Crisi del sistema? D'Alema è uomo di mare, fiuta il vento... (intervista a Bruno Arpaia)
di Michele De Feudis/Bruno Arpaia - 25/05/2007
Fonte: Il Secolo d'Italia
Quando si infervora la
polemica e gli domandano
cosa pensi «di quel sindaco,
come si chiama, Cofferrati»,
non si ferma a riflettere sulle erre
del cognome del primo cittadino
di Bologna, ma inconsciamente
vorrebbe gridare il morettiano
«no, il dibattito no!». Bruno
Arpaia è uno scrittore e un intellettuale
non-conformista, ha
intrapreso una riflessione fuori
dagli schemi dando alle stampe
un saggio pieno di contaminazioni,
Per una sinistra reazionaria
(Guanda), critica le categorie
novecentesche intorno alle quali
si divide il Palazzo e ritiene ancora
utile riattualizzare le provocazioni
pasoliniane («fare un uso
rivoluzionario della tradizione»)
per incidere nella società italiana.
La presentazione del suo ultimo
pamphlet
nella sala conferenzedella libreria Laterza di Bari, santuario
laico della sinistra veltroniana,
offre l’occasione per un’originale
conversazione a schema
libero, con inattesi elogi per la cultura
di destra più eterodossa.
«Massimo D’Alema denuncia la
crisi del sistema politico italiano?
È un uomo di mare, gli piace
andare a vela. E credo – picchia
con un pizzico di sarcasmo – che
stavolta abbia fiutato il vento». La
provocazione dell’ultimo presidente
dei Democratici di sinistra
scuote Arpaia, ma non lo convince:
«Troppo facile constatare una
situazione di difficoltà e impasse
delle istituzioni e dei partiti –
attacca – quando sarebbe necessario
produrre analisi costruttive.
La crisi della politica è molto più
profonda di quello che può sembrare,
e riguarda un diffuso sentimento
di sfiducia verso la partecipazione
al bene comune che si
avverte semplicemente ascoltando
le opinioni di cittadini comuni
». Da sinistra, senza più dogmi e
con una certa allergia alle ideologie,
lo scrittore napoletano ha
ripreso a cercare risposte a
domande antiche, trovando affascinanti
e convincenti interlocutori
scomodi per la cultura imperante.
L’aver fatto proprie le tesi
del filosofo francese delle Nuove
sintesi, Alain de Benoist, sul dissolversi
del legame sociale, gli è
valsa la scomunica sul
Corrieredella Sera
da parte del saggistaBruno Pischedda, il quale nonostante
un’amicizia quasi trentennale,
lo ha stroncato senza mezzi
termini, riducendo la sua speculazione
a “un pastone” dal sapore
stantio dell’anticapitalismo
romantico.
«La sinistra ha accumulato un
forte ritardo nello studio dell’evoluzione
della società consumistica
– aggiunge – perché è rimasta
per troppo tempo immobile. Sia la
sinistra luogocomunista, quella
che considera inviolabile il progresso,
sia quella neanderthaliana
e radicale, adoratrice dei diritti
dell’individuo in una dimensione
mercantile dei rapporti sociali,
sono inefficaci per comprendere
le nuove istanze del popolo, i nuovi
perimetri della cittadinanza».
Con questa premessa e senza pregiudizi
di sorta, Arpaia ha scrutato
a destra, traendo conclusioni
che hanno fatto saltare sulla sedia
più di un santone del politicamente
corretto. «Intossicato e annoiato
dalla retorica contro la destra
berlusconiana, e abituato a una
sinistra che si considera l’unica
depositaria della verità, ho scoperto
l’esistenza di una “destra
sublime”, già ammirata da Pier
Paolo Pasolini. Mentre un mondo
culturale si crogiolava sulla forza
dell’Uomo nero, c’era chi affrontava
con spessore temi nuovi e indispensabili
come la democrazia
partecipativa, la comunità, il bisogno
del sacro». Attraverso la lettura
di
Oltre il Moderno (Ariannaeditrice) di Alain de Benoist, o de
Il secolo sterminato
(Rizzoli) diMarcello Veneziani ha trovato
convergenze inattese con il pensiero
della destra che critica gli
eccessi del liberalcapitalismo.
Arpaia, infatti, sottoscrive l’analisi
di Franco Cassano: «Nell’epoca
in cui il comunismo è morto e lo
Stato non si sente tanto bene –
scrive il sociologo barese – la sinistra,
in tutte le sue varianti, sembra
aver abolito l’idea di volontà
generale, dandone versioni caricaturali
e repressive, e sciogliendola
senza residui nella volontà di
tutti, nella semplice sommatoria
delle volontà individuali». Per
confutare con leggerezza l’accusa
sferzante di essere diventato un
collabo, allo scrittore di Ottaviano
non resta che difendersi con una
citazione tratta da una vignetta
celebre. Sono costretto a fare mia
la massima straordinaria di Altan
– spiega – quella che recita più o
meno così: «a volte mi vengono in
mente idee che non condivido».
Alla deriva della politica italiana
sempre più delegittimata e lontana
dalla realtà, Arpaia ritiene
sia necessario opporre una alternativa:
«Si discute troppo spesso
di televisione e potere, ma questo
non è a mio avviso il nodo principale
in un mondo che ha nell’individualismo
la grammatica dominante,
e nei partiti un interlocutore
marginalizzato. Dobbiamo elaborare
nuove forme di partecipazione
dei cittadini alla politica –
rimarca – e in questo quadro asfittico
sono sempre più centrali le
minoranze etiche, politiche, sociali
che danno testimonianza di una
differente percezione della vita
pubblica. Ormai bisogna prendere
congedo dal Novecento, dagli steccati
e dalle ideologie del secolo
scorso. Abbandonando l’utopia e
scegliendo l’immaginazione».