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Mediobanca: sempre lo stesso centro degli affari

di Andrea Angelini - 25/05/2007




Scomparso il suo padre padrone Enrico Cuccia nel giugno del 2000 ed usciti via via di scena tutti gli imprenditori di riferimento come Giovanni Agnelli e Leopoldo Pirelli che le avevano costruito attorno un reticolo protettivo, Mediobanca è stata costretta a ripensare il suo ruolo. Tutto è cambiato con la privatizzazione delle tre banche pubbliche dell’IRI che la controllavano, ossia la Commerciale, il Credito Italiano e il Banco di Roma, tutto è cambiato con la apertura del mercato italiano alle banche straniere e con il susseguirsi di fusioni che hanno ridisegnato il panorama bancario italiano. Anche la Lazard di Michel David Weil, vecchio amico di Cuccia, è uscita nel dicembre del 2000 dall’azionariato di Mediobanca, anche se un suo uomo di fiducia come Antoine Bernheim ha continuato a muoversi nel consiglio di amministrazione di Piazzetta Cuccia e della sua più importante partecipata, le Assicurazioni Generali.
Non potendo più essere l’unico tramite degli affari che si imbastiscono in Italia, ed essendo stato allontanato l’ultimo dei “cucciani” come Vincenzo Maranghi, è stato gioco forza per l’istituto milanese cercare di conservare un proprio ruolo in Italia seppure senza l’autorevolezza autoritaria di un tempo quando nessuno poteva dire di no ad Enrico Cuccia senza vedersi immediatamente arrivare la richiesta dalle banche creditrici di restituire i soldi presi in prestito.
La morte di Cuccia ha inoltre tagliato di netto i rapporti preferenziali con la Banca Commerciale, considerata la banca laica per eccellenza. Le nozze dell’istituto di Piazza della Scala con la Cariplo e con il Banco Ambrosiano Veneto, ha spostato sul versante “cattolico” il gruppo che ne era nato, cioè Banca Intesa. E tale impronta si è ulteriormente accentuata con le nozze con il San Paolo di Torino che la hanno trasformata nella banca “prodiana” per eccellenza. Non per niente a guidarla c’è Giovanni Bazoli, amico di vecchia data del Professore capo del governo. In ogni caso, come ai tempi di Cuccia, Mediobanca ha imbastito operazioni più che discutibili basate più sull’indebitamento che sull’esborso di soldi pronto cassa. Fra tutte svetta l’offerta pubblica di acquisto su Telecom lanciata nel 1999 per conto dell’Olivetti di Roberto Colaninno e che ha portato al disastro attuale.

Un nuovo modello di gestione
Ieri il consiglio di amministrazione di Mediobanca ha approvato all'unanimità le modifiche alle proprie modalità di conduzione (indicate come “governance”) che saranno basate sul sistema duale.
Ci sarà quindi la separazione dell'attività di controllo e di indirizzo, affidata al consiglio di sorveglianza, e quella di gestione ed amministrazione che spetterà consiglio di gestione. Il tutto per assecondare la crescente presenza del Gruppo sui mercati internazionali. L’idea è stata quella di rafforzare il sistema di pesi e contrappesi dove i soci minori potranno fare sentire la propria voce e rimuovere, se necessario, gli amministratori ritenuti inadeguati.
Il nuovo assetto tiene conto infatti che nel patto di sindacato che controlla Mediobanca ci sono tre categorie di soci.
Nel gruppo A ci sono i soci bancari come Capitalia (9,39%), Unicredit (8,682%), Mediolanum (1,88%), Commerzbank (1,71%); nel gruppo C una ventina di soci industriali, come Generali, Pirelli, Pesenti e Ligresti con un totale del 17,279%. Ed infine il gruppo B dei soci stranieri con un 8,957% che riunisce Finanziere du Perguet (del finanziere francese Vincent Bollorè), Groupama (controllata dal gruppo assicurativo francese Gan), e Santusa Holding (controllata dallo spagnolo Banco di Santander)
Nella riunione a Piazzetta Cuccia ha fatto inevitabilmente capolino la questione della fusione tra Capitalia e Unicredit che giungeranno a controllare complessivamente un 18% della banca d’affari milanese. Una percentuale che potrebbe spingerle a fare la voce grossa e a imporre la propria volontà agli soci. Cesare Geronzi e Alessandro Profumo hanno però già annunciato che tale percentuale scenderà al 9% e che quel 9% eccedente verrà venduto in opzione ai soci bancari. Quindi Mediolanum di Berlusconi e Ennio Doris e la tedesca Commerzbank.
Una assicurazione che non è bastata a rassicurare Giovanni Bazoli, presidente di San Paolo-Intesa che è socio delle Generali con il 2,3% e che teme che la forza della nuova banca si faccia sentire anche a Trieste. Peraltro sia Unicredit che Capitalia da tempo hanno comunicato di voler vendere le rispettive quote in Generali dove il socio di riferimento è la stessa Mediobanca con il 14,13%.
Le stesse Generali che sono il primo socio non bancario di Unicredit.
Da parte sua Tarek Ben Ammar, consigliere indipendente di Mediobanca, indipendente nel senso di privo di una sua partecipazione azionaria, seppure è vicino ai soci francesi, ha ironizzato sulle preoccupazioni di Bazoli: “Queste sono sceneggiature che voi giornalisti avete il diritto di scrivere e altri di inventare. La realtà è che l'indipendenza di Mediobanca vuole dire indipendenza di Mediobanca. E nessuno vuole cambiarla, né Profumo, né Geronzi, né noi. Mediobanca sarà sempre indipendente ed avrà un sistema dualistico dove c’è chi gestisce e chi fa l'azionista. Come fanno tante altre imprese francesi ed europee”.