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Quando la Mafia siamo Noi

di etleboro - 28/05/2007

 


L'emergenza rifiuti è ormai giunta all'insostenibile situazione di panico ed esasperazione della popolazione, che ha così deciso di mettere a "ferro e fuoco" i centri raccolta. Il gesto estremo di incendiare le città e di scendere in strada armati della sola disperazione, è solo il risultato dell' indifferenza delle istituzioni e del fallimento delle amministrazioni locali. Le stesse forze dell'ordine si sono rivelate assolutamente impotenti dinanzi ad una situazione critica, chiedendo addirittura l'intervento dei caschi blu contro una popolazione inerme che chiede solo che la propria salute venga difesa e cautelata.
Intorno alla questione dei rifiuti molte parole sono state dette, tanti sono stati i progetti che sono falliti nonostante siano stati drogati dai finanziamenti delle istituzioni, e la sola giustificazione che è stata data è che la camorra e la mafia controllano lo smaltimento e il recupero dei materiali. Questo è ciò che ci è stato detto anche dai magistrati, dai politici, dalle forze dell'ordine, e nel frattempo incombe sull'Italia una denuncia da parte dell'Unione Europea per la pessima gestione dello smaltimento dei rifiuti.
Se questo è il risultato di anni di lotta contro la mafia, di processi e di arresti, allora vuol dire che qualcosa non va, che ci stanno nascondendo qualcosa, che la storia non è proprio come vogliono che sembri. Il giro d'affari delle mafie locali e della criminalità organizzata cresce a dismisura, e prende le sembianze di una multinazionale, che usa strumenti finanziari e strutture amministrative per gestire il loro mercato. In realtà, se cresce, cambia o evolve in nuove strutture, vuol dire che non è un'entità a sé stante, ma è parte di quel sistema piramidale su cui si basa il potere e che usa le gerarchie per controllare le masse. Al momento quindi due sono le strutture che riescono a controllare gli Stati: la mafia intesa come criminalità organizzata, che agisce sullo strato sociale più debole, su coloro che sono ai margini del sistema economico e lottano per la sopravvivenza, e la mafia dell'alta finanza, che utilizza le leggi e la burocrazia dello Stato per manipolare gli eventi e agire su quegli strati sociali più elevati. Questi due sistemi convivono tra di loro, ma solo uno è quello che regge i fili dello Stato, forte del fatto di avere in pugno il controllo della finanza e della magistratura, e contemporaneamente della società civile utilizzando solo come braccio armato la "mafia".
Oggi noi sappiamo che la mafia è una struttura criminale, così come ci insegna la vasta cultura cinematografica in tema, ma in essa, in realtà, risiede il segreto della scienza del sistema. Per capire, allora, di cosa si sta parlando, occorre risalire alle origini della parola "mafia" e indagare sugli eventi che l'hanno creata. Secondo la tradizione "Mafia" proviene da un'espressione dialettale meridionale che significa "donna baffuta, rozza e intrattabile", mentre la sua struttura deriva in realtà da un vero codice giuridico, il "kanun", antica fonte di diritto albanese. Il "kanun" è un'insieme di norme consuetudinarie albanesi tra le zone montane dell’Albania nel corso dei secoli fino a essere recepito dalla legislazione del Regno d’Albania nel 1929, per poi cadere in disuso durante il regime comuniste, ma le sue norme si sono radicate all'interno di quel tessuto sociale più chiuso e sofferente che lottava per la sopravvivenza della propria etnia. Infatti il kanun nasce quando alcune etnie albanesi si rifugiarono sulle montagne per sfuggire dall'accerchiamento degli invasori, e affermare la propria identità etnica e culturale, che rischiava di scomparire sotto il regime di invasori. Esso disciplina fattispecie sia del diritto civile che penale, e dunque il diritto di famiglia, i diritti reali e la proprietà, le successioni e le obbligazioni, nonché i delitti infamanti e la vendetta. Le sue norme ruotano intorno a dei concetti fondamentali che sono la famiglia di tipo patriarcale con una forte "patria potestatis", la vendetta come punizione commisurata al torto subito secondo l'antica legge "del taglione", e la "besa" ossia la parola data, intendendo la promessa verbale come patto vincolante e con effetti giuridici . Quest'ultima rappresenta l'istituzione basilare del Kanun che è insieme promessa, parola data, fede giurata, nonché assicurazione sull'onore e spesso anche della tregua e dell'alleanza.Il Kanun di Dukagjini
Leggendo il kanun potrete, con vostra grande sorpresa, ritrovare le leggi della "mafia" che noi tutti conosciamo in un certo senso, tramandate di generazione in generazione dalla tradizione popolare, ma mai scritte in un codice giuridico.
Ciò che maggiormente stupirà è il fatto che esso è nato per regolamentare una società che non aveva altri leggi, che lottava per la sopravvivenza e per la libertà, e si rifaceva dunque ad una tradizione di norme tramandate che avevano la loro origine nel diritto romano. Il riconoscimento della potestà del padre, la tutela della proprietà privata, la successione e la promessa come patto da rispettare al costo di perdere l'onore o la capacità giuridica, sono proprio dei concetti che derivano dal diritto romano.
La giurisprudenza del Kanun è basata su una concezione morale della stirpe, fiera della propria personale dignità, dell'indipendenza e dell'onore. Per tale motivo non concepisce la schiavitù come stato sociale dell'individuo, che è investito del potere inalienabile di reagire a qualsiasi tentativo di sottomissione o di attentato alla propria vita.
Il Kanun venne così adottato come propria legge dagli Arbresh, che divenirono per lo Stato dei sovversivi e dei criminali perché contrari al regime stabilito dal vincitore. Successivamente, le emigrazioni degli albanesi portarono tale codice anche in Italia, soprattutto in regioni come la Puglia, la Calabria, la Basilicata e la Sicilia, in cui intanto stavano prendendo piede i movimenti di rivolta contro le baronie che affamavano la popolazione. Furono allora che nacquero i Briganti, coloro che erano combattuti dallo Stato Italiano, creato dai vincitori finanziati dalle lobbies bancarie. Da qui anche la storia del "Bandito Giuliano", che altro non era che un contadino che decise di ribellarsi al sistema feudale della macina del grano, che dava al Barone un potere di monopolio e di gabella e affamava la popolazione. Nel momento in cui il "Bandito Giuliano" venne fermato e uccise un carabiniere, fu costretto a rifugiarsi sui monti siciliani, protetto dai contadini che sino a quel momento aveva difeso dalle pretese del barone: divenne così un ricercato e poi capo della "Mafia". Quando tra le fila dei "mafiosi" giunse Michele Navarra, mente astuta e "raffinatissima", la mafia si trasformò e divenne l'arma nelle mani dello Stato per reprimere i movimenti operai e le rivolte per i diritti sindacali, e sabotare i progetti d' indipendenza della Sicilia
. Navarra creò così la Mafia di Totò Riina e di Provenzano, ossia di quella organizzazione criminale che doveva fungere da arma per controllare le popolazioni locali, con un regime patriarcale di terrore. Il Bandito Giuliano fu ucciso dagli stessi capomafia al servizio di Navarra, che intanto strinse con gli Italo-Americani il patto per l'invasione della Sicilia.Il Bandito Giuliano

