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Palestina: Tel Aviv pronuncia la condanna a morte per Meshaa

di Antonella Vicini - 23/05/2007

 
La guerra tra fazioni nella Striscia di Gaza si è trasformata ormai nella sua evoluzione più nefasta, un’occasione per quella che sembra essere una sorta di offensiva finale da parte dell’esercito israeliano. La sensazione del regolamento di conti in atto è rafforzata dalle parole pronunciate ieri dal ministro per la Sicurezza interna israeliana, Avi Dichter, che in sostanza ha annunciato la prossima condanna a morte del massimo leader di Hamas, Khaled Meshaal. Un obiettivo sensibile - l’unico nome “altisonante” rimasto ancora sulla lista di Tel Aviv dopo l’uccisione di Rantisi e dello sceicco Yassin - che stando a quanto affermato ieri sarà colpito “alla prima occasione”. Dichter ha sottolineato “la complessità e la difficoltà” di una simile operazione (memore del tentativo fallito del Mossad di eliminarlo, avvelenandolo, nel 1997) aggiungendo che il “fatto che lui non si trovi qui dall’altro lato del Muro rende naturalmente le cose molto più ardue”, ma ha chiarito che “Khaled Meshal non è certamente al sicuro, né a Damasco né in nessun altro luogo”.
Dalla Siria, il vice di Meshaal, Abu Marzouk, ha bollato come “codarde” le minacce, ricordando come “la politica israeliana è una politica vigliacca e tutto il mondo dovrebbe schierarsi contro” e che con il sistema degli assassini mirati gli israeliani “hanno ucciso decine di leader palestinesi fuori dai territori”. Dubbi sulla pratica dei cosiddetti “targeted killings” sono stati sollevati anche dal ministro degli Esteri italiano Massimo D’Alema, ieri in Afghanistan, che in una intervista prima di partire ha puntato l’attenzione sul fatto che queste operazioni siano indirizzate principalmente contro la popolazione.
“Colpiscono civili e alimentano il caos - ha spiegato - Gaza è una prigione a cielo aperto. Considero che si dovrebbe fare ogni sforzo per limitare, ridurre, azzerare il ricorso alla violenza e attacchi sul cui carattere mirato, sulla base degli effetti sulla popolazione civile, c'è motivo di dubitare, visto il bilancio sin qui conseguito”.
Anche Mosca ha condannato “l’eccessivo” uso della forza di Israele nella Striscia di Gaza, evidenziando che l’esercito sionista risponde al fuoco contro le abitazioni della città palestinesi, uccidendo civili.
“Ciò, dal nostro punto di vista, è un uso della forza eccessivo e sproporzionato”.
Raid aerei da parte di Tsahal sono proseguiti senza soluzione di continuità per tutto il fine settimana. Soltanto ieri, altre quattro persone sono state uccise nel campo profughi di Jabaliya, per un attacco contro una automobile che, secondo alcuni testimoni, trasportava militanti della Jihad islamica. Nella mattinata un altro palestinese era stato colpito a morte, in un raid contro un laboratorio in cui si ritiene siano prodotti i razzi Qassam.
Dall’altra parte, nel frattempo continuano i lanci di razzi Sderot. Altri quattro hanno seguito le operazioni dell’Idf della notte prima, nel corso del quale erano state uccise otto persone, membri della famiglia del deputato di Hamas, Khalil al-Haya. Il primo risultato concreto per Tel Aviv dopo l’annuncio, domenica scorsa, dell’intensificazione degli attacchi “mirati”.
Dalle testimonianze che arrivano dalla Striscia di Gaza risulta chiaro che la popolazione sia arrivata ormai al limite della sopportazione; un limite che per la verità sarebbe stato superato per qualsiasi essere umano già da tempo, e non soltanto a causa dell’aggravarsi degli eventi di questi ultimi giorni. È evidente tuttavia che, nonostante la Striscia di Gaza sia stata trasformata da più di un anno in una “prigione all’aria aperta”, così come è stata definita dagli stessi osservatori delle Nazioni Unite, a causa delle limitazioni economiche e dalla chiusura dei valichi che impediscono lo svolgimento delle più elementari attività quotidiane, negli ultimi giorni il quadro si sia drasticamente rabbuiato.
Le strade si sono praticamente svuotate, rimaste popolate soltanto dai miliziani; abitate da scontri, sparatorie e dall’azione di Tsahal che si è inserito in un terreno già in via di disfacimento. A questo punto risultano inutili anche gli appelli provenienti da alcune moschee per il ritorno alla calma.