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Fritjof Capra: insegnare l'ecologia

di Andrea Markos - 22/05/2007

 

Capra si dedica dal 1995 a sviluppare un programma pedagogico volto a riconnettere i bambini al mondo naturale, aiutarli ad apprendere i valori, la conoscenza e le abilità cruciali per costruire comunità ecologicamente sostenibili. Con i suoi collaboratori del centro per l’eco alfabetizzazione, da lui fondato, cerca di scoprire come meglio realizzare questo programma visionario.

Alfabetizzazione ecologica(1).
1. Come è nato il centro per l’eco alfabetizzazione?
L’origine viene dalla comprensione, che ho avuto molto tempo fa, che la maggior sfida del nostro tempo è quella di creare comunità sostenibili. Il concetto di sostenibilità per molti è ancora confuso, sebbene sia stato introdotto da oltre 20 anni. La mia definizione di sostenibilità deriva dall’osservazione scientifica che la biosfera possiede la straordinaria capacità di sostenere la vita, e che ha sostenuto la vita per oltre 3 miliardi di anni. La capacità di sostenere la vita è intrinseca nella natura e, se vogliamo costruire società e comunità sostenibili, dobbiamo vivere in modo tale da non interferire con questa capacità. Accettato questo punto, il passo seguente consiste nello scoprire come la natura faccia tutto ciò? In altre parole come sono organizzati gli ecosistemi, come si organizzano per sostenere la vita? Questa conoscenza è ciò che io chiamo «alfabetizzazione ecologica» o «eco alfabetizzazione». Oltre 10 anni fa avviammo un programma per insegnare l’eco alfabetizzazione nelle scuole pubbliche, e nel corso degli anni abbiamo sviluppato una pedagogia speciale coerente con questo insegnamento. Insegnare l’ecologia non è così facile. In primo luogo l’ecologia è materia intrinsecamente multidisciplinare. Non è solo biologia, è anche chimica e nel regno umano si occupa della tecnologia, dell’economia, dell’antropologia e delle scienze politiche; tutte queste aree hanno a che fare con l’ecologia, se si vuole costruire una società sostenibile. La seconda considerazione è che non vogliamo insegnare la «teoria» dell’ecologia, vogliamo che quei bambini, una volta finita la scuola, siano responsabili per la Terra, e che non sentano tale responsabilità unicamente in base ad una conoscenza teorica. Perciò vogliamo che facciano esperienza dell’ecologia e che abbiano una relazione emotiva con la natura. Il nostro è anche un approccio partecipatorio. Non stanno solo seduti in una classe, bensì sono attivi e giungono a farsi idee proprie. Pertanto la pedagogia che abbiamo sviluppato è esperienziale, partecipante e multidisciplinare.
2. A quando risale l’idea di insegnare ai bambini l’ecologia tramite la coltivazione di alimenti?
Già molto tempo fa ci guardammo intorno chiedendoci: «come possiamo far esperire la natura ai bambini?». Guardando vari programmi ambientalisti che già esistevano scoprimmo che ci sono fondamentalmente due tipi di ecosistemi che hanno la dimensione giusta per i bambini, anche per quelli piccoli, perché iniziamo dall’asilo quando hanno 5 anni. Quei due ecosistemi sono l’orto e il ruscello. Nelle nostre scuole facciamo coltivazione di alimenti. Il recupero di ruscelli è l’altro programma, ed entrambi sono divenuti programmi estesi.
3. Quanto sono diffuse queste pratiche ad oggi e, se mai valutati, quali sono i risultati?
Sul nostro sito(2) si trovano i nomi di circa 100 scuole. Lavoriamo solo nella California del Nord perché vogliamo poter visitare le scuole. Gli istituti stessi hanno formato delle reti e si fanno visita a vicenda. Riguardo alla valutazione: recentemente abbiamo commissionato la valutazione del programma al Dr. Michael Murphy, della Harvard University. Se ne può richiedere copia tramite il nostro sito. I risultati sono molto interessanti: l’indagine ha riguardato molte scuole medio-grandi, di 1000-1200 studenti, ha portato alla scoperta che, come ci si aspetterebbe, i ragazzi delle scuole «eco alfabetizzate» hanno una migliore conoscenza ecologica. Si è diviso il test