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Quando la ragione

di Umberto Galimberti - 23/05/2007


È bene ricordare che la parola "ragione", in latino ratio, nasce in ambito economico come regolatrice degli scambi, per cui chi riceve deve corrispondere, a chi dà, qualcosa di equivalente, secondo il principio del reddere rationem.
Prima dell´introduzione del "valore di scambio" a regolare i rapporti era lo "scambio simbolico" che si esprimeva nella rapina o nel dono, in cui cioè si celebravano i rispettivi rapporti di forza: o nella forma aggressiva di chi era in grado di appropriarsi dei beni altrui senza contropartita, o nella forma munifica di chi nel dono celebrava la sua potenza e insieme la sudditanza del beneficiario.
Introducendo il principio che chi riceve nello stesso tempo deve dare, non è più in gioco l´esercizio di potenza delle soggettività, ma il calcolo oggettivo del valore delle cose. Così nasce il "mercato", che organizza una società in funzione di detto calcolo, al punto da sostituire progressivamente, al dominio dell´uomo sull´uomo, il dominio dell´apparato calcolante, alla cui razionalità si sottomettono sia il lavoratore sia l´imprenditore i quali, sia pure nella differenza delle loro mansioni, si configurano come funzionari dell´apparato. In questo modo si vanifica ogni ipotesi rivoluzionaria perché, come ci insegna Hegel, la rivoluzione è possibile quando in gioco c´è il conflitto di due volontà, ma non quando la razionalità del mercato le subordina entrambe a sé, annullando il loro potenziale conflitto.
Disciplinando l´impulso al guadagno e depurandolo dai suoi aspetti irrazionali e violenti, il mercato traduce la ragione occidentale in ragione economica, che, nel tendere a un guadagno non occasionale ma continuativo, evidenzia in ogni passaggio il motivo che solo la razionalità è condizione di redditività, perché, risolvendo ogni attività lavorativa in prestazione funzionale, la depura da ogni ideologia, risolvendola nell´ambito della ragione tecnica.
Sotto il dominio della ragione tecnica, l´uomo incomincia ad uscire dalla scena della storia perché: come soggetto di bisogni è assolutamente ininfluente, in quanto i suoi bisogni hanno la possibilità di essere soddisfatti solo se compatibili con la redditività del calcolo economico, mentre come soggetto di azioni (siano esse lavorative, siano esse imprenditoriali) la sua rilevanza è data dalla sua produttività in ordine alla redditività economica, in riferimento alla quale, l´uomo e i suoi scopi sono ridotti a semplici grandezze variabili nel calcolo delle possibilità di guadagno e di profitto.
Ma l´economia (di mercato), dopo aver sottratto gli scambi alla logica della rapina e del dono per sottometterli a un regime di razionalità, soffre ancora di quell´elemento irrazionale, tipico delle passioni, che è la passione per il denaro, da cui la tecnica è tendenzialmente immune, perché non ha come suo scopo il profitto, non promuove un senso, non apre scenari di salvezza, non svela la verità, semplicemente funziona. E siccome il suo funzionamento è diventato planetario, planetario è diventato il suo tipo di razionalità che si è soliti chiamare "strumentale", in quanto ha la sua misura nel massimo dell´efficienza, espressa dal miglior rapporto tra i costi impiegati e i risultati raggiunti.
Per la tecnica, e per la razionalità che la governa, modello di efficienza e di funzionalità è la macchina, che non soffre di quegli "inconvenienti umani" che sono lo stato di salute, la variazione degli umori, i ritmi di efficienza, i livelli di precisione, che fanno sentire l´uomo inadeguato rispetto alle macchine che impiega, anche perché dette macchine, dal computer al cellulare giusto per fare degli esempi, incorporano una quantità tale di cultura oggettivata, da far apparire la cultura soggettiva di chi la impiega in tutto il suo limite e la sua inadeguatezza.
Eppure, anche se nel complesso macchinale l´uomo percepisce se stesso come il congegno più asincronizzato, può davvero la ragione strumentale della tecnica, che utilizza solo il pensiero calcolante regolato da criteri di efficienza, produttività, obbiettivi a breve e medio termine, essere all´altezza della globalizzazione del mercato che, per essere compresa, richiede competenze antropologiche per entrare in relazione con altre culture e visioni del mondo di cui il pensiero calcolante è del tutto sprovvisto?
Se il tipo di pensiero è limitato al calcolo tipico della ragione strumentale, forse le imprese che si regolano esclusivamente su questo tipo di pensiero si precludono la capacità di anticipare e governare i cambiamenti, col risultato che avranno sì una storia, ma non un futuro, per aver trascurato il capitale umano che ha ritmi di accumulazione radicalmente diversi dal capitale finanziario. Se quest´ultimo infatti si misura sui tempi brevi del rendiconto trimestrale e della quotazione in borsa, il capitale umano esige un respiro più lungo e una forza che si conquista per maturazioni e arricchimenti successivi, di cui il pensiero calcolante non ha la più pallida idea.