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Non abbiamo una banca, ma abbiamo una procura. Visco, i generali e la pratica del potere

di redazionale - 24/05/2007

Dice il pg di Milano che a carico del

ministro Visco non sono emersi “in

modo prepotente” elementi tali da suggerire

un’indagine. Quattro ufficiali della

Guardia di finanza, impegnati nelle

indagini sullo scandalo Unipol, cioè sul

tesoretto di Consorte e Sacchetti e altri

dettagli imbarazzanti per gli uomini del

potere Ds, erano stati minacciati di trasferimento

nel luglio scorso. Secondo il

Comandante generale della Gdf, Roberto

Speciale, ciò avvenne su pressione

del viceministro dell’Economia con delega

alle Finanze. Nel verbale di deposizione

pubblicato dal Giornale di Maurizio

Belpietro il militare parla di pressioni

forti e di minacce. A dicembre dello

scorso anno la magistratura milanese

ha accertato che gli ufficiali in questione

non avevano alcuna responsabilità

disciplinare, non meritavano il provvedimento

che infatti era già stato revocato

il 28 luglio 2006. Ma il capo dell’accusa

penale di Milano ci informa ora che

la deposizione di Roberto Speciale era

“un elemento di contorno”, che il dovere

di chi conduce l’azione giudiziaria a

Milano era solo quello di accertare quali

fossero le violazioni degli ufficiali colpiti,

risultate appunto inesistenti. Quel

comunicato del dottor Blandini è risibile

e offensivo verso l’intelligenza dei cittadini

e la stessa dignità della giustizia

togata di rito ambrosiano. I magistrati di

mani pulite stavolta, come altre volte in

passato quando si trattò di andare a fondo

sui vincitori politici del gioco sporco

anticorruzione, se ne sono lavate le mani.

E i loro campioni, con estremo disdoro

della professione imparziale che professavano

di esercitare, sono finiti ministri

(Di Pietro) e senatori (D’Ambrosio)

della coalizione o del partito che sul loro

lavoretto hanno speculato politicamente,

che ne hanno tratto cruciali vantaggi

elettorali e d’immagine, e infine

hanno deciso chissà perché di prenderli

in carico con tutti gli onori e inserirli

nella cosiddetta casta.

Chi rappresenta una procura in cui

alcuni sono passati da casta a casta per

meriti politici non ha l’autorità per

prenderci in giro “in modo prepotente”.

Ci saremmo peraltro dovuti limitare

a mandare un esposto a Roma, distretto

giudiziario competente, dice il

comunicato del procuratore generale,

che evidentemente non è a conoscenza

delle battaglie ferrigne contro ogni possibile

competenza di Roma o di Perugia

condotte dai suoi colleghi ambrosiani,

con tale sprezzo del pericolo da

affondare uno dei più importanti processi

del decennio. Battaglie condotte

quando si trattava di “avversari politici”

del partito in cui milita il viceministro

Visco, illuminate adesso da tutta

questa indifferenza. Quanto a Berlusconi

e Fini, chiedono le dimissioni di

Visco (o di Speciale), nella logica presunzione

che uno dei due menta. Mentre

Prodi e Fassino, con la solita tecnica

dell’offesa ricevuta, vorrebbero trasformare

un caso di presunta impunità

in un “linciaggio mediatico”. La conclusione

che ne trae il comune osservatore

è che forse “non abbiamo una banca”,

ma abbiamo una procura.