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Superbanche: cinque domande impertinenti

di Roberta Carlini - 23/05/2007

 
Dilemmi Perché tutti lodano la concorrenza ma nelle banche trionfa il duopolio? Perché alla fine ha vinto l'italianità? Perché se ne va il manager più giovane? E perché tutti parlano bene della Superbanca?

Sulla nascita della Superbanca è stato scritto molto su tutti i giornali e un po' anche sul nostro. Per chi avesse ancora qualche curiosità, ecco 5 domande impertinenti, con risposte non sempre all'altezza.
Liberalizzazioni di qua, superbanca di là. Siamo passati dall'esaltazione della bontà della concorrenza sempre e comunque, alla sperticata lode della fusione Unicredit-Capitalia. Fatto sta che ci saranno in Italia due gigantesche banche, Unicredit e Intesa-Sanpaolo. Perché va bene il duopolio? Perché la concorrenza è buona dal barbiere ma non in banca?
Un fan delle liberalizzazioni risponderebbe così: non ci sono solo le due superbanche, sono entrate in Italia anche due grandi banche europee (Paribas e Abn-Amro), in più anche le Popolari stanno fondendosi, poi c'è il Monte dei Paschi. E che nelle banche la concorrenza è europea, mondiale, planetaria. Il che è vero, ma resta il fatto che è poi sul territorio, casa per casa, che devono darti un mutuo o un prestito oppure gestirti il c/c. E le banche italiane, già quando erano più polverizzate, i loro bravi accordi «di cartello» se li sono fatti (v. gli interventi antitrust). La concorrenza planetaria cambierà qualcosa per il piccolo risparmiatore solo se i giganti decideranno di non adeguarsi all'andazzo da essi stessi seguìto finora in Italia. Quanto alle imprese in cerca di credito, Franco Locatelli ha scritto sul Sole 24 Ore: «C'è chi dice che la differenza tra un grande e un piccolo banchiere sia soprattutto una: il primo sa elaborare strategie raffinate e leggere come meglio non si potrebbe i bilanci societari, ma il secondo, se è bravo, sa leggere, più di tutti, negli occhi delle persone». Dunque la risposta è in un'altra domanda: riuscirà la Superbanca a guardare negli occhi i padroncini italiani?
Fazio voleva difendere l'italianità delle banche, ma si affidò a Fiorani e furbetti ed è finito male. A Draghi, suo successore, dell'italianità non importa un fico secco. Eppure sotto il regno di Fazio sono entrate due banche straniere, sotto quello di Draghi sono nate due super-banche made in Italy. Come mai?
Due risposte possibili. 1) Draghi ha fatto capire che non avrebbe fatto nulla per difendere le banche italiane dalle scalate estere, allora «il mercato si è attivato», cioè: i super-potenti banchieri italiani si sono dati una mossa. 2) Alessandro Profumo, a.d. di Unicredit, ha detto: «Non vedo perché tanti gruppi esteri sono interessati all'Italia e noi non avremmo dovuto esserlo». Cioè: Unicredit non è una banca italiana.
Perché dal managment della grande banca del futuro esce proprio il manager più giovane (l'unico 42enne tra i potenti italiani), Matteo Arpe?
Escluse motivazioni bio-psicologiche banali (invidia, etc.), gli analisti economici guardano allo scontro di strategie che ha portato a una lotta feroce ai vertici di Capitalia: Arpe si è sempre opposto alle fusioni, pensando che inglobare una banca più piccola in una più grande inevitabilmente avrebbe fatto scomparire la prima. I fatti diranno se aveva ragione o no. Certo è che la sua «strategia del single», nell'Italia del family day, non poteva che finire male. Così Arpe esce, scrive Repubblica, «in punta di piedi» e con 40 milioni.
Perché tutti i giornali parlano bene di questa fusione, così come parlarono bene di quella Intesa-Sanpaolo?
Risposta n. 1: perché è una buona operazione. Risposta di riserva: perché i due grandi istituti di credito hanno influenza su molti giornali, in quanto ne sono azionisti, o azionisti degli azionisti, o creditori.
Perché Profumo dice che la politica non c'entra e i dalemiani fanno sapere che la politica ci è entrata?
Questione di punti di vista.