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A gamba tesa. Louis Ferdinand Céline: Rabelais ha fallito

di Louis Ferdinand Céline/francesco forlani - 29/05/2007

 

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disegno di Albert Dubout per PANTAGRUEL, GARGANTUA

Erano giorni, mesi, anni, e qualche settimana fa ne avevo parlato su, http://www.georgiamada.splinder.com/, che volevo ritrovare un testo di Céline. Letto anni prima sul Magazine Litteraire e che da solo sarebbe bastato a dare un calcio in culo alle finte polemiche critico letterarie che riempiono il vuoto delle terze pagine dei nostri quotidiani, con altro vuoto. Del resto a colpi di vuoti la politica nostrana pretende di essere vestita di tutto punto, quando invece il re è nudo, e come se non bastasse non da affatto un bello spettacolo di sè. -Tutti a vuotare!- si dirà, dimenticando ogni centimetro di lotta, di sangue versato che sono stati necessari per esercitare un altro tipo di diritto, quello alla vita politica. E alla fine l’ho trovato, l’articolo, cercando tutt’altro - per i libri si sa è come in amore, conta l’odore e quello non lo programmi- alla librairie Voyelles di Torino. Si intitola Le style contre les idées. Per Nazione Indiana farò una traduzione proponendone subito una versione che editerò da me - perchè esiste anche l’autoediting e non è meno severo- nelle ore a seguire. Post post.

Rabelais ha fallito
di
Louis Ferdinand Celine
traduzione di Francesco Forlani

Volete che vi parli di Rabelais? Bene, ho rovistato stamattina ancora tra le pagine dell’Encyclopédie, e adesso so. Tutto è laddentro, nella Grande Encyclopédie. Si possono fare carriere formidabili con quella. Ecco perché ho cercato alla voce Rabelais.
Capite, con Rabelais, si parla sempre di ciò di cui non si dovrebbe. Si dice, si ripete ovunque:
” E’ il padre delle Lettres françaises…” E poi c’è dell’entusiasmo, ci sono degli elogi, si va da Victor Hugo a Balzac, a Malherbe. Il padre delle Lettres françaises, ah la la! Mica semplice.

In verità Rabelais ha fallito. Si, ha fallito. Non ce l’ha fatta. Quel che voleva fare era un linguaggio per la gente, uno vero. Voleva democratizzare la lingua, una vera battaglia. La Sorbonne, era contro, i dottori e tutto il resto. Tutto quanto fosse acquisito e stabilito, il re, la chiesa, lo stile, lui era contro tutto.No, non è stato lui a spuntarla. E’ Amyot, il traduttore di Plutarco : lui ha avuto, nei secoli che seguirono, molto più successo di Rabelais. E’ su di lui, sulla sua lingua, che ancora oggi si campa. Rabelais aveva voluto far passare la lingua parlata nella lingua scritta. uno scacco totale. Mentre invece Amyot, la gente vuole ancora e sempre dell’Amyot, dello stile accademico. Questo è scrivere della m..: un linguaggio imbalsamato. Le colonne di un gran quotidiano nazionale, che si vanta di avere redattori che scrivano bene, ne sono piene. Ne risulta una cloaca a verbi ben condotti, a frasi ben intrecciate con, nel finale, una piccola astuzuia innocente. Affatto pericolosa, non troppo forte per non spaventare il pubblico. Qui sta lo scacco di Rabelais e l’eredità di Amyot. Della vera m…. Andiamo avanti.

Rabelais ha veramente voluto una lingua ricca e straordinaria. Ma gli altri, tutti, l’hanno castrata, questa lingua, al punto di renderla piatta. Così oggi scrivere bene, significa scrivere come Amyot, ma sta roba , non resterà che una lingua di traduzione.
Uno quasi celebre dei nostri contemporanei, ha detto una volta leggendo un libro: Ah che bello che è da leggere, la si direbbe una traduzione!- tanto per intenderci.

Quest’è la peste moderna del francese: fare e leggere delle traduzioni (non la mia,NDT), parlare come nelle traduzioni. A me, c’è della gente che m’è venuta a chiedere se non avessi preso questo o quel passaggio dei miei libri, da Joyce. Ebbene sì, me lo hanno domandato! Ovvio, visto che l’inglese è di moda. Parlo inglese perfettamente, come il francese! Figuratevi, andare a prendere qualcosa da Joyce! No, come Rabelais ho trovato tutto nel francese.

Lanson dice: “Il francese non è molto artista”. Niente poesia in Francia, tutto troppo cartesiano.. Ovviamente ha ragione, Amyot, ecco un pre-cartesiano, ed è così che tutto è stato rovinato.Ma non era il caso di Rabelais; lui si che era un artista.
Rabelais sì, ha fallito e Ayot ha vinto. La posterità di Amyot, sono tutti questi piccoli romanzi castrati che sono pubblicati ai nostri giorni nelle migliori case editrici. Migliaia all’anno. Però di romanzi così, io posso farne uno all’ora.

