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La forma dell’acqua

di Carla Ranicki - 28/05/2007

 
Enormi distese di alga posidonia ricoprono il fondo del Mediterraneo, i ciuffi di lunghe foglie verdi creano un ecosistema che fornisce un riparo ai pesci in procinto di deporre le uova e ai loro piccoli, produce ossigeno e rallenta l’erosione della costa. E tuttavia la posidonia del Mediterraneo corre il rischio di morire soffocata da un’alga verde tropicale invasiva e sta subendo le conseguenze del forte inquinamento. Un bioindicatore cruciale, questa pianta rivela la salute del mare attraverso la sua crescita o la sua diminuzione.

È sotto minaccia, e dobbiamo controllarne l’evoluzione per stabilire se le distese di posidonia si stanno riducendo, spiega l’esperto marittimo Chedly Rais. Ma c’è un problema: “In paesi come la Francia, la Spagna e l’Italia mancano persone con le capacità professionali e le tecniche specifiche per poter misurare questo bioindicatore.”

Rais è il presidente della Okianos, una compagnia da lui fondata nel dicembre del 2005 nella sua nativa Tunisia. Dopo aver lavorato per anni con l’Istituto tunisino per la ricerca applicata al mare e il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente nella città di Tunisi, egli ha osservato come vi sia mancanza di formazione nel campo dell’ambiente marino e come per molte aree del Mediterraneo manchino sia i dati scientifici che i mezzi per la loro raccolta. Così ha fondato Okianos con l’intento di offrire una formazione ai ricercatori e al pubblico generico, oltre che di sviluppare programmi di formazione ed educazione ambientale per le scuole.

I moduli si tengono a Tabarka, sulla costa nord-occidentale della Tunisia, e sono insegnati da esperti provenienti da tutto il bacino del Mediterraneo. I programmi professionali comprendono argomenti come la Gestione integrata della fascia costiera e la Mappatura di biotipi, mentre per le scolaresche viene organizzato un corso di un fine settimana sugli acquari.

“Gli spieghiamo come si costruisce un acquario e come funziona, le piante e i pesci. E attraverso questo esercizio cerchiamo di comunicare loro un messaggio ambientale, per esempio sottolineando l’importanza della qualità dell’acqua” racconta Rais, il quale ha anche progettato un corso settimanale rivolto ai ragazzi di 15 e 16 anni, che provengono soprattutto da Marsiglia, nel sud della Francia, e giungono in Tunisia dove possono studiare il mare partecipando a lezioni pratiche su come misurare la salinità dell’acqua e come stabilire l’età dei pesci, oltre che avere l’occasione di interagire con i loro coetanei locali tunisini.

Qualche settimana fa, Rais si trovava a Genova per partecipare a Slow Fish 2007 e frequentare i due Laboratori dell’acqua che vi si tenevano sulla legislazione marina. È rimasto sorpreso dalle attività rivolte ai bambini e spera di poter incoraggiare molti programmi analoghi in Tunisia.

“È fantastico” ha commentato riferendosi ad aree come le Storie di pesci, dove le scolaresche imparano a conoscere pesci meno diffusi, come il cefalo e il sugarello. “L’attenzione principale dev’essere posta sui bambini. Se abbiamo dei bambini educati dal punto di vista ambientale, il lavoro futuro per la conservazione delle risorse sarà sicuramente più facile”.

Ma per ora, c’è ancora molto da fare. Rais sostiene che il problema più evidente del Mediterraneo è l’eccesso di pesca, e che motivo di preoccupazione sono anche l’invasione di specie straniere e l’utilizzo non regolamentato delle aree costiere. Tuttavia, secondo lui la questione più grave è l’inquinamento biologico.

“Migliaia di tonnellate di acque reflue vengono scaricate nel mare” ha spiegato. “Anche se sono trattate, queste acque contengono tuttavia molte sostanze nutrienti e agiscono da fertilizzanti. Il che è molto pericoloso, è come una bombe à retardement, una bomba a orologeria”. Questi fertilizzanti sconvolgono l’equilibrio dell’ecosistema e creano il caos, favorendo lo sviluppo di una o due specie soltanto, creando più biomassa ma riducendo la biodiversità.

“Non abbiamo idea di come fertilizzare nel mare” ha detto. “Sulla terraferma possiamo farlo perché non ci sono monoculture. Ma nel mare si intacca l’intero sistema”.

Che cosa si può fare a livello individuale per affrontare questo problema? “Prima di tutto” ha risposto Rais, “se avete una barca non gettate mai rifiuti biologici dentro l’acqua. Inoltre, la gente può anche fare pressione su chi ha il potere decisionale, cercando di scoraggiare lo scarico dei rifiuti ed accertarsi che le acque reflue siano sottoposte a un trattamento adeguato”. “Questi impianti di trattamento sono gestiti da enti governativi” ha aggiunto. ”E allora, chi li controllerà?”

I consumatori possono anche contribuire a salvare la ricca biodiversità e il complesso ecosistema del Mediterraneo boicottando il pesce che viene venduto al di sotto delle misure regolamentate. “Se i pescatori non riescono a vendere questo pesce, non cercheranno più di pescarlo” ha spiegato.

Un’aderenza più stretta alle regolamentazioni sulla pesca e l’importanza delle scelte individuali dei consumatori hanno un ruolo chiave nella campagna di Slow Food Mangiamoli giusti, lanciata a Slow Fish.

Rais ha sottolineato che la cosa più importante è evitare di comprare pesce di dimensioni troppo ridotte per la sua razza: “Prima di scomparire del tutto, il pesce diventa sempre più piccolo. Così se ci limitiamo dall’acquistare pesce piccolo possiamo interrompere l’eccessivo sfruttamento”.

Rais ha affermato che gli sarebbe piaciuto assistere a una maggiore partecipazione a Slow Fish da parte dei paesi situati lungo le coste meridionali del Mediterraneo. “Vi sono moltissime potenzialità per aiutarli a migliorare la qualità dei loro prodotti e a conservare le risorse” ha detto.

“Mostrerò le mie fotografie alla gente del mio paese e gli racconterò delle aree marine protette e dei prodotti di alta qualità, come le acciughe di Monterosso”.

Rais ha trovato ispirazione anche nei presidi e nelle comunità alimentari di tutto il mondo da lui incontrate: “Quando torno in Tunisia, voglio cercare di costruire lì una comunità del pesce di Slow Food”.


Carla Ranicki, Uk/Usa, è una giovane giornalista che ha collaborato con l’Università di Scienze Gastronomiche, Pollenzo (Cn)

Traduzione Luisa Balacco