorni». La crisi era iniziata quando Yushenko aveva definito «incostituzionale e illegale» l’«acquisto» di un certo numero di deputati da parte della maggioranza guidata dal premier, e aveva deciso di sciogliere il parlamento fissando le elezioni, rifiutate dalla maggioranza di governo, al 24 giugno. Yanukovich aveva replicato rilanciando al mittente l’accusa di incostituzionalità e chiedendo elezioni presidenziali anticipate in contemporanea alle legislative.

 

  • Iran. 5 maggio. Il vertice di Sharm el-Sheikh sull’Iraq si chiude con un attacco iraniano agli Stati Uniti: «via le truppe occupanti, causa della violenza a Baghdad». Che la stretta di mano tra USA ed Iran sia stata impedita da una violinista in abiti succinti, è una bufala: il ministro degli esteri iraniano Mottaki aveva abbandonato il posto al quale era stato assegnato –di fronte al suo omologo statunitense Condoleezza Rice– prima che quest’ultima si sedesse a tavola per una cena a margine della conferenza di Sharm el Sheikh sul futuro dell’Iraq. Mottaki aveva in precedenza attaccato l’Amministrazione Bush e chiesto il ritiro delle truppe occupanti, segnalando che la repubblica islamica ha ancora troppi contenziosi aperti per poter avviare un dialogo ad alto livello con Washington. Per Mottaki «il governo degli Stati Uniti deve presentare il suo piano per il ritiro dall’Iraq per permettere il ritorno di pace e stabilità nel Paese». Il ministro degli esteri iraniano ha poi ricordato la questione dell’attacco al consolato iraniano con l’arresto, da parte degli USA, di quelli che Teheran difende come diplomatici iraniani. Se questa questione e quella del programma nucleare (che Teheran assicura essere a fini esclusivamente civili) non verranno risolte in maniera soddisfacente per la repubblica islamica, Teheran non avrà alcun interesse ad “aiutare” Washington sullo scacchiere iracheno, dove può contare su un governo amico (i due principali partiti al potere, lo Sciri e il Dawa, furono fondati in Iran) e su una situazione militare disastrosa per le truppe occupanti. Mentre il tempo logora gli occupanti, Mottaki ribatte affermando che «c’è bisogno di tempo per risolvere i problemi: un meeting tra due ministri degli Esteri necessita di condizioni» precise e si deve trattare «di incontri sostanziali e non teatrali».

  • USA. 5 maggio. La tortura piace a un marine su tre. Lo sostiene una ricerca dell’equipe di psicologi dello stesso esercito USA, secondo i quali un soldato su dieci ha ammesso di aver maltrattato i civili. Gli esperti hanno riscontrato un aumento dello stress psicologico e delle malattie mentali gravi nelle truppe inviate in Iraq, costrette a massacranti turni di pattugliamento e spesso alla seconda o la terza missione nel Paese. «Guardano sotto ogni pietra, e spesso ciò che trovano non è facile da monitorare», ha commentato Ward Casscells, il capo del dipartimento Salute del Pentagono

 

  • Scozia / Gran Bretagna. 6 maggio. Alex Salmond (SNP), disposto a collaborare con lo scozzese Gordon Brown se diventerà primo ministro britannico. Il leader del Partito Nazionalista Scozzese (SNP), Alex Salmond, ha definito «storici» i risultati di giovedì in Scozia, che hanno visto la sua formazione vincitrice per la prima volta in 50 anni. Salmon ha proposto un referendum per il 2010 per l’indipendenza della Scozia dopo 300 anni di unione con l’Inghilterra. Allo stato attuale in Scozia vige una parziale autonomia. ad eccezione di politica estera, immigrazione, difesa, sicurezza sociale, impiego e sicurezza nazionale, il resto dei poteri corrispondono al Parlamento di Holyrood.