Ecco, non si pubblica che questo, e dove sarà finita la posterità di Rabelais, la vera letteratura? Sparita. La ragione è chiara. Bisognerà capire una volta per tutte ( basta con la pudibonderia)che il francese è una lingua volgare, da sempre, dalla nascita al trattato di Verdun. Solo questo, e non si vuole accettarlo e si continua a disprezzare Rabelais.
Ah, è Rabelesien. si dice a volte. Il che vuol dire; attenzione, non è delicato, quella roba lì, manca di correzione. E il nome di uno dei nostri più grandi scrittori è servito a foggiare un aggettivo diffamatorio. Mostruoso! Perchè era forte come tipo, Rabelais, scrittore, medico, giurista…ha avuto delle noie, il poveretto anche da vivo: passava il tempo a trovare il modo di non essere messo sul rogo.

No, la Francia non può più capire Rabelais: è diventata troppo delicata. La qual cosa è terribile se pensi che sarebbe potuto accadere il contrario, ovvero, che la lingua di Rabelais potesse diventare la lingua francese. E invece non ci sono ormai che tirapiedi, che stanno a sentire il padrone e vogliono parlare come lui. Viva l’inglese, il piatto tono.
Con Rabelais, mi direte, si sente un pò il sistema: si cosa?, sto tipo, è stato braccato dalla persecuzione cattolica, faceva breccia tra i potenti. Si si sentiva il sacchetto di m…, ecco quello che faceva subodorare.

Qui sta l’essenziale di quanto volevo dire. Il resto (immaginazione, potere di creazione, il comico ecc) tutto questo, non me ne frega niente. La lingua, nient’altro che la lingua. Ecco l’importante. Tutto quello che di diverso si possa dire si trascina ovunque. Nei manuali di letteratura e poi leggete l’Encyclopédie. Se volete saperne di più andate a chiederlo a tutti questi grandi scrittori che , loro, hanno delle idee su Rabelais. Ah sapeste quanti ne conosco che si metterebbero la testa fra le mani per dirvi con tono serio: Rabelais, che prodigiodo inventore di parole!Sono solo dei chiacchieroni.

Tenetevi piuttosto a quanto vi sia di più interessante in Rabelais: l’intenzione un pò demagogica di attirare il pubblico parlando come lui, questo lo capisco io, era medico e scrittore, come me. E si vede, la giusta crudezza. Era un buon anatomista, del resto e, cosa prodigiosa per l’epoca, operava già. Da vivo ha perfino inventato un apparecchio chirurgico.
Non doveva credere troppo in Dio, ma non osava dirlo. Del resto, non gli è andata male, non ha avuto supplizi. Il supplizio è venuto dopo, quando si è accademizzata la lingua francese che lui parlava per farne una letteratura da liceali, da licenza elementare.

Come dice Robert Poulet, si è fatto un francese smilzo quando c’era un francese grasso. Peggio: scheletrico. Nemmeno Balzac l’ha resuscitato. E’ la vittoria della ragione.
La ragione! Bisogna essere pazzi! Non si può fare niente così, tutto effeminato. Mi fanno ridere. Guardate cosa li indispone: non si è mai riusciti a fare “ragionevolmente” un bambino. Niente da fare. Ci vuole un momento di delirio per la creazione.
Ma no, in letteratura, bisogna restare puliti. Allora oggi si mettono delle file di puntini sospensivi quando sta per accadere qualcosa e poi continua molto tranquillamente: l’indomani erano tutti e due invitati al ricevimento della duchessa.

Oh! non è che raccomandi l’erotologia, la cosa mi disgusta ma la vera cosa terribile è un linguaggio troppo ben educato. Di buono in Rabelais c’era che metteva la sua pelle sul tavolo. Lui rischiava, La morte gli faceva capolino, il che ispira a morire! E’ perfino la sola cosa che ispiri, lo so, quando lei è là, proprio dietro di te. Quando la morte è furibonda. Non era affatto un bon vivant, Rabelais, si dice ed è falso, Lui lavorava. E come tutti quelli che lavorano, era un forzato del lavoro.Lo avrebbero volentieri accoppato, condannato. Altre ristrettezze, quelle del papa, la cosa è successa, è vero. E allora, gente, bisognava che remassero, che ramassassero come direbbe M.Duhanel.
Perfino Bardamu , il protagonista del Viaggio in fondo alla notte, direbbe così. Ah gli imperfetti del congiuntivo!
Ho avuto nella mia vita lo stesso vizio di Rabelais. Ho trascorso anch’io il mio tempo a mettermi in situazioni disperate. Come lui, non ho niente da aspettarmi dagli altri, come lui non v’è nulla di cui possa pentirmi.