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Dove va la Finanza?

di Giorgio Vitangeli/Luigi Tedeschi - 26/05/2007

Dove va la Finanza?

di GIORGIO VITANGELI a cura di LUIGI TEDESCHI
Edizioni Il Settimo Sigillo pp. 123 euro 10,00

IL SABOTAGGIO DI BRETTON WOODS
Tralasciando gli episodi minori e per fermarci solo agli ultimi quindici anni, il mondo ha conosciuto la crisi del sistema monetario europeo del 1992, con l’attacco della speculazione alla lira e alla sterlina, poi al franco francese; la crisi monetaria messicana nel 1995, quella delle Borse asiatiche nel 1997-‘98, il crollo di Wall Street e delle Borse europee nel 200l, cui è seguita la stagnazione dell’economia reale, dopo i lunghi anni di “irrazionale esuberanza” dei mercati. Il dollaro è divenuto sempre più debole, seguendo un copione “deja vu”, con la novità però di un euro che sembra sempre più forte, e di un disordine finanziario che dai mercati si è esteso anche ad alcune grandi imprese, il cui collasso ha evidenziato falsificazioni contabili e truffe su scala planetaria. Infine le scorrerie degli Hedge Funds e le bolle speculative sulle materie prime sul mercato immobiliare, e le nuove scosse di terremoto sui mercati azionari dei Paesi emergenti.
Lei, Vitangeli, è stato per anni commentatore “fuori dal coro” delle vicende del sistema monetario internazionale prima su “L’Orologio’ poi su ‘Nuova Repubblica” e sul quotidiano economico “Il Fiorino”; dirige da più di vent’anni la rivista “Finanza Italiana”. Con oltre quarant’anni di cronache economiche, di commenti e di analisi alle spalle forse può darci una risposta alla domanda che molti cominciano a porsi con allarme crescente. Ma dove ci sta portando questa finanza globale, che assomiglia sempre più ad una sorta di bisca planetaria?

Già, dove sta andando la finanza? Il mondo è pieno di analisti, di economisti, di “guru” della Borsa, di venditori di quote di fondi, di giornalisti e di impiegati di banca che dispensano ai risparmiatori suggerimenti e consigli, pretendendo di sapere quel che accadrà domani.
Mi guardo bene dall’aggiungere la mia ignoranza a quella altrui. Ed a scanso di equivoci mettiamo subito le carte in tavola. Io non ho idea di cosa accadrà domani o dopodomani alla Borsa di New York, o più modestamente a quella di Milano, per cui chi in questo libro-intervista cercasse qualche suggerimento utile a far soldi, si risparmi la spesa e la fatica di leggere. Chi invece cerca di capire cosa sta accadendo, e perché, e quali sono gli sbocchi possibili di una situazione che è nata da uno “scandalo monetario internazionale”’ ed è sfociata nel “casinò” del “denaro impazzito” forse potrà trarre da questo libro qualche traccia per comprendere e qualche spunto di riflessione. E magari, incidentalmente, anche qualche più fondata idea su come andrà a finire. Spesso infatti il futuro è già scritto nel passato. Come per la parabola di un missile, per capire dove andrà a cadere basta sapere da dove è partito, e calcolare la traiettoria.
Anche per quanto riguarda la “finanza impazzita” di oggi bisogna perciò rovesciare la domanda e cominciare a capire come è nata, prima di ipotizzare come finirà. Perché la finanza globale che oggi domina il mondo è supportata, e vero, dalla rivoluzione informatica e dalla società della comunicazione, che consente con un semplice impulso elettronico di trasferire capitali immensi da un mercato all’altro, o di puntare coi derivati somme stratosferiche in scommesse sui cambi o sui tassi d’interesse, ma alla base d’essa c’è una ideologia ed una serie di eventi che hanno determinato nella finanza una sorta di mutazione genetica.L’ideologia, o per meglio dire la giustificazione teorica, è quella del liberismo, applicato non più solo alle merci, ma anche (o soprattutto) ai movimenti di capitali, con una forzatura analogica sulla quale anche non pochi economisti ortodossi nutrono forti dubbi.
Può fare qualche nome?
Certo. Anche perché si tratta di autori, utili per ulteriori approfondimenti. Era ed è da pazzi e sconsiderati, sostiene ad esempio Susan Strange, già docente alla London School of Economics, permettere che i mercati finanziari “operino in modo completamente indipendente, sottraendosi a qualsiasi controllo delle autorità statali e internazionali La follia o pazzia di un uomo o di una donna si esprime attraverso un comportamento incostante, imprevedibile e irrazionale, potenzialmente dannoso per se e per gli altri. Ma questa descrizione si applica perfettamente al comportamento dei mercati finanziari negli ultimi anni, in cui stati di euforia senza motivo si sono alternati ad altri di altrettanto ingiustificata depressione” (Susan Strange, op. cit. p. 3). John Eatwell, preside della Facoltà di Economia del Queen’s College, in un rapporto scritto per l’Agenzia per lo sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) si opponeva decisamente alla deregolamentazione finanziaria ed all’eliminazione di controlli sui movimenti di capitali, che a suo giudizio avrebbe determinato un peggioramento economico. Il premio Nobel dell’economia James Tobin ha proposto una tassa (la famosa Tobin tax) per disincentivare i movimenti di capitali speculativi, giudicati evidentemente dannosi. Phil Cerny, docente di politica economica internazionale all’Università di Manchester, sostiene che con la libera circolazione dei capitali ormai è l’economia finanziaria globale a dettare l’andamento dell’economia reale, e che la politica internazionale deve ancora raggiungere un metodo di controllo praticabile. Vittorangelo Orari (che è stato docente di economia in varie Università italiane e straniere ed è Rettore dell’International Institute of Advaned Economic and Social Sciences) a sua volta nel saggio Globalizzazioe scientificamente infondata (Editori Riuniti, Roma 2003), distrugge l’intero apparato scientifico su cui si fonda la teoria classica del commercio internazionale, accusandola di non esprimere la dinamica della realtà, ma una sorta di sua fotografia statica. E non paiono accuse infondate o stravaganti, se altri autorevoli accademici osservano che il saggio di Orati “porta ripensare molti degli argomenti utilizzati a favore della globalizzazione” o che “fornisce argomenti fondati sul principio dello scambio eguale, un ordine internazionale radicalmente diverso, e un nuovo paradigma economico per appropriate politiche protezionistiche a favore dei Paesi più deboli”. Lo stesso John Maynard Keynes d’altronde, come ricorda Nicola Bellini in Stato e industria nelle economie contemporanee (Donzelli Editore, Roma 1996, p. 5), “con un saggio pubblicato nel 1933 e intitolato National sufficiency, dichiarava il proprio distacco morale ed intellettuale dalla ottocentesca nel libero scambio”... -