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A proposito di libertà di espressione

di Francesco Maria Agnoli - 29/05/2007

  
 
 
Una volta di più l'esperienza dimostra la saggezza del detto “Mai dire mai”. Per quanto avevo letto di lei e per le sue scelte politiche credevo se non impossibile, estremamente improbabile che potesse accadermi di trovarmi d'accordo con Dacia Valent. Eppure anche se non in tutti i particolari (ad esempio ignoro se Riccardo Pacifici possa essere definito “camerata” e se le sprangate che tanto generosamente distribuisce siano di destra o d sinistra) non posso che condividere la tesi di fondo del suo articolo “Meglio Faurisson di Pacifici”, del quale riporto ampi stralci (chi vuole leggerlo per intero lo trova sulla “Rassegna stampa 21/5” dell'Editrice Arianna).

La questione essenziale non è costituita dalle divergenze sulla Shoah, ma dal fatto che in una vera democrazia non vi è bene più importante della libertà di ricerca e di espressione e nulla di più ripugnante delle verità di Stato, che, oltre tutto, sono anche un madornale errore, perché, come giustamente osserva la Valent, fanno sorgere il dubbio perfino sul fondamento di verità che, senza la tutela delle leggi, s'imporrebbero con la irresistibile forza dei fatti anche a chi le avvicina, ancor più che con occhio critico, con un contrario pregiudizio.

Senza dubbio i picchiatori di Teramo non sono lo stato italiano. Tuttavia, a credere alle cronache (peraltro quanto mai scarse e, tutto sommato, imprecise - evidentemente anche un'obiettiva narrazione dell'accaduto viene ritenuta a rischio -), resta il fatto che l'intervento della Polizia ha lasciato, quanto meno, molto a desiderare.

In ogni caso per quanto riguarda lo Stato la questione è ancora aperta. In Italia le leggi sono uguali per tutti e l'esercizio dell'azione penale, affidato ai magistrati della Procura della Repubblica territorialmente competente, è obbligatorio. Non vi dovrebbe essere nemmeno spazio per chiedersi se si procederà nei confronti dei picchiatori o se invece questi godano del privilegio di una aprioristica impunità. Al riguardo non va nemmeno trascurato che, indipendentemente da quello che sarà poi l'esito del giudizio e, ancor prima, la definitiva formulazione dell'imputazione, fra i reati in ipotesi configurabili vi è anche la fattispecie prevista dall'art. 1/comma 1/cpv. 1 lettera b della celebre “legge Mancino”, che punisce “con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, incita a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”.

Scrive il giornalista Massimo Fini a proposito di quanto sarebbe accaduto in un episodio a parti invertite: “Proviamo ad invertire le posizioni. Se a un docente ebreo fosse stato impedito di esprimere le proprie opinioni, se fosse stato cacciato da una sede universitaria, se gli fosse stato inibito di parlare persino in un ristorante, se fossero volate botte contro chi cercava di difenderlo, se nel tafferuglio, si fosse spaccata la clavicola a un funzionario di polizia, si sarebbe gridato allo scandalo, si sarebbe denunciata, con forza, una inammissibile aggressione fascista. Giustamente.”

La politica e i mass-media possono anche distinguere (comunque a torto), la giustizia mai. Difatti, come conclude Massimo Fini, “il fascismo non è solo un fenomeno storico. È anche una mentalità. Chi pretende, con la violenza di impedire gli altri di esprimere le proprie opinioni, fossero anche riunioni fasciste, è lui il vero fascista, lo voglia o no”. E lo scopo della legge Mancino è, per l'appunto, la repressione di questa mentalità ogni qualvolta venga tradotta in pratica.

Francesco Mario Agnoli

L'articolo di Dacia Valent:
 
 
 
“Oggi, a Teramo, un’ignobile teppaglia, che ha raccontato di esser discendente di deportati – come se l’esserlo li mettesse su un piano diverso dai naziskin che picchiano chi non la pensa come loro – ha malmenato un anziano professore francese, Robert Faurisson, perseguitato da oltre 25 anni da leggi che negano il diritto alla ricerca ed alla libertà d’espressione, e schiaffeggiato un accademico di valore, uno dei migliori africanisti d’Italia, Claudio Moffa. Qualcuno dovrebbe dirmi cosa c’è di epico nel combattere una battaglia al fine di impedire ad un anziano storico di fare il suo lavoro, di provare la sua tesi, di discuterla e metterla a disposizione di chi voglia confutarla.
Che quel qualcuno mi spieghi cosa provoca questa paura irragionevole di confrontarsi con chi mette in discussione una tesi, che come tutte le tesi dovrebbe essere soggetta a verifica.(...)
(La Shoah rappresenta) l’unico caso, nello studio e nella ricerca storica, dove la verità è tale perché stabilita e adottata da governi e non susseguente ad una disamina scientifica dell’assunto. La sola messa in discussione (...) della teoria alla base della Shoah, è un delitto di leso dogma.
La passione per lo studio, la ricerca, la messa in discussione dei dogmi che rendono la storia – quella fatta dai vincitori – un’abominevole palude stagnante degli interessi di parte, è commovente e convincente. Ma per scelta di pochi ma potenti, noi in quella palude ci viviamo, sguazziamo a fianco delle sanguisughe e le accogliamo come costellazioni sulla nostra pelle, regalando loro vita e dignità.
La storia ufficiale ci impone il dogma secondo cui la sofferenza degli ebrei non è la stessa di quella dei Tziganer. Secondo cui la sofferenza degli ebrei non è la stessa dei somali, etiopici ed eritrei. Secondo cui la sofferenza degli ebrei è la sofferenza per antonomasia (...).
L’accanimento con cui si perseguitano - e perseguitano è la parola giusta - quegli storici e ricercatori che non si adeguano alle verità di stato potrebbero essere assimilate ad un preciso sintomo del fatto che questa verità sia viziata e viziosa. L’accanimento con cui interi governi si adeguano e promuovono la censura di chi questo argomento vorrebbe approfondirlo, discuterlo, renderlo meno mitico e più storico in fondo, potrebbe essere considerata la prova dell’esistenza di un complotto per nascondere una verità molto più scomoda di quella ufficiale. (...)
Perché Faurisson, Zuendel, Irving e centinaia di altri, meno noti ma non per questo meno impegnati e meno perseguitati, non possono studiare, ricercare, confrontarsi come ogni altro studioso e ricercatore con il resto del mondo accademico? Cosa ha trasformato Ariel Toaff – mai destinatario di critiche per il suo lavoro accademico - in un intollerabile cialtrone?
In definitiva, cos’è che rende gli ebrei diversi ed intoccabili? E con loro lo stato di Israele.
La Shoah. Che smette di essere avvenimento storico per diventare una risorsa politica utile a minimizzare il dramma palestinese, ad offuscarlo e renderlo meno vicino grazie al senso di colpa dell'occidente.(...)
Non esiste teoria storica che non abbia differenti versioni e punti vista per la sua analisi e la sua codificazione in termini storici, eccetto il capitolo della Shoah.(...)
E oggi, io mi sento meno sicura che la verità imposta per legge sia la verità vera (...).
Soprattutto quando sostenut(a), con la delicatezza tutta ebraica e di destra, dalle spranghe del camerata Pacifici.