 

  • Unione Europea. 6 maggio. Prove di libero scambio tra Unione Europea e Stati del Golfo. Martedì prossimo si riunirà a Ryad il “Consiglio ministeriale congiunto”, dedicato al perfezionamento di un accordo di libero scambio tra rappresentanti di Bruxelles e degli Stati del Golfo che hanno aderito al “Consiglio di cooperazione”: Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar. Un accordo prettamente economico che la diplomazia europea ritiene «essenziale» anche per il rafforzamento dei legami politici e strategici tra UE e paesi del Golfo. E per cercare un nuovo slancio nel comune impegno per la sicurezza. Il viceministro degli esteri Ugo Intini sottolinea che verso la firma di un accordo «sono stati fatti notevoli progressi», anche se devono ancora essere chiariti diversi punti, in particolare le norme per gli investimenti ed il libero accesso al mercato dei servizi. L’Accordo di libero scambio UE-paesi dell’area del Golfo prende le mosse dall’accordo di cooperazione firmato nel 1988 dalla Comunità europea e dal “Consiglio di cooperazione” del Golfo per favorire le relazioni commerciali e promuovere la stabilità dell’area. In quell’occasione ci si impegnò ad avviare i negoziati per la firma di un accordo di libero scambio, non appena nell’ambito del “Consiglio di cooperazione” del Golfo fosse stata avviata la prevista Unione Doganale. I negoziati, di fatto avviati nel 2002, hanno avuto un’accelerazione dall’autunno del 2005 e nel settembre del 2006. L’opportunità di chiudere il negoziato e giungere alla firma dell’accordo è stata sottolineata anche alla riunione dei ministri degli esteri del gennaio scorso.

 

  • Pakistan. 6 maggio. Migliaia di persone in piazza contro Musharraf e per acclamare il capo della Corte suprema Iftikhar Chaudhry. Chaudhry è stato rimosso dall’incarico dal presidente Parvez Musharraf con un gesto d’autorità che ha suscitato le proteste di avvocati e magistrati (represse brutalmente dalla polizia), della stampa e delle organizzazioni per i diritti umani, nonché dell’opposizione pakistana. Una manifestazione di solidarietà con il giudice è prevista a Lahore, capitale del Punjab pakistano, ma ha avuto un antefatto ieri: partito da Islamabad, il viaggio in auto del giudice Chaudhry, lungo i 300 chilometri della Islamabad-Lahore, è durato 25 ore per la presenza di folle che hanno salutato il passaggio della macchina con tamburi, mortaretti, petali di rosa e con cartelli e slogan «Musharraf se ne deve andare». «Le dittature appartengono al passato e i paesi che non rispettano le regole del diritto sono destinati all’autodistruzione», aveva poi detto Chaudry a Lahore davanti a centinaia di migliaia di persone.

 

  • Pakistan. 6 maggio. Secondo vari analisti, il giudice supremo sarebbe stato fatto fuori da Musharraf non solo per aver avviato inchieste sulla corruzione e su certe privatizzazioni poco trasparenti, ma soprattutto perché si opponeva all’ennesimo colpo di mano del presidente-generale per rimanere in sella. Musharraf, arrivato al potere con un colpo di stato 7 anni fa, che continua a tenere un piede nella massima carica dello Stato e l’altro nella massima carica dell’esercito, progetta infatti, in violazione della Costituzione, di farsi rieleggere presidente dall’attuale parlamento, a lui fedele, invece che da quello che verrà rinnovato con le elezioni di ottobre –e che probabilmente vedrà un cambio di maggioranza. Chaudry è stato in grado di catalizzare e risvegliare le confuse speranze di cambiamento di tutti i pachistani stanchi di Musharraf, del suo autoritario e corrotto regime.

 

  • Pakistan. 7 maggio. La Corte Suprema del Pakistan ha sospeso l’inchiesta giudiziaria sul suo ex presidente Iftikhar Chaudry per presunti abusi nell’esercizio delle sue funzioni che ha provocato settimane di proteste in tutto il Paese. Il tribunale ha ordinato la sospensione, una decisione che potrebbe mettere in imbarazzo il governo del presidente Pervez Musharraf, dopo aver esaminato un ricorso dello stesso Chaudry.

 

  • Irlanda del Nord. 8 maggio. Si è insediato oggi, dopo cinque anni di sospensione, il nuovo governo autonomo nord-irlandese, comprendente unionisti e repubblicani. La nascita del nuovo governo nord-irlandese è una data storica per la regione. Paisley (DUP) e McGuinness (Sinn Féin), un ex comandante dell’IRA, guideranno un esecutivo composto da quattro ministri del DUP, tre del Sinn Féin, due del Partito Unionista (UUP), e uno del Partito Socialdemocratico e Laburista (SDLP). Peter Robinson, Nigel Dodds, Edwin Poots e Arlene Foster sono i titolari di Finanze, Imprese, Cultura e Medioambiente, rispettivamente, per il DUP. Il figlio di Paisley ed il repubblicano Gerry Kelly occuperanno i posti di segretario di Stato nell’Ufficio dei Ministri e Viceministro Principale. Per il Sinn Féin ci sono Conor Murphy, Michelle Gildernew e Catriona Ruane come titolari di Sviluppo Regionale, Agricultura ed Educazione. Il dirigente dell’UUP, Reg Empey, guiderà il dicastero di Impiego e Formazione ed il suo collega di partito Michael McGimpsey quello della Sanità. Il SDLP dirigerà il Ministero dello Sviluppo Sociale attraverso Margaret Ritchie.