Nella squarciare, dunque, il velo della Mafia arriviamo a scoprire che era nata all'inizio per lottare contro la schiavitù della popolazione contadina, ma è stata nel tempo trasformata dalle lobbies finanziarie e politiche, dalle menti raffinatissime, che la hanno trasformata in "criminalità organizzata" per rimettere in schiavitù quei ceti più poveri che tentavano di ribellarsi. La storia continua a perpetuarsi e oggi quella che noi definiamo mafia è solo un'entità che fa il lavoro sporco delle lobbies più potenti. Per esempio il mercato della cannabis è stato posto sotto il controllo delle mafie locali con l'obiettivo di criminalizzarla e impedire che venisse introdotta nel sistema economico come preziosa risorsa industriale disponibile a tutti. Le menti che siedono nei consigli di amministrazione, che chiudono operazioni di alta finanza e viaggiano su aerei privati, sono al vertice di questa piramide di potere che ha tra i suoi gerarchi i capo-mafia. Se oggi la mafia esiste è perché lo Stato e le lobbies che governano il sistema economico,mantengono una situazione di prolungato ed esasperante malessere economico, che va a creare un ghetto di disperati disposti a vivere situazioni estreme pur di vivere. All'indomani della privatizzazione delle imprese statali e dell'aumento della disoccupazione, l'unica struttura in grado di governare tale massa di disoccupati, che sono all'interno della società come una mina vagante, è la Mafia, è la Camorra che impone la legge del più forte e quella del taglione. È l'istintiva lotta per la sopravvivenza a regolare la lotte tra i clan per la conquista del patriarcato.

