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A proposito di antipolitica... Un po' di teoria (sociologica) non guasta mai.

di Carlo Gambescia - 28/05/2007

Prima di definire l’antipolitica è necessario definire la politica.
Che cos’è la politica? Attenzione: che cos’è la politica non che cosa dovrebbe essere… Qui ci interessa quel che la politica sia in concreto… Ed ecco allora una definizione: la politica è la forma per eccellenza di organizzazione sociale, che si esplica attraverso il controllo e il consenso collettivi. Implica il conflitto come la cooperazione. Spesso l’uno è in funzione dell’altro: si coopera (politicamente) per avere la meglio su un altro gruppo sociale. Diciamo pure che le società si reggono, paradossalmente sul “conflitto cooperativo”. Le forme di governo, al di là di ogni idealizzazione (spesso strumentale), riguardano soltanto l’organizzazione del conflitto, del controllo e del consenso. Una strutturazione del potere che riflette contenuti culturali, storicamente mutevoli. Le forme di governo democratiche e non democratiche si alternano nella storia umana. E tra le une e le altre si forma un’ampia zona (storica) grigia. Dal momento che essendo gestite da minoranze (il potere reale, per ragioni organizzative, man mano che le società aumentano di dimensioni, finisce regolarmente nelle mani di pochi eletti), le forme organizzative, se vogliono stabilizzarsi, devono essere basate su un giusto un mix di consenso e controllo sociale. Un “dosaggio” che dipende dalla maturità delle élite dominanti, da quella del popolo, e dalle necessità e dai valori del tempo. Sotto tale aspetto la forma-stato moderno, è solo una delle forme assunte dalla politica nella storia universale Tuttavia, quanto minori sono le distanze culturali, economiche e sociali tra le élite e il popolo, tanto maggiori sono la coesione e stabilità di un sistema politico storico. E tanto più il benessere sociale e morale diviene patrimonio di tutti.
Riassumendo: la politica è distinta da una forma: il conflitto ( il quale implica, come abbiamo visto la cooperazione), e da contenuti storicamente differenti, attraverso i quali si concretizzano le istituzioni storiche. Istituzioni il cui scopo è la regolazione del mix tra consenso e controllo. E al tempo stesso dei livelli di “tollerabilità sociale” del “regime”, in termini di distanza politica, economica e sociale tra élite dominanti e popolo.
Veniamo ora all’antipolitica.
Una volta ammessa la definizione di cui sopra, dovrebbe perciò essere finalmente chiara l’impossibilità di parlare di “antipolitica”. Ogni società è politica fino al midollo (perfino la più primitiva), in quanto esistono (ed esisteranno sempre), oggettivamente, la figura del nemico pubblico e la conseguente necessità di forme collettive, anche rudimentali di organizzazione politica. Pertanto l’ attuale polemica sull’antipolitica è puramente strumentale e funzionale alla conservazione di un modello politico di tipo liberale-rappresentativo che viene identificato con la politica in quanto tale. E quel che peggio con la fine della storia “politica” dell’intera umanità. Scambiando la forma con il contenuto: le istituzioni attuali di regolazione del conflitto, con la politica, o se si preferisce, con il politico, in quanto tale. In realtà, come mostra la storia, il conflitto non può sempre essere addomesticato… La politica non può sempre essere ridotta a puro e semplice dibattito pubblico: una costante delle politica è quella costituita dalla necessità della forma conflitto di incarnarsi costantemente in nuovi contenuti. Di conseguenza l’antipolitica di oggi può essere la politica di domani, perché attesta la necessità di nuovi contenuti, che prima o poi dovranno prendere la veste di nuove istituzioni. Soprattutto perché il rifiuto, sempre più diffuso, delle attuali élite dirigenti come delle stesse istituzioni politiche, indica una richiesta di maggiore partecipazione e una volontà profonda di imporre una differente strutturazione del potere politico. E pertanto una riduzione di quella distanza, che attualmente sta crescendo, tra élite e popolo, cui abbiano già accennato.
In questo senso più si parla di antipolitica, come fanno, su sponde solo apparentemente opposte, D’Alema e Panebianco, più si favorisce la conservazione del sistema attuale.
Concludendo: l’antipolitica è la politica del futuro.