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Vacanze etiche

di Silvia Pochettino - 21/05/2007

 

«In pratica, si tratta di viaggiare immergendosi nella realtà visitata, utilizzando il più possibile i mezzi di trasporto locale, dormendo in piccole strutture familiari, preferendo le specialità locali al cibo importato. Ovvero costruendo alternative reali al turismo di massa»«Con 294 proposte di viaggio in tutti i continenti, il movimento per il turismo responsabile in Italia sembra giunto alla maggiore età. Nel maggio del ’98, 11 associazioni italiane hanno dato vita a Milano ad Aitr, l’Associazione italiana turismo responsabile, che raccoglie 85 organizzazioni»

 

Entrato nel decimo anno di vita, con 294 proposte di viaggio in tutti i continenti, il movimento per il turismo responsabile in Italia sembra giunto alla maggiore età. Grande strada è stata percorsa da quando, nel maggio del '98, undici associazioni italiane (tra cui Ong, cooperative e associazioni ambientaliste) hanno dato vita a Milano ad Aitr, l'Associazione italiana turismo responsabile, che oggi raccoglie 85 organizzazioni e fa viaggiare diverse migliaia di turisti.
«Ancora piccoli numeri se paragonati al panorama nazionale», sostiene Maurizio Davolio, attuale presidente di Aitr, «ma con una crescita del 100% l'anno». Rimasti immutati gli obiettivi: «Il turismo responsabile è un turismo attuato secondo principi di giustizia sociale e nel pieno rispetto dell'ambiente e delle culture», spiega Davolio. «Al centro di tutto sta il concetto di "convivialità" cioè riconoscere la centralità della comunità ospitante, e non solo quella del turista. Perché se la comunità ospitante è soddisfatta dei suoi ospiti, ne beneficia anche il turista, che non percepisce atteggiamenti ostili». In pratica, si tratta di viaggiare immergendosi nella realtà visitata, utilizzando il più possibile i mezzi di trasporto locale, dormendo in piccole strutture familiari, preferendo le specialità locali al cibo importato. Ovvero costruendo alternative reali al turismo di massa all inclusive che spesso, soprattutto nei paesi del Sud del mondo, causa grandi scompensi sociali lasciando pochissimi proventi alle comunità del luogo.
I "tour responsabili", oltre a offrire ai viaggiatori l'opportunità di incontrare associazioni e comunità locali, rispettano alcuni principi ferrei: almeno il 30-40% del fatturato prodotto viene speso direttamente in loco, per pagare servizi turistici e di mediazione culturale. A questa quota si aggiunge una cassa comune, spesa direttamente dai partecipanti nelle piccole realtà locali durante il viaggio, e una percentuale viene girata come quota di solidarietà ai pro getti delle associazioni visitate. «Nel corso del 2005 - continua Davolio - sono state oltre 4.000 le persone partite all'estero con viaggi di tipo responsabile, un numero doppio rispetto a due anni fa. Ma va tenuto in conto il numero considerevole di viaggi responsabili "fai da te", che sfugge completamente alle statistiche».
Lo conferma il dato italiano dove, solo nel 2006, più di 15 mila persone hanno optato per viaggi organizzati in mete "responsabili" nel nostro paese, ma sono molte di più quelle che lo hanno praticato a titolo individuale. Ad esempio, la sola proposta di pescaturismo in Italia (una giornata in mare con i pescatori) ha raccolto oltre 100 mila presenze negli ultimi due anni. Sono prevalentemente i giovani adulti, tra i 25 e i 40 anni, con scolarità e reddito medio alto, nel 60% dei casi di sesso femminile, i viaggiatori responsabili, secondo i dati del 2006. Una situazione in lenta evoluzione, che rispetto a pochi anni or sono vede l'identikit del turista responsabile uscire da particolari gruppi socio-economici quali i militanti del sociale, o i membri delle associazioni di volontariato. Oggi questa forma di turismo è un gran calderone in cui si possono trovare impiegati, professori, architetti, operai, e in cui confluiscono le esigenze più svariate. Gli iscritti ai viaggi sono per lo più accomunati dal desiderio di provare esperienze di incontro autentico con le popolazioni ospitanti, esperienze capaci di: «cambiarti dal di dentro, in cui effettivamente si costruisce un rapporto con il paese e con la gente», come sostengono alcuni di loro.
Che l'interesse per questi viaggi sia in crescita lo prova anche il fatto che proprio il mondo degli operatori "classici" comincia a bussare alla porta del movimento di turismo responsabile: «Aitr nel corso del 2006 è stata invitata a partecipare formalmente alla Conferenza italiana del turismo - dice Davolio - dove è stata coinvolta nel Comitato tecnico consultivo dell'Agenzia nazionale per il turismo». Sempre nel corso del 2006, oltre all'avvio di rapporti ufficiali con la Fiavet (Federazione italiana associazioni imprese viaggi turismo), Aitr ha stretto rapporti con l'Associazione tour operator di Confindustria, l'Astoi: «Abbiamo avviato un tavolo sulla sostenibilità - continua Davolio - per avviare una riflessione sul tema interna ai tour operator. Con l'intento non tanto di far sì che le grandi agenzie creino una linea di turismo responsabile parallela alle altre, ma che si facciano contaminare progressivamente da alcune delle pratiche generali del turismo responsabile. Come ricominciare a usare prodotti locali o proporre incontri con la popolazione visitata».
Proprio la "contaminazione" tra turismo classico e responsabile è il nuovo obiettivo di Aitr perché, come sostiene Duccio Canestrini, studioso dei fenomeni turistici di fama internazionale: «La posizione dell'Unione europea è molto chiara. Il turismo sostenibile non è un settore, è come dovrà diventare tutto il turismo».