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Rifiuti: che fare?

di Guido Viale - 25/05/2007

La questione dei rifiuti in Campania e' un concentrato di tutte le
crisi del
nostro paese: crisi culturale, politica, amministrativa, economica,
occupazionale, ambientale, urbana, sanitaria, securitaria: insomma, una
bancarotta della democrazia.
La crisi nasce innanzitutto da una sottovalutazione della questione dei
rifiuti, che continua ancor oggi a essere considerata un ambito
settoriale e
non un tema che incrocia tutti gli ambiti della vita, sia quotidiana che
istituzionale. Ci si riempie la bocca con le parole crescita e sviluppo,
senza rendersi conto che una gestione lungimirante del ciclo dei
rifiuti e
delle filiere che li generano puo' trasformarsi in una fonte di
occupazione
qualificata, di impresa innovativa, di reddito e di qualita' della
vita e
dell'ambiente. Ma anche senza rendersi conto che non saper gestire
i propri
rifiuti distrugge la principale industria del territorio, il turismo, e
"l'attrazione degli investimenti": quella capacita'
che oggi mette in
competizione tutte le citta'-regioni del mondo. Cosi' le
ambizioni di
Napoli, capitale del Mediterraneo, insieme al cosiddetto
"Rinascimento
napoletano", sono state definitivamente affossate sotto un cumulo
di
immondizia.
In materia, destra e sinistra non hanno fatto nulla che le distinguesse
tra
loro. Quindici anni fa la giunta Rastrelli (An) aveva varato un piano
dei
rifiuti che attribuiva la parte onerosa del ciclo (la raccolta) ai
comuni e
ai loro consorzi, e quella in cui si guadagna (gli impianti) ai privati.
Anzi, a un privato, la societa' Fibe, che con un'unica gara
(sulla cui
correttezza sono stati avanzati molti dubbi) si era aggiudicata
costruzione
e gestione di tutti gli impianti previsti dal piano: tre inceneritori e
cinque impianti di trattamento meccanico-biologico (Mtb), comunemente
chiamati Cdr (da combustibile ricavato dai rifiuti: uno dei due
prodotti,
quello destinato ad alimentare gli inceneritori, che dovrebbero uscire
da
quegli impianti; l'altro si chiama Fos, frazione organica
stabilizzata, ed
e' un terriccio usato per ricoprire cave e discariche).
*
L'infelice scelta di Acerra
Ma insieme agli impianti, alla Fibe era stato attribuita anche la
scelta del
sito in cui costruirli (per aggiudicarsi l'appalto i concorrenti
dovevano
gia' disporre delle aree) e questa, per convenienze sue, aveva
scelto
Acerra, l'area piu' infestata dai tumori di tutta l'Europa.
L'amministrazione regionale aveva cioe' abdicato da quella che
e' la
funzione per eccellenza di chi ha responsabilita' di governo del
territorio,
ma le due giunte successive (Bassolino) non hanno mai messo in
discussione
quelle scelte, nonostante che ve ne fossero tutte le condizioni (tanto
e'
vero che il contratto con la Fibe alla fine e' stato rescisso); e
nonostante
che i presidenti di tutte e tre le giunte fossero stati investiti dei
poteri
straordinari connessi alla gestione commissariale.
Per 15 anni si e' lasciato che le cose corressero verso il baratro:
percentuali irrisorie di raccolta differenziata; dieci milioni di
"ecoballe"
uscite dai Cdr: cioe' balle di immondizia, vere e proprie bombe
ecologiche,
accatastate in immense piramidi, da fare invidia a quella di Cheope;
quasi
mille discariche illegali, ma non clandestine, di rifiuti industriali e
ospedalieri provenienti da mezza Italia e gestite dalla camorra; altre
centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti che periodicamente si
accumulano per le strade, fino a quando qualcuno non le incendia
spargendo
nell'aria piu' diossina di trenta inceneritori messi insieme;
decine e
decine di treni per portare nel resto dell'Italia e in Germania un
gigantesco campionario dei nostri rifiuti made in Italy; decine di
migliaia
di lavoratori, un vero e proprio esercito, in cui si sovrapponevano
gestioni
comunali, appaltatori privati, consorzi a cui i comuni non hanno mai
voluto
cedere le competenze e, dulcis in fundo, Lsu (lavoratori socialmente
utili)
in carico alla giunta di destra, poi quelli delle giunte di sinistra;
tutti
ingannati con la promessa di lavorare a una raccolta differenziata che
non
si e' mai fatta. A riprova del fatto che i rifiuti sono il
ricettacolo non
solo delle cose che non ci servono piu', ma anche delle persone di
cui ci si
vuole sbarazzare: con politiche cosiddette di workfare senza capo
ne' coda.
