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Visco e Speciale, uno dei due mente uno dei due si dimetta

di Massimo Fini - 28/05/2007

Com'è probabilmente noto al lettore il viceministro dell'Economia Vincenzo Visco è nella bufera perché accusato di aver esercitato "indebite pressioni", anzi di aver ordinato al comandante generale della Guardia di Finanza, Roberto Speciale , di trasferire quattro alti ufficiali lombardi che indagavano sulla vicenda Bnl-Unipol. Non si tratta di accuse generiche, di boatos giornalistici. Vengono dallo stesso Speciale e sono contenute in documenti ufficiali raccolti dall'Avvocato generale dello Stato di Milano, Manuela Romei Pasetti, che era stata incaricata di svolgere un'indagine preliminare per un'eventuale azione disciplinare nei confronti dei finanzieri di cui Visco avrebbe chiesto il trasferimento.A conforto delle sue accuse, Speciale portava anche due testimonianze, quelle del colonnello Carbone e del maggiore Cosentino.

Visco ha smentito tutto, affermando che la ricostruzione degli avvenimenti di Speciale è "artefatta". E l'Ulivo ha fatto quadrato intorno al viceministro. Il presidente del Consiglio Romano Prodi, ha tagliato corto affermando che Vincenzo Visco "è un galantuomo" e la stessa affermazione l'ho sentita fare da Oliviero Diliberto, dei Comunisti Italiani, a "Porta a porta". Ma qui non si tratta di sapere se Visco è in astratto "un galantuomo", ma se il generale Speciale ha detto la verità. "O mente Visco o mente Speciale" ha detto con logica aristotelica Gianfranco Fini, "tertium non datur". Se mente Speciale va immediatamente rimosso e mandato, come generale fellone, davanti alla Corte marziale. Se mente Visco deve dimettersi. E poco importa se le sue "indebite pressioni" configurano un reato (la magistratura romana ha aperto un'inchiesta, sia pure, per ora, generica, mentre quella milanese se ne era poco elegantemente lavata le mani sostenendo che dalle carte non emergevano "in modo preponderante" elementi per avviare un'indagine penale), perché dal punto di vista politico il comportamento del viceministro Visco - se Speciale ha detto il vero - rimane gravissimo.

Si parla molto, di questi tempi, di "crisi della politica", di una montante sfiducia dei cittadini nei confronti della classe dirigente. Ebbene, le dimissioni di Visco o la rimozione di Speciale sarebbero un passo, un piccolissimo passo, s'intende, per ridare ai cittadini un po' di quella fiducia perduta. Vorrebbe dire scalfire il principio di autotutela con cui, fino ad oggi, la classe politica si è protetta, che in Italia ha una storia lunga, lunghissima, che va dall'arrogante "non ci faremo processare" di Aldo Moro alla ancora più arrogante autoassoluzione di Bettino Craxi nel suo famoso discorso in Parlamento all'inizio delle inchieste di Mani Pulite ("se siamo tutti colpevoli, nessuno è colpevole"), al "non ci sto" di Oscar Luigi Scalfaro, fino allo strabiliante ribaltamento di posizioni avvenuto, con la complicità di buona parte della stampa italiana (nemmeno questo va dimenticato) quando la classe politica, passato il peggio della bufera di Tangentopoli, trasformò i magistrati che avevano osato chiamarla, per la prima volta nel nostro Paese, a quel rispetto della legge cui tutti siamo tenuti, in colpevoli; i ladri nelle loro vittime e in giudici dei loro giudici e convinse il popolo italiano che era giusto che fosse stato derubato e taglieggiato.

Le dimissioni di Visco o la rimozione di Speciale sarebbero un segnale: che anche gli alti esponenti delle oligarchie che ci comandano, quando sbagliano ne devono pagare il prezzo. Come noialtri cittadini.