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Elezioni amministrative: come sempre hanno vinto tutti

di Carlo Gambescia - 29/05/2007

 

Stando ai risultati, quasi definitivi, al Nord avrebbe vinto la CdL, mentre al Centro-Sud il centrosinistra avrebbe tenuto. E benché il condizionale sia d’obbligo, Berlusconi e Prodi già cantano, entrambi, vittoria ( o non sconfitta).
Ora, al di là del risultato effettivo, visto che si dovranno ancora tenere alcuni ballottaggi, quel che colpisce (e dà fastidio) è il solito vizietto post-elettorale italiano, per cui nessuno perde le elezioni. Un fatto che di solito provoca nei votanti grande disorientamento. Soprattutto tra quelli non politicizzati. Infatti, mentre gli elettori schierati politicamente, a destra come a sinistra, per mimetismo, cantano rispettivamente vittoria, la maggioranza “silenziosa”, non capisce, rischiando così di allontanarsi sempre di più dalla politica: il politico che parla in “politichese” fa crescere il “tasso di assenteismo” in misura direttamente proporzionale al “tasso di cripticità” del suo linguaggio. Indagini sociali, ripetute nel corso degli anni, hanno sempre dimostrato la stessa cosa: che la maggioranza degli italiani giudica la politica noiosa e incomprensibile. E, di conseguenza, lontana, dalla vita e dai problemi quotidiani dei cittadini. Di qui il disincanto se non proprio il cinismo e la disaffezione del “cittadino medio”.
Insomma, il cantare vittoria ( o comunque non sconfitta), “in contemporanea”, di Berlusconi e di Prodi crea altro sconcerto e non fa bene alla politica. A questo punto, la domanda successiva è perché i politici italiani scelgano, nonostante tutto, di continuare comportarsi in questo modo. Per due ragioni.
In primo luogo, in Italia la politica non è mai stata “popolare”. Fin dall’unità italiana - ma si potrebbe risalire alla filofrancese Repubblica Partenopea del 1799 - è sempre stata gestita, in termini di ceti professionali, da pochi gruppi eletti (in particolare di laureati in legge e in lettere), che, per strette ragioni di potere, non hanno mai fatto praticamente nulla per “popolarizzarla”, anche lessicalmente. Di qui, quel considerarla, da parte delle maggioranze silenziose, come “roba da signori e laureati”, incomprensibile ai più, se non in termini, di raccomandazioni e favori. Perché, come si legge nel Cuoco, se ricordiamo bene, “chi ha lu pane e lu vino a da esse giacobino” . Un figura, quella del giacobino "nato signore" e che parla "difficile", alla quale l’immaginario popolare, di volta in volta, ha sovrapposto quella del liberale, del socialista, del fascista, del democristiano, eccetera…
In secondo luogo, i partiti, anche di massa, e soprattutto nel secondo dopoguerra, nonostante i proclami, non hanno fatto nulla, per raccorciare le distanze, anche in senso linguistico, tra élite politiche e popolo. Sono tuttora tristemente celebri le tribune politiche degli anni Sessanta- Ottanta del Novecento, dove tutti dichiaravano di aver vinto le elezioni, complice anche il sistema proporzionale, che permetteva a ogni partito, anche in virtù di un modesto 0,1 per cento in più, di cantare vittoria. Per non parlare poi, dell’alto tasso di incomprensibilità lessicale degli uomini politici di allora, si pensi solo ad Aldo Moro… Il che alimentava una diffidenza verso la politica che all’epoca, era provata - al contrario - dalla larga popolarità goduta da leader che invece si esprimevano con chiarezza di linguaggio o concisione, come ad esempio Almirante e Berlinguer. Eccezioni che, tuttavia, finivano per confermare la regola della cripticità del “linguaggio medio” dei politici italiani.
Si può perciò ritenere che nel passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, non sia cambiato praticamente nulla. Nonostante un certo tasso di rinnovamento nel personale politico, la forma mentis dei politici italiani è rimasta la stessa. Il vecchio vizio politico italiano di cantare vittoria dopo ogni tornata elettorale, prendendo per il naso il cittadino, sembra veramente duro a morire… Purtroppo.