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Cina, le alghe del lago escono dal rubinetto

di Rosa Castellano - 03/06/2007

 

 

Con un'estensione di 2.400 chilometri quadrati, il Taihu è il terzo lago naturale della Cina. Dà da bere a circa 40 milioni di abitanti delle province orientali dello Jangsu e dello Zhejiang, compresi i cinque milioni che risiedono a Wuxi, sulle sponde del lago. Dal 28 maggio, chi può beve acqua minerale. Dai rubinetti esce acqua puzzolente, viscida e verdognola. Colpa dello spesso strato di alghe che ricopre il Taihu. Le alghe c'erano anche prima. Sono cresciute in modo abnorme per l'effetto combinato dell'innalzamento della temperatura e della scarsità delle piogge che hanno portato le acque del lago al livello più basso degli ultimi 50 anni. Il cronico inquinamento ha fatto il resto. Nell'area di Wuxi si contano 2 mila fabbriche chimiche. Tutte scaricano i loro reflui nel Taihu. Finiscono nel lago gli scarichi dell'agricoltura (ricchi di fertilizzanti), degli allevamenti e pure quelli domestici.
Si chiama eutrofizzazione delle acque. Anche in Italia in passato ne abbiamo fatto esperienza: alghe rossastre nell'Adriatico in piena stagione balneare, provocate dagli scarichi del Po. In Cina, però, tutto è moltiplicato (almeno) per mille. Con l'aggravante, in questo caso, che l'acqua del Taihu finisce direttamente nei rubinetti. «Fatela bollire, si può bere lo stesso», dicono le autorità provinciali. Ma la puzza di carne marcia resta e la pellicola verdastra pure, scrive il corrispondente dell'agenzia Reuters. Riferisce d'aver buttato un sasso nel lago e d'aver aspettato parecchio per vederlo affondare sotto lo spesso strato di alghe.
Da qualche giorno è assalto ai supermarket e ai negozi che vendono acqua minerale. Il prezzo di una bottiglia di minerale è schizzato da 8 a 50 yuan (un euro è pari a 10 yuan). Wal Mart applica il razionamento, non più di 24 bottiglie per cliente. Il governo locale minaccia multe fino a 300 mila yuan per i commercianti che aumentano «artificiosamente» i prezzi. Grida manzoniane. I tecnici hanno provato a indurre piogge artificiali, hanno bloccato momentaneamente gli scarichi nel lago, hanno risucchiato dalla Yangtse (collegato con un canale al Taihu) acqua meno inquinata. Dopo la cura, sostengono le autorità, l'acqua di Wuxi «rispetta tutti gli indicatori nazionali, non è tossica». Ma fino a ieri nessuno la beveva e le proteste degli abitanti di Wuxi continuavano.
A rinfocolarle sono arrivate le dichiarazioni dell'avvocatessa Zhu Xiaoyan. Difende Wu Lihong, 39 anni, un'attivista-ambientalista che da tempo si batte per salvare il lago Taihu. È in carcere da un mese e mezzo e nel primo incontro ha mostrato all'avvocatessa le braccia coperte di lividi. «È stato frustato e torturato», afferma Zhu Xiaoyan. La cosa curiosa (si fa per dire) è il capo d'imputazione per cui Wu è tenuto in galera: tentato ricatto e tentata estorsione. Avrebbe raccolto informazioni sulle fabbriche che scaricano nel lago non per amore dell'ecologia, ma per ricattare i funzionari locali. Che hanno fama - e non è una novità in Cina - d'essere corrotti. Per converso, Wu viene descritto come «un tipo intelligente e ostinato, uno che se non si fosse dedicato all'ecologia avrebbe potuto fare i miliardi».
Lo «scandalo» del lago Taihu è l'ultimo caso di ricorrenti crisi idriche in Cina. Tutte derivano dallo sviluppo industriale e urbanistico selvaggio. Il caso più grave, tra quelli noti, risale al 2005: rubinetti chiusi per settimane ad Harbin, grande città del nord est, perché l'acqua conteneva porcherie chimiche di ogni tipo. L'inquinamento dell'acqua, dell'aria e del suolo è il pendant di un pil che cresce del 10% l'anno. Pechino sa che il livello di guardia è stato ampiamente superato. Ma centellina i tempi per abbassare la febbre.