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Riportiamoci a casa il nostro cibo

di Helena Norberg-Hodge, Todd Merrifield, Steven Gorelick - 30/05/2007


 

Traduzione del primo capitolo di Bringing the Food Economy Home. Local Alternatives to Global Agribusiness (Zed Books). Traduzione di Giuseppe Giaccio.   
 
In tutto il mondo, il cibo è al centro di una tempesta. Il numero delle fattorie che nel nord falliscono è da record, proprio nel momento in cui nel sud i contadini a milioni vengono allontanati dalla terra. Con crescente regolarità accade che siamo spaventati dal cibo, il che induce molti a domandarsi se possono mangiare in sicurezza i loro pasti. Su molti terreni americani sono state piantate coltivazioni geneticamente alterate, provocando la rabbia di consumatori e ambientalisti e facendo scoppiare dispute commerciali con l’Europa e il Giappone. Le aziende stanno rafforzando la loro presa sulla riserva di cibo mondiale, incitando i coltivatori e altri cittadini nel mondo a chiedere boicottaggi, ad attaccare catene di fast-food, e a sradicare coltivazioni geneticamente manipolate.
Tutta questa turbolenza ha le sue origini nell’industrializzazione e globalizzazione di cibo e agricoltura. Con il cibo ridotto a prodotto in un mercato volubile, l’agricoltura diventa sempre più specializzata, ad alta densità di capitale e tecnologia, e il marketing del cibo sempre più globalizzato. Queste tendenze si stanno rivelando disastrose per consumatori, coltivatori, economie locali e per l’ambiente; nondimeno, molti governi intendono accelerare il processo, con politiche che mirano a maggiori esportazioni e minori barriere commerciali, a più prodotti chimici e più manipolazione genetica.
C’è, comunque, una corrente opposta – un piccolo, ma in rapida crescita, movimento di sostegno ai sistemi di cibo locale. Consumatori e coltivatori costruiscono legami per promuovere un’agricoltura su scala più ridotta, più diversificata ed ecologicamente sana. Questi gruppi favoriscono cibi cresciuti vicino piuttosto che prodotti globali fatti in serie a migliaia di chilometri di distanza.
Questo movimento cresce continuamente dalla base, facendo sentire la sua presenza nella richiesta, che aumenta in modo esponenziale, di cibo prodotto organicamente; nella crescente popolarità dei mercati per coltivatori che mettono in evidenza varietà locali di cibo fresco; e nell’entusiasmo con cui coltivatori e attivisti, tanto del nord quanto del sud, stanno cercando di sviluppare forme più sostenibili di agricoltura.
Il movimento per il cibo locale è tanto più importante perché non ha quasi ricevuto sostegno dai politici. Al contrario, i governi promuovono ovunque un’ulteriore globalizzazione del cibo. Continuano ad aprire la via – sia in senso letterale che figurato – ad enormi megamercati che vendono cibo che ha viaggiato in mezzo mondo. Le agenzie agricole promuovono ancora la monocoltura e l’uso di pesticidi, fertilizzanti chimici, ibridi ad alta resa e semi geneticamente modificati. Scuole, agenzie agricole e per lo sviluppo trascurano metodi differenti di agricoltura regionale, promuovendo invece una sola versione tecnologicamente avanzata di progresso agricolo.
Se il movimento per il cibo locale si diffonde senza aiuto dall’alto, nel nord lo sta facendo anche nonostante il fatto che molti consumatori dispongano di pochissime informazioni sul cibo che mangiano, e quasi non hanno contatti con l’agricoltura e la vita rurale. Da decenni – e in alcuni paesi da generazioni – molte persone nel nord sono state urbanizzate a un livello tale da lasciarle largamente isolate dai processi della natura e dalla campagna dove il loro cibo è prodotto. Le catene di supermercati e l’agricoltura industriale approfondiscono questa separazione evitando di indicare dove e come un particolare cibo è stato prodotto. Le scuole parlano delle cruciali materie del cibo e dell’agricoltura così raramente che molti bambini credono che il cibo semplicemente venga dal supermercato. La scarsa informazione che troviamo nei curriculum scolastici è spesso fornita dalle aziende dell’agribusiness o da altre ditte dell’industria del cibo, ed è quindi deplorabilmente inadeguata e spudoratamente parziale.
Nondimeno, è in continua crescita la coscienza che il cibo globale è, tutto considerato, troppo costoso – per la nostra salute e quella dei nostri bambini, per l’ambiente, e ovunque per le economie locali. La malattia di mucca pazza, le epidemie di cibo avvelenato, l’inquinamento della terra e dell’acqua mediante prodotti chimici agricoli, il declino dei mezzi di sostentamento rurali sia nel nord che nel sud – queste sono solo alcune delle ragioni per cui si comincia a mettere in discussione l’intero sistema del cibo globale e le premesse su cui è basato.
Si sta anche cominciando a capire che contando di più su quanto cresce vicino a noi, i cibi organici possono aiutare a risolvere allo stesso tempo l’intera gamma di problemi sociali e ambientali. Mentre gode dei vantaggi per la salute derivanti dal preparare e mangiare cibi più freschi e sani, la gente sta anche scoprendo il vero e proprio piacere del fare acquisti ai mercati degli agricoltori, del conoscere le persone che producono il loro cibo e dello stringere rapporti più stretti con i luoghi in cui essi vivono.
La riduzione della distanza tra agricoltori e consumatori può essere in realtà il modo più strategico e gradevole per determinare un fondamentale cambiamento in meglio. Un mondo in cui tutti sono nutriti bene con cibi locali, freschi, sarebbe un mondo dove tutti avrebbero più forza, comunità, contatto con la natura. Da molti anni, il colonialismo e lo sviluppo economico portano il mondo nella direzione esattamente opposta – separare non soltanto i produttori dai consumatori, ma tutti noi dal mondo naturale. La domanda ora è: dobbiamo continuare ad andare giù per il sentiero delle monocolture globali o cominciare a cambiare direzione? 
 