La gestione commissariale ha trasformato il cancro in metastasi,
affidando
la soluzione del problema alle stesse persone - i presidenti della
giunta
regionale - che, come titolari dell'ordinaria amministrazione ne
erano stati
esautorati. Ma anche quando la palla e passata al prefetto Catenacci
(in una
regione dove l'intreccio tra camorra e rifiuti e' il nodo da
sciogliere) le
cose non sono cambiate. Non perche' lo scontro con la malavita
organizzata
sia stato troppo aspro, ma perche' non c'e' stato: per non
disturbare i
sindaci che non volevano "interferenze" nei loro feudi, fatti
di appalti e
gestioni dirette che spesso non arrivavano nemmeno al tre per cento di
raccolta differenziata. Cosi' abbiamo visto tanti sindaci indossare
la
fascia tricolore per mettersi alla testa di mobilitazioni contro le
discariche decise dal commissario, ma nessuno fare la stessa cosa per
impedire lo sversamento di rifiuti industriali mille volte piu'
pericolosi
nelle cave abusive gestite dalla camorra, che tutti sanno dove sono e
tutti
sanno di chi sono.
*
Uno spirito di delega
Oltretutto, la gestione commissariale ha accentuato nella popolazione
uno
spirito di delega, per cui, a risolvere il problema, deve essere
"lo Stato".
Questo offusca la responsabilita' diretta dei cittadini non solo
rispetto
alla raccolta differenziata (che con amministrazioni latitanti e'
peraltro
impossibile fare); ma anche rispetto alla regolare riconferma di
maggioranze
e sindaci che nella gestione dei rifiuti vedono solo occasioni di
malaffare
e di clientele.
L'attuale gestione del commissario Bertolaso non promette di
meglio, perche'
non sono cambiati i presupposti che ne definiscono gli obiettivi:
cioe'
prender tempo - come si e' fatto negli ultimi 15 anni - in attesa
che siano
pronti i tre impianti di incenerimento definiti dalla nuova gara di
appalto
da 4,5 miliardi di euro (avete letto bene: quattro virgola cinque
miliardi
di euro), divisa in tre lotti, ma andata deserta gia' due volte.
Tanto che
la Fibe, pur licenziata ed esclusa, e' ancora li' al suo posto;
a "finire il
lavoro", come direbbe Bush. La Fibe, peraltro, si era aggiudicata
la gara in
project-financing, cioe' anticipando il denaro
dell'investimento, perche'
contava di recuperarlo con i proventi dell'inceneritore. Come ci
insegna
infatti il caso da manuale dell'Asm di Brescia, l'inceneritore
e' una
macchina per fare soldi: non solo a spese degli utenti - i comuni che
producono i rifiuti - ma anche dei contribuenti: attraverso i famigerati
incentivi denominati Cip6. Ma ora che gli inceneritori sono stati
finalmente
esclusi dai benefici del Cip6, che senso ha continuare a costruirli?
All'incasso puo' ancora aspirare la Fibe, o chi la
sostituira'; ma
l'inceneritore di Acerra, se mai entrera' in funzione,
avra' il suo daffare
a bruciare - per i prossimi 15-20 anni: quanto e' l'arco della
sua vita
utile - le "ecoballe" accumulate dagli impianti di Cdr; senza
poter
accogliere nemmeno un grammo dei rifiuti che verranno prodotti da ora in
poi. E senza il Cip6 nessuno vorra' mai piu' finanziare con
denaro proprio
nuovi inceneritori. D'altronde, per costruirne uno, tra gare,
progettazione,
autorizzazioni e cantiere - ammesso, e ovviamente non concesso, che la
popolazione non frapponga ostacoli - ci vogliono almeno quattro anni.
Tutto
il lavoro di Bertolaso per tappare i buchi in attesa dei nuovi
inceneritori
campani e' dunque una fatica di Sisifo, che non fara' avanzare
di un palmo
la situazione.
Che fare allora? La montagna di errori - per usare un eufemismo -
accumulati
negli anni sono una pietra al collo di chiunque si cimenti con il
problema.
La discarica che il nuovo commissario ha ottenuto di aprire a Serre
(l'esito
della vicenda dimostra comunque che ricorrendo fin da subito al
negoziato si
sarebbe probabilmente ottenuto lo stesso risultato in modo piu'
rapido e
meno traumatico) e' appena sufficiente ad assorbire meta' del
milione di
tonnellate di rifiuti che gia' ora si trova per strada. E poi?
*
Via gli imballi
Poi. Primo: bisogna ridurre drasticamente la produzione dei rifiuti. Non
c'e' alternativa: va vietata in tutta la regione, a tempo
indeterminato e
fino alla ricostituzione di uno stato di normalita', la vendita al
dettaglio
di prodotti imballati, sia alimentari che non (compresa l'acqua
minerale e
le bibite gassate), introducendo l'obbligo dei contenitori
riusabili per la
vendita dei prodotti sfusi, con esenzioni limitate ai soli casi in cui,
per
ragioni sanitarie, il rischio supera quello determinato dall'attuale
accumulo di rifiuti per le strade. Si fa gia' da molte altre parti
d'Italia
e d'Europa. In Campania bisogna solo rendere generale e
obbligatoria la
cosa. Contestualmente, va fatto obbligo alla rete della distribuzione al
dettaglio, e alle relative associazioni di categoria, di spacchettare i
beni
venduti e di avviare gli imballaggi agli impianti di recupero. Lo stesso
deve valere per tutti gli inutili supplementi dei quotidiani e per la
pubblicita' cartacea. Da soli, gli imballaggi costituiscono il 40
per cento
in peso dell'intera massa dei rifiuti urbani, ma fino al 60-70 per
cento in
volume.
