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Chavez spegne una tv ma non il pluralismo

di Matteo Matteuzzi - 31/05/2007

    



 

Nessun ripensamento, nessun colpo di scena dell'ultimo minuto. Alle mezzanotte esatta fra domenica e lunedì il logo di Rctv, la più vecchia e la più putschista fra le televisioni venezuelane, è uscito dagli schermi. Probabilmente per sempre. O almeno per tutto il tempo in cui il presidente Hugo Chavez resterà al potere. Subito dopo sugli stessi schermi è apparso per 20 minuti il luogo della Tves, la nuova Televisora Venezolana Social, che occuperà d'ora in poi le frequenze del canale 2.

L'uscita e l'entrata in scena sono state accompagnate da lagrime e scoppi di gioia, da manifestazioni di protesta e di giubilo. E dalle stesse note: quelle dell'inno nazionale a «al bravo pueblo».
Le lacrime sono state quelle dello staff della Radio Caracas de Television, con il suo gran capo Marcel Granier in testa, che nei minuti precedenti alle 23.59 di domenica ha improvvisato l'inno nazionale. Gli scoppi di giubilo quelli della gente che si accalcava nel teatro Teresa Carreño, nel centro di Caracas, dove il maestro Gustavo Dudamel - la giovane star appena nominato direttore della Filarmonica di Los Angeles - dirigeva l'Orchestra sinfonica giovanile che intonava le note dell'inno. Subito dopo Lil Rodriguez, nominata direttore della Tves, ha ringraziato il presidente Chavez per «aver saputo ascoltare il clamore dei creatori e dei telespettarori».

Rctv trasmetteva in chiaro da 53 anni e la sua licenza, che durava 20 anni secondo una legge dell'87, scadeva alla fine di maggio. E non è stata rinnovata. Potrà continuare a trasmettere via cavo o via satellite e per internet, come ha già cominciato a fare ieri.

I due Venezuela irrimediabilmente contrapposti e nemici si sono di nuovo confrontati nella notte di domenica e nella mattinata di lunedì. A mezzanotte si sono sentiti, nelle strade e piazze dei quartieri orientali - quelli bene - sirene, clacson e cacerolazos di protesta. Ma nelle strade del centro intorno alla Plaza Bolivar - il cuore del chavismo -, nei barrios occidentali - quelli poveri - e nei miserabili ranchitos abbarbicati sulle montagne circostanti la capitale, quegli stessi rumori indicavano la gioia per la chiusura della tv più ferocemente anti-Chavez.

Il vero rischio di contraccolpi per Chavez non viene certo dalla mancanza dei programmi giornalistici della Rctv, che solo l'oligarchia più assatanata rimpiangerà, ma dalla sparizione delle telenovelas - come Cristal, Topacio, Kassandra - di cui il network di Granier è uno dei maggiori produttori del mondo e che vende dalla Russia all'Italia, dal Messico alle Filippine. Come nei giorni precedenti all'ora zero, anche ieri ci sono state manifestazioni e incidenti, mentre il traffico di Caracas appariva stranamente lieve in quanto molti avevano preferito non andare al lavoro e non mandare i figli a scuola nel timore di scontri. Ieri i giornali, quasi tutti in mano all'opposizione, sono usciti gridando all' «attentato contro la libertà di espressione», i pochi del campo chavista e molti dei nuovi organi comunitari sorti dal basso in questi anni, inneggivano invece alla «democratizzazione delle comunicazioni».

Anche all'estero ci sono state reazioni. In generale prudenti - perché Rctv era indifendibile e perché è diritto di ogni Stato concedere o revocare licenze - con qualche eccezione. La presidenza tedesca della Ue ha manifestato «preoccupazione» e la speranza che siano garantiti «la libertà e il pluralismo dell'informazione». Smodata invece la reazione di Reporters sans Frontieres: ieri Benoit Herveiu si è provato a sostenere che il governo venezuelano «ha una posizione egemonica nei media», perché «in questi ultimi mesi sono apparsi 63 periodici nuovi affiliati al presidente Chavez» in un «ambiente di attacco al pluralismo». Come per Cuba, il gruppo di Robert Menard sembra vederci solo da un occhio. Fingendo di ignorare che anche senza Rctv, almeno l'80% dei media televisivi e scritti del Venezuela sono in mano all'opposizione - a cominciare dagli altri 3 «cavalieri dell'apocalisse», Globovision, Televen e Venevision, le cui licenze sono state rinnovate - e che i«63 periodici» citati sono in genere giornaletti o radio o tv di barrio e di comunità. Briciole di fronte allo strapotere mediatico vero che in questi anni - come Rctv durante il golpe del 2002 e il paro del 2003 - non solo si è legittimamente opposto a Chavez, che fino a prova contraria è un governo legittimo, ma ha incitato continuamente e apertamente a rovesciarlo e ucciderlo. Come se in Inghilterra la Bbc e in Italia il Tg1 o Canale 5 incitassero a rovesciare il governo e assassinare Prodi.

Chiudere una tv o un giornale non è mai bello. Ci perdono tutti. Ma nessuna lagrima per Rctv e il signor Granier. Anche se bisogna sperare che Chavez faccia un uso saggio della legge del 2002 che gli dà vastissimi - troppi - poteri discrezionali sui media. Per ora il Venezuela resta una sorta di paradiso per la pluralità dell'informazione. Per molto meno di quello che Rctv ha detto in questi anni, decine di giornalisti sono stati ammazzati in paesi come la Colombia e il Messico.