Tra i pochi che intuirono che il seme della Mafia era all'interno del sistema economico fu Falcone che espressamente disse che delle menti raffinatissime governavano le azioni dei picciotti e dei capo-mafia: le sue indagini colpirono il cuore del sistema, e per tale motivo, dopo la sua morte, le persone che fecero carriere furono proprio quelle a lui vicino, come la stessa Carla del Ponte. Per cui la lotta alla mafia è inutile se non proprio "controproducente" perché il sistema è concepito in modo che colpito un capo, viene automaticamente creato un altro, che avrà a disposizione un nuovo esercito di disperati pronto a lottare per la sopravvivenza. Allo stesso tempo vi sarà il sistema giuridico che bloccherà chiunque intenda arrivare alla mente della mafia: i due poteri, mafia e magistratura, sono sostanzialmente uguali. Il primo incute paura perché ha un sistema punitivo all'interno del suo sistema stesso, mentre il secondo manipola il potere che gli è stato conferito dal popolo per far sì che gli eventi evolvano nel senso sperato. La società civile e quella criminale sono così legate da dipendere l'una dall'altra. Un delinquente arrestato non riuscirà a reinserirsi nella società civile, un imprenditore quando fallisce è spinto al suicidio da una situazione di impotenza assoluta, ma nel caso contrario, la Banca che commette un errore non subisce conseguenze sulla sua credibilità, e può rubare dal conto corrente senza dare spiegazioni.
Se alcuni politici hanno difeso la mafia sono stati mal interpretati perchè vi era una regia, perchè difendevano un sistema, che non era quello criminale ma quello della lotta del più povero. Chi dunque oggi fa la lotta alla mafia deve sapere che è un'entità molto antica, nata quando i Baroni hanno creato la giustizia e l'hanno istituzionalizzata come legge dello Stato, ma non perché essa è la legge dell'uomo: il kanun dice che l'uomo deve mangiare per sopravvivere e per difendere la sua civiltà e la sua cultura.
Persino il primo ministro Sali Berisha disse che se un giorno si decidesse di applicare il kanun, nessuno rimarrebbe all'interno del Parlamento Alabanese.
Possiamo lottare la mafia e riuscire, tuttavia, solo a curare un effetto temporaneo, ma tantissime altre persone continueranno a morire perché crederemo di aver risolto un problema, mentre un altro ben più grande si sta creando. Lo Stato ha tutti gli elementi per vincere questa lotta, ma se non riesce è perché il suo sistema è studiato in modo che chiunque cerchi di manomettere la piramide, cade nel silenzio. La mafia è proprio come Al Queda, non esiste come realtà a sé stante, ma è nel sistema di potere stesso, noi siamo la Mafia perché chiunque di noi lotta per la sopravvivenza. Si convive con la Mafia perché noi siamo la Mafia, noi siamo lo Stato.