Ne potrebbe anche nascere del buono. 1: la sperimentazione, da parte
della
cittadinanza, che si puo' vivere bene anche senza, o con molti
imballaggi in
meno; 2: la costruzione di canali di reverse-logistic (restituzione agli
impianti di trattamento dei vuoti e dei prodotti dismessi) da parte dei
commercianti e delle loro associazioni; 3: il potenziamento di detti
impianti - molti possono essere realizzati e montati in pochi mesi; 4:
lo
stimolo per i produttori di beni di consumo - durevoli e non - a
mettere in
produzione articoli che comportino minor spreco di materiali. E' un
esperimento che potrebbe far compiere alla Campania il salto di
un'intera
fase storica, trasformandola nel laboratorio di un'economia piu'
sostenibile.
Secondo: la raccolta differenziata, per essere efficiente, deve essere
fatta
porta-a-porta, con una responsabilizzazione diretta non solo di ogni
singolo
utente ma anche, e soprattutto, degli addetti (alias, operatori
ecologici).
A questi spetta individuare le diverse tipologie di utenze servite, i
loro
problemi, e contribuire a trovare le soluzioni piu' acconce per
ciascuna di
esse con un confronto in seno ai rispettivi gruppi di lavoro.
E' una scelta organizzativa che professionalizza gli operatori,
trasformandoli in lavoratori cosiddetti front-line. Richiede
un'organizzazione capillare del servizio, la formazione continua
degli
addetti e, ovviamente, personale motivato, economicamente incentivato, e
maggiori risorse: infinitamente meno, comunque, di quelle che sono state
sprecate in anni di gestioni scellerate. L'esperienza insegna che
si possono
raggiungere percentuali di raccolta differenziata del 60-70 per cento
anche
in contesti urbani difficili in un anno o poco piu'. D'altronde
alcuni
centri della Campania questi obiettivi li hanno gia' raggiunti
grazie agli
sforzi dei loro amministratori: dunque, si puo' fare. La raccolta
differenziata i cittadini la fanno volentieri e ne sono orgogliosi.
Terzo: la costruzione di nuovi impianti di trattamento
meccanico-biologico
e/o la riabilitazione di quelli esistenti deve mirare a un ulteriore
recupero di materiali dal rifiuto residuo (frazione organica
stabilizzata,
plastica, cartaccia e metalli). Le tecnologie per farlo sono
disponibili e
gia' ampiamente sperimentate e il residuo da destinare alla
discarica puo'
scendere fino al 10 per cento di quanto prodotto. A questo punto il
miraggio
degli inceneritori che ci liberino finalmente (e quando?) dai rifiuti
perde
ogni ragion d'essere: sia ambientale, sia anche, e soprattutto,
economica.
*
Come le piramidi di Giza
Quarto: il pregresso, cioe' le montagne di ecoballe. Viene la
tentazione di
dire: che restino la', come le piramidi di Giza; a perenne monito
dei rischi
connessi alla riconferma di sindaci inetti. E invece no. Qui, in
presenza di
un impegno concreto della popolazione campana, e di poteri sostitutivi
nei
confronti di tutti i comuni e i consorzi inadempienti, si puo'
chiedere per
l'ultima volta alle altre regioni italiane di farsi carico di una
parte
almeno del loro smaltimento: in impianti dedicati (inceneritori e
discariche) e non (centrali a carbone, cementifici) che siano in grado
di
contenere gli impatti di quel disastro. E' un debito che le altre
regioni
hanno contratto nel tempo, perche' la maggior parte delle
discariche abusive
che inquinano la Campania sono state riempite con rifiuti provenienti da
fuori.
Quinto: per quanto riguarda l'ordine pubblico, le cause della
montagna di
rifiuti che invade la Campania sono camorra e corruzione o, piu'
spesso, la
contiguita' tra camorra e amministrazioni pubbliche, a tutti i
livelli. Per
combattere entrambe non mancano le leggi (il codice penale), ne' gli
strumenti (prefetti, polizia, carabinieri, guardia di finanza,
magistratura).
Forse, qui come altrove, manca del tutto la volonta' politica e, a
monte,
tra noi cittadini ed elettori, una cultura adatta ai problemi da
affrontare.

 

[Dal quotidiano "Il manifesto" del 22 maggio 2007.
Guido Viale e' nato nel 1943, e' stato uno dei leader della
protesta
studentesca nel '68, lavora a Milano, si occupa di politiche attive
del
lavoro in campo ambientale, fa parte del Comitato tecnico-scientifico
dell’
Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente (Anpa). Opere di Guido
Viale: segnaliamo particolarmente Il Sessantotto, Mazzotta, Milano
1978; Un
mondo usa e getta, Feltrinelli, Milano 1994, 2000; Tutti in taxi,
Feltrinelli, Milano 1996; Governare i rifiuti, Bollati Boringhieri,
Torino
1999; A casa, L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2001; Vita e morte
dell'automobile, Bollati Boringhieri, Torino 2007]