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Prodi sotto accusa come responsabile dello stato politico

di Claudio Lanti - 24/05/2007

 
Il sistema politico italiano, bloccato e inerte per ragioni strutturali, manda quando può segnali di insofferenza e rivolta. Il premier in carica Romano Prodi è finito all'improvviso sotto riflettori ostili, al centro di critiche e accuse da parte degli alleati e degli stessi vertici dello Stato.

Dopo l'attacco lanciato dall'uomo delle oligarchie europee Mario Monti, per aver violato i sacri principi del mercato, anche il ministro dell'economia Tommaso Padoa-Schioppa si è ribellato al premier ponendo la questione delle pensioni.

E adesso gli è arrivata addosso anche l'accusa peggiore: il Parlamento è paralizzato, non produce leggi e la colpa è di Prodi.

Affermare che il Parlamento è paralizzato è un'ammissione molto grave. Nella perdurante crisi istituzionale, il fattore che in Italia ancora giustifica il "contratto sociale" con i cittadini tenendo formalmente in piedi il sistema politico-sociale e la sua estenuata classe dirigente è l'ipocrisia. Le forme esteriori della democrazia e del patriottismo sono diventate esse stesse il principio attivo della democraziae del patriottismo.

Grande guardiano e interprete dell'ipocrisia e sacerdote delle solenni liturgie con cui essa si esprime è il capo dello Stato in carica, scelto tra gli uomini politici più anziani in servizio. I momenti più alti di queste liturgie sono le celebrazioni di tipo funerario alternate alle vittorie sportive: le prime e le seconde costituiscono il maggiore collante dell'unità nazionale per un Paese rassegnato alla perdita della propria identità. I morti tengono in piedi i vivi e il pallone del calcio li solleva dai problemi.

Il corpo sociale è tenuto compatto anche da altri elementi: appuntamenti stagionali (feste natalizie, vacanze estive, festival di Sanremo, etc); i grandi delitti sempre più atroci che si susseguono provocando momenti di empatia collettiva; i grandi scandali che si moltiplicano dando vita a un eterno impegno di moralizzazione della vita pubblica, mai realizzato e quindi continuamente rinnovato. Centro dell'ipocrisia è il Parlamento che in Italia lavora quasi tutto l'anno. Infatti, la regola è che esso deve funzionare e produrre molto: deve essere aperto, riunirsi, essere pagato il più possibile, discutere il più possibile e produrre il più possibile, non importa cosa. Un Parlamento sterile segnerebbe la fine del sistema italiano e della sua classe dirigente.

LA DISPUTA TRA PRODI E IL PARLAMENTO

L'analisi che abbiamo presentato sopra è la premessa per capire la situazione preoccupante per il premier Romano Prodi creatasi dalla scorsa settimana. Improvvisamente dal Senato della Repubblica è arrivato un segnale nuovo: gli uffici della presidenza si sono riuniti con i capigruppo dei partiti di maggioranza e opposizione ed hanno constatato con preoccupazione che da qualche tempo il calendario dei lavori è semivuoto.

Le commissioni hanno poco lavoro da fare e l'assemblea ancora meno, per mancanza di iniziative di legge ordinarie e per eccesso di decreti urgenti. A causa della ristrettissima maggioranza al Senato, dall'inizio della legislatura il governo evita di mettere in pista progetti che potrebbero cadere provocando contraccolpi politici.

Il fenomeno si è accentuato dopo la crisi del gabinetto del febbraio scorso. Davanti a questo blocco dell'attività parlamentare, i vertici delle istituzioni sono entrati in fibrillazione.

Un primo allarme è partito dal capo dello stato a fine aprile nei suoi incontri con i presidenti di Camera e Senato. Prodi ha tentato di scaricare sul Parlamento stesso questa responsabilità. Nella conferenza stampa del 17 maggio ha fatto un bilancio positivo e ottimistico del suo primo anno a Palazzo Chigi sostenendo che il governo di centro-sinistra "ha fatto ripartire l'Italia". In questa sede il premier ha però criticato la lentezza dell'iter delle leggi soprattutto a Palazzo Madama, dichiarando:

"Solo 10 disegni di legge su 104 presentati dal governo sono stati approvati. La causa è l'interpretazione eccessivamente estensiva dei regolamenti parlamentari" da parte dei presidenti delle due Camere. In pratica ha accusato Fausto Bertinotti (Camera) e Franco Marini (Senato) di poca collaborazione con il governo.

Ne è nato un botta e risposta. Marini ha protestato: "E' normale che il Senato sia più lento in queste condizioni di maggioranza risicata".

Il presidente dei deputati ha reagito con un'aspra critica al governo e alla sua maggioranza: ha lamentato l'uso eccessivo dei decreti legge (da ratificare immediatamente) che impedisce al Parlamento una ordinata programmazione del lavoro e aggiungendo: "Forse il presidente del Consiglio è stato fuorviato dalla scarsa dimestichezza con le aule parlamentari...»: allusione al fatto che Prodi non ha svolto una carriera politica normale guadagnandosi per prima cosa un seggio in Parlamento, ma è stato imposto direttamente a Palazzo Chigi dall'alto. Prodi, per superare lo scontro istituzionale, ha telefonato a Bertinotti per un chiarimento sulle rispettive affermazioni. Palazzo Chigi ha comunicato che il "caso è chiuso".

A dimostrazione dell'importanza della disputa, il Quirinale ha emesso una nota formale.

Dice che Napolitano "aveva già sollevato il tema di una intensificazione dei lavori delle Camere" ed auspica "che tutti i gruppi parlamentari, di maggioranza e di opposizione, nell'ambito delle rispettive responsabilità, si impegnino a garantire, attraverso un ampio ma serrato confronto, la piena funzionalità della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica".

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DIRETTORE RESPONSABILE: CLAUDIO LANTI