Il sistema alimentare globale
Queste due opzioni sono fondamentalmente rappresentate da differenti tipi di sistemi alimentari. Il sistema globale è caratterizzato da larga scala, metodi altamente meccanizzati, monocolturali e a forte concentrazione chimica, con produzione orientata verso mercati lontani e sempre più globali. L’abbondante uso di energia esterna, grandi macchinari, il trasporto a lunga distanza e le infrastrutture della comunicazione, fanno di questo sistema un sistema ad estrema intensità di capitale ed energia.
Questo sistema alimentare è inoltre caratterizzato da una pesante dipendenza dal sapere e dalla tecnologia prodotti da un piccolo numero di istituzioni di stile occidentale. Lo scopo è una sempre crescente efficienza agricola – definita come massimizzazione della resa di una ristretta gamma di prodotti commerciati mondialmente, e minimizzazione del lavoro umano. Un’immensa ricerca e sforzi per lo sviluppo, molti dei quali a spese pubbliche, sono volti a questo fine. Troppo spesso, le conseguenti tecnologie sono promosse da fattorie senza riguardi per le locali condizioni ecologiche e sociali. Questo ha portato alla ristrutturazione dei prodotti agricoli, dei paesaggi e di varie tradizioni culturali per adattare le tecnologie disponibili, e all’omogeneizzazione della natura e della cultura per servire meglio l’economia globale. Sebbene nel sistema di alimentazione globale vi siano varianti, le sue caratteristiche fondamentali – largamente determinate dalle forze della tecnologia e del mercato internazionali – sono ovunque le stesse.
 
I sistemi alimentari locali
In risposta a questo unico modello globalizzante, emergono nel mondo molte iniziative alimentari locali, tipicamente orientate verso il consumo locale e regionale, con distanze – ovvero miglia alimentari – relativamente brevi tra produttori e consumatori, che in molti casi sono direttamente collegati. Essendosi evoluti entro un particolare contesto sociale, economico e ambientale, questi nuovi sistemi alimentari rispecchiano, in molti modi, quelli delle culture tradizionali. Nel sud, infatti, è ancora possibile trovare migliaia di sistemi agricoli indigeni, tradizionali o vernacolari – sistemi alimentari locali su scala relativamente piccola e capaci di conservare le risorse, ognuno adattato a un luogo specifico.
Oggi, resti di agricoltura indigena si trovano principalmente in quelle zone del sud ritenute non adatte all’agricoltura industriale. Sebbene spesso si creda che l’agricoltura industriale nutre il mondo, qualcosa come il 35% della popolazione mondiale (circa due miliardi di persone) continuava, alla metà degli anni Novanta, ad essere direttamente sostenuta da questa agricoltura dimenticata2. In misura molto minore, i sistemi tradizionali sopravvivono anche in più fertili zone pianeggianti del sud, dovunque i coltivatori hanno resistito ai diktat degli esperti per lo sviluppo stranieri e degli agenti statali per l’espansione dell’agricoltura.
Intenzionalmente o no, il movimento per il cibo locale nel nord spesso imita i principi sottolineati da questi sistemi alimentari tradizionali. In molti casi, la gente cerca i resti della sua stessa eredità agricola e la combina con le più recenti innovazioni in materia di agricoltura organica su piccola scala.