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Le sporche guerre americane

di Nando de Angelis - 22/05/2007




Il 3 maggio a Sharm El-Sheikh durante il summit dell’International Compact with Iraq (Gruppo di Contatto per l’Iraq) che ha visto la partecipazione del ministro degli Esteri Massimo D’Alema, l’Italia si è impegnata a cancellare il debito di 2.4 miliardi di dollari e, successivamente, ad erogare a fondo perduto altri 270 milioni per la “ricostruzione” dell’Iraq. Strano modo di tirarsi fuori dal pantano iracheno e di contribuire alla pacificazione di quella martoriata terra. Palazzo Chigi, in un decreto legge approvato dai due rami del Parlamento, si è assunto, inoltre, con uno stanziamento di 10.6 milioni di euro, l’onere di spesa per l’addestramento di ben 2 battaglioni di forze speciali del premier iracheno Al-Maliki e di 10.000 nuovi effettivi di polizia di Baghdad. Il decreto legge prevede l’impiego sul terreno degli uomini della MSU del Raggruppamento Operativo dei Ros dei Carabinieri agli ordini del generale Giampaolo Ganzer. Con questa operazione, finanziata con i soldi dei cittadini italiani, le forze del “rinato esercito” iracheno raggiungeranno così gli effettivi di 150.700 militari e di oltre 360.000 “gendarmi”.
C’è, poi, l’altro fronte, quello della guerra in Afghanistan. Il governo Prodi, quando si apprestava a rifinanziare “la missione di pace” in terra afghana, rassicurava gli italiani e i pacifisti della maggioranza che lo sostiene: “Non invieremo in Afghanistan un solo soldato in più”. E’ passato qualche mese e il ministro della Difesa, Arturo Parisi, afferma: “Manderemo in Afghanistan nuovi mezzi. I rinforzi, comunque, non alterano in alcun modo né la natura della partecipazione del nostro contingente alla missione Isaf, né le finalità ultime della nostra presenza”. Un goffo tentativo di giustificare l’ennesima promessa disattesa, di nascondere le menzogne che il governo, fin dal momento del suo insediamento, ci ha propinato.
In realtà, il titolare di Palazzo Baracchini, il 6 maggio scorso da Herat, dopo aver programmato una serie di incontri con il “primo ministro” e con i responsabili dei dicasteri di Interni, Giustizia e Difesa, accompagnato dal capo di stato maggiore, ammiraglio Giampaolo Di Paola, aveva ribadito ufficialmente l’impegno del governo italiano a dotare il nostro contingente di quanto necessario a “rafforzare ad aumentare la capacità di sorveglianza e di controllo del territorio e la protezione del personale”. Impegno, già dichiarato a margine del vertice Nato di Siviglia dallo stesso titolare della Difesa, che, dopo i 167 milioni di euro elargiti al governo Karzai, il “sindaco di Kabul”, di cui 55 destinati al rafforzamento della struttura giudiziaria dell’Afghanistan, prevede lo stanziamento di 363 milioni di euro per sostenere per altri 6 mesi, e come previsto almeno fino al 2011, la permanenza a Herat e a Kabul di circa 1.938 militari del contingente italiano. Le truppe italiane in Afghanistan riceveranno nuovi rinforzi in uomini e mezzi. Dopo gli Uav (Unmanned Aerial Vehicles) Predator e il C130J, la versione più recente dell’aereo da trasporto pesante Hercules, arriveranno al West Rac ISAF, comandato dal generale Antonio Satta, cinque elicotteri d’attacco “A-129 Mangusta”, otto veicoli corazzati “Dardo” e dieci blindati “Lince” per la ricognizione armata. La squadra dei piloti, armieri e motoristi da adibire all’efficienza bellica dei mezzi ad ala rotante non potrà essere inferiore alle 145 unità. La presenza dei militari italiani in Afghanistan vedrà un notevole incremento e la spesa complessiva per questo schieramento aggiuntivo sarà di 25,9 milioni di euro. Alle dichiarazioni di Parisi fanno seguito le solite prese di posizione dei pacifinti nostrani. Il sottosegretario Paolo Cento tuona: “è inaccettabile che mentre si continua a chiedere rigore nella spesa pubblica e si fatica a trovare risorse per aumentare la quantità e la qualità delle politiche sociali, si possano determinare le condizioni per un’ulteriore espansione della spesa militare”. Protestano Vittorio Agnoletto, eurodeputato della Sinistra Europea e Josè Luiz del Roio, senatore della Sinistra Europea: “nel futuro prossimo la situazione non potrà che peggiorare e all’Italia sarà chiesto un contributo sempre crescente, in termini di armamenti e di uomini”. Si aggiunge al coro anche Pino Sgobio, capogruppo del Pdci alla Camera: “noi continuiamo a pensare che l’Afghanistan è un pantano dal quale bisogna andare via il prima possibile. Per questo motivo, forte è la nostra preoccupazione riguardo a quanto dichiarato dal ministro Parisi”. E tutto questo rimanendo saldamente attaccati alle poltrone che occupano. Non hanno un briciolo di pudore i signori dei “senza se e senza ma”; siamo stufi e nauseati del loro starnazzare: prendano atto, una volta per sempre, che, l’aggrapparsi ad improponibili “conferenze di pace” e il nascondersi dietro discutibili “egide dell’Onu”, non li rende meno complici e partecipi della guerra americana.
A proposito, poi, della immutata natura della partecipazione del nostro contingente alla missione Isaf e le finalità ultime della nostra presenza: il 1 maggio, a 24 ore dall’eccidio di Enduring Freedom a Parmakan, un villaggio della valle di Zerkok nella provincia di Herat, la provincia sotto il controllo dei soldati italiani, una squadra di soccorritori ha rinvenuto i corpi di 136 pathsun e di decine di anziani, donne e bambini falciati dalle armi di bordo degli Apache e dei Black Hawk Usa.
Testimoni hanno riferito di interi villaggi distrutti, di centinaia di abitazioni ridotte in macerie, di migliaia di sfollati in fuga, in un esodo senza speranza, dalle zone bombardate. Più di 10.000 i profughi che hanno abbandonato i villaggi della Valle di Zerkok e cercato rifugio a nord, verso Shindand. Il Governo Prodi ha condannato, senza alzare troppo la voce, l’offensiva degli Usa e delle truppe di Karzai affidando qualche dichiarazione alle agenzie di stampa internazionali, mettendo in evidenza che le truppe italiane, come quelle spagnole, non avevano partecipato all’azione “militare”. In realtà, Roma mente sapendo di farlo. Da molto tempo forze speciali italiane combattono a fianco delle truppe di occupazione Usa e sono direttamente coinvolte nel conflitto. La Task Force a stelle e strisce è rimpinguata da 80 “specialisti” del Bel Paese che “ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Di essi non si sa assolutamente nulla. Si vocifera che siano incursori del Consubin di Varignano e del 9° reggimento “Col. Moschin” inquadrati nei ROS. Nonostante il silenzio omertoso che in Italia accompagna le notizie che provengono da quel Paese, è chiaro a tutti che in Afghanistan non c’è nessuna “missione di pace”: l’Italia è in guerra… perché in Afghanistan c’è una guerra.