in principi dell’ecologia e quanto i ragazzi sanno sull’ecologia. Chiaramente quelli che hanno fatto il programma ne sanno di più. Ma l’indagine ha anche consentito di conoscere, e questo è molto interessante, che nella scuola c’è una miglior cooperazione, meno violenza, quindi l’intera atmosfera della scuola è differente e di conseguenza, l’apprendimento di tutte le materie migliora. La nostra pedagogia, esperienziale e partecipatoria, stimola molto i bambini in quanto possono decidere cosa fare, in quale tipo di progetto coinvolgersi; essi si impegnano nel processo d’apprendimento, per cui apprendono meglio.
4. Quindi i programmi alimentano un senso di comunità e la partecipazione.
Sì. Il senso di comunità è molto importante perché si può dire che l’ecologia si occupa di comunità. Quando si osservano i principi dell’ecologia, reti, cicli e così via, tutto ciò riguarda comunità. Infatti gli ecosistemi sono comunità; gli ecologi usano il termine comunità per descrivere gli ecosistemi. Questi sono comunità di animali, piante e microrganismi, così i principi dell’ecologia possono anche essere intesi come principi di comunità. C’è un altro aspetto comunitario: l’ecologia è un’impresa multidisciplinare, e ciò che stiamo cercando di fare è porre l’eco alfabetizzazione al centro del curriculum scolastico. Non una materia separata, bensì la materia principale, coperta in tutte le lezioni. Quindi l’insegnante d’inglese parla dell’ecologia, ma anche quello di matematica, di scienze, di storia e così via. Ora, con un curriculum integrato in questo modo è ovvio che tutti gli insegnanti hanno bisogno di collaborare e parlare gli uni con gli altri, il che rende la scuola una comunità molto più vitale. La comunità è molto importante nella nostra pedagogia.
5. Parla quindi per esperienza quando afferma, altrove, che una soluzione sistemica risolve non solo il problema per cui è stata concepita, ma anche molti altri?
Sì. Assolutamente sì.
6. Avete mai tentato di esportare queste pratiche?
Abbiamo iniziato con un programma locale, così in due o tre ore possiamo raggiungere una qualunque delle nostre scuole e poi reti di scuole si incontrano qui a Berkeley ed altrove. Abbiamo cercato di rimanere localmente e regionalmente, ma sin dall’avvio del nostro sito, e persino da prima d’allora, educatori d’altri paesi e d’altre parti degli Stati Uniti sono stati ispirati e adesso ci sono programmi di eco alfabetizzazione in Brasile, Cile, India, Nuova Zelanda, Australia e probabilmente in molti altri luoghi che noi non conosciamo: questi sono solo quelli che si sono messi in contatto con noi.
7. Quindi hanno preso a modello la vostra esperienza?
Sì. Credo che ci siano più attività in Brasile perché spesso lavoro con i brasiliani. Hanno tradotto le nostre tre pubblicazioni principali. Le hanno tradotte in portoghese e rese disponibili su un sito brasiliano, sicché tutti gli operatori in Brasile hanno accesso a questo materiale.
8. Quali sono stati i risultati del contributo del Centro per l’eco alfabetizzazione al governo brasiliano per lo sviluppo sostenibile?
Il nostro lavoro col governo brasiliano non fa parte del programma del centro per l’eco alfabetizzazione, ma in parte vi si sovrappone. Il ministro dell’ambiente brasiliano, Marina Silva, è una donna interessante. È una donna indigena della regione dell’Amazzonia; lo scorso agosto ci ha invitato per avere un serio scambio di idee sulla sostenibilità, l’ecologia, la progettazione e l’educazione ecologica. Ho portato alcuni attivisti e teorici in Brasile, compresa Zenobia Barlow, direttore esecutivo del centro per l’eco alfabetizzazione. Ma l’incontro ha riguardato l’eco alfabetizzazione solo in parte(3).

Note
1. Intervista già pubblicata su Ecole, settembre 2004. Anche disponibile sul sito:
www.ecolenet.it. Questa sezione dell’intervista si è svolta telefonicamente.
2.
www.ecoliteracy.org.
3. Nel mese di ottobre 2004 Fritjof Capra è stato di nuovo in Brasile per una serie di seminari. Al
suo ritorno si è dedicato a rispondere per iscritto alle domande della