 

  • Irlanda del Nord. 8 maggio. Il giuramento d’insediamento dei neoministri ha incluso anche il controverso vincolo a sostenere la nuova polizia del nord Irlanda (erede della famigerata Royal Ulster Constabulary, Ruc) e i tribunali. Ha commentato Martin McGuinness: «penso che tutti coloro che oggi hanno assistito alla cerimonia di insediamento del governo hanno rivolto un pensiero ai tanti morti di questa guerra. Tutti noi siamo consapevoli che bisogna continuare su questa strada, per abbandonare definitivamente la situazione di ingiustizia, discriminazione, violenza, guerra in cui ci siamo trovati per troppi anni e che ancora non abbiamo superato». Il presidente del partito repubblicano (Sinn Féin), Gerry Adams, ha ricordato che «tante ancora sono le sfide che ci attendono, ma sapremo vincerle».

  • Italia / Libano. 8 maggio.  I circa 2.500 soldati della Folgore impegnati  in Libano nella Unifil sono «la vetrina migliore del paese». Parole sorprendenti da parte di Fausto Bertinotti, presidente della Camera, rilasciate a Beirut, che hanno creato malumori anche nel suo partito, Rifondazione Comunista. Da ieri ha iniziato la sua visita nei Territori occupati palestinesi e in Israele. A Ramallah e si espresso contro il blocco ai finanziamenti all’Autorità Nazionale Palestinese senza però fare menzione delle responsabilità israeliane. C’è chi ha proposto di assegnare a Bertinotti «una medaglia al valore per il più audace e penoso trasformismo». In Israele, ieri, il presidente della Camera aveva incredibilmente ammorbidito la condanna del «Muro» israeliano in Cisgiordania fatta anche dal suo partito, suggerendo, di fatto, di abbatterlo quando ci sarà la pace (e nel frattempo centinaia di migliaia di palestinesi come potranno vivere?).

 

  • Israele. 8 maggio. «Israele tortura e sevizia». Lo denunciano Betselem (l’Organizzazione per la tutela dei diritti umani nei Territori occupati) e Ha-Moked (il Centro per la protezione dell’individuo), due note organizzazioni umanitarie israeliane, che accusano lo Shin Bet, i servizi segreti interni, di abusi sistematici, umiliazioni, torture sui prigionieri palestinesi. Nel rapporto reso pubblico domenica sono contenute le testimonianze di 73 palestinesi sottoposti a interrogatorio fra il luglio del 2005 e il marzo del 2006. Il rapporto, a quanto sottolinea l’edizione elettronica di Haaretz, parla di alcune tipologie di interrogatorio, come la privazione di sonno per oltre 24 ore (in 15 casi su 73), «percosse invisibili» che non lasciano tracce (17 casi), l’obbligo di rimanere nella «posizione del rospo» (3 casi), o nella «posizione della banana» (5 casi). «Queste pratiche sono chiaramente classificate come torture dalla legge internazionale» sottolinea il rapporto, che critica anche la «collusione» con il sistema giudiziario israeliano. Secondo le due organizzazioni dal 2001 sono state presentate 500 denunce per maltrattamenti contro lo Shin Bet ma in nessun caso è stata aperta un’inchiesta criminale. Le denunce vengono sottoposte all’esame, per verificarne l’attendibilità, dello stesso Shin Bet. Le due organizzazioni denunciano peraltro una sentenza dell’Alta Corte israeliana, che esonora membri della sicurezza interna da ogni accusa nel caso in cui credano che le persone che stanno interrogando abbiano informazioni relative a un «attacco terroristico» in preparazione. Una sorta di via libera alla tortura di Stato.

 

  • Israele. 8 maggio. Il parlamento (Knesset) ha respinto ieri tre mozioni di sfiducia presentate dall’opposizione contro il primo ministro Ehud Olmert, ad una settimana dal rapporto Winograd che lo ha criticato duramente per la conduzione della guerra in Libano, nell’estate scorsa. Olmert e il ministro della Difesa, il