Il senatore Colombo e i colonnelli di Evita Brambilla
di Alessandro Giuli - 05/06/2007
Il senatore Furio Colombo è eccitatissimo
all’idea che siano di nuovo in
arrivo i colonnelli. Vede avanzare gli stivali
degli stessi golpisti che affollavano
un insuperabile film monicelliano del
1973. Una cosa a metà tra il golpe sudamericano
e la scampagnata romana di
Ugo Tognazzi insieme con l’ufficiale greco
Automatikòs, i protagonisti di quella
pellicola che oggi si rimanifesta vivida
agli occhi di Colombo, anche perché è
stata recentemente riedita in dvd proprio
dall’Unità, il giornale che lui ha diretto e
che adesso ospita con piacere i suoi incubi
politici e cinematografici.
Una meraviglia era quello di ieri intitolato
“Un caso Speciale”. Lì dove il pretesto
è il caso umano e professionale dell’ex
capo della Guardia di finanza epurato
dal governo Prodi e trasformato da Colombo
in un tremendo eversore dell’ordine
democratico. Ma è la tesi di fondo che
merita l’encomio sugli annali della demo-
TRA POLLARI, ABU OMAR, SPECIALE E LA NUOVA P2
crazia: “Il generale Speciale, ‘sempre agli
ordini’, ha dato il via al suo piano ben preparato,
che appare in curiosa e interessante
sintonia con il piano ‘Peron-Chávez-
Brambilla’ di Silvio Berlusconi”. Fosse vero
avrebbe un sapore spettacolare: Michela
Vittoria Brambilla sarebbe diventata il
terminale di un progetto rivoluzionario,
potrebbe già essere mitologizzata grazie
all’assimilazione con Evita, la signora Peron.
E’ un complimento pazzesco. Come
Evita, MVB meriterebbe per lo meno un
musical interpretato da Madonna e dei
santuari a cielo aperto dove venerarla in
vita. Quanto al ruolo di Chávez, quello va
cucito sopra il corpicino del solito Cav. telecratico,
a patto però di passare sopra a
una differenza: Chávez le televisioni cerca
di chiuderle e a volte ci riesce, Berlusconi
si ostina invece a moltiplicarle.
In ogni caso Furio Colombo scrive che
il Cav. – “nonostante la striatura di ridicolo
che attraversa” la sua la vita e le sue
opere – “usa senza finzioni le sue televisioni,
fonda, attraverso una signora ricca,
petulante e – a parte i capelli – del tutto
inesistente, detta ‘l’erede’, un nuovo ‘giornale
della libertà’ foglio del regime che
verrà se l’esempio golpista dovesse
diffondersi”. Non basta: il Cav. “annuncia
clamorosamente l’arrivo della ‘tv della libertà’,
‘la tv della gente fatta dalla gente’,
niente di più sudamericano, lungo un percorso
che va da Peron a Chávez, sempre
al di fuori di ogni regola democratica e
costituzionale”.
Serve forse un costituzionalista per cementare
questa certezza che la tv e il giornale
in più sul mercato rappresentino un
attentato alla Costituzione? Sarebbe come
voler spiegare il prodigio dell’autoevidenza.
E in fondo la risposta è contenuta
nel corsivo di Colombo: l’uomo e la sua
opera golpista obbediscono solamente al
principio della surrealtà. E in tale dimensione
vanno evidentemente contrastati:
L A R I F FA DEL RENE, UN MOSTRO CHE INIZIA A CAMMINARE DA SOLO
Lo spot col botto, il reality con scherzo, l’invasione dell’Ultrabene
Milano. Passano in diretta la telefonata
dell’ascoltatore. Il conduttore è famoso, il
suo programma uno dei più seguiti di tutta
l’Inghilterra, l’emittente una delle maggiori
nazionali. Come da noi un Fiorello, per dire.
L’ascoltatore sta viaggiando in auto, si sente
il rumore. Parla e guida, guida e parla, dice
la sua, è il suo momento di gloria. Crash. Il
botto secco, metallico, inconfondibile di un
incidente. Cade la linea, alcuni secondi di
vuoto. Di silenzio. Che in radio, si sa, è più
angosciante di qualsiasi urlo, di qualsiasi
vuoto metafisico. Il silenzio in radio inghiotte
tutto. Finché uno speaker dice più o meno:
questa è una pubblicità sociale. Non telefonare
quando stai guidando. “Si può fare,
credo che si possa fare una comunicazione
sociale, con una finalità etica, in questo modo.
Con mezzi espressivi estremi, provocando
uno shock, colpendo duro”. E’ l’opinione
di Francesco Taddeucci, direttore creativo
di Saatchi & Saatchi a Roma, pubblicitario
curioso anche di altri mondi comunicativi e
copywriter pluripremiato in passato anche
per campagne di comunicazione sociale e
etica. E’ lui che ci racconta lo spot radiofonico
(o è meglio chiamarlo “evento”? Certamente,
è una mutazione genetica rispetto alla
pubblicità inserita in un programma) trasmesso
qualche tempo fa in Gran Bretagna.
“Da noi non si potrebbe mai, troppo conservatore
il sistema della comunicazione, provocherebbe
solo ritorni negativi. Ma si può e
si deve”, spiega: “Si deve perché è richiesto
dalla logica della comunicazione, non solo
pubblicitaria. Ogni giorno tutti alziamo il tiro.
Per farti ascoltare, per fare arrivare il tuo
messaggio tra le miriadi di messaggi sempre
di più bisogna ‘bucare’. E’ così per il normale
advertising, e ancor più quei tipi di comunicazione
che devono trasmettere un’idea”.
E se l’idea è buona, è buono ogni mezzo
che riesca a farla sentire.
Questo si sono detti gli autori del botto comunicativo
(fino a oggi) più dirompente del
mondo della comunicazione sociale. E’ la
storia che ha fatto il giro del mondo del “Big
Donor Show”, il reality prodotto dalla Endemol
per la tv olandese Bnn, nel quale veniva
messo in palio un rene da parte di una
malata terminale, che avrebbe dovuto scegliere
tra tre “concorrenti” in attesa di trapianto.
Il giro del mondo l’ha fatto due volte,
il reality del rene: in senso inverso quando,
in diretta, il conduttore Patrick Lodiers ha
svelato la provocazione: nessun rene in palio,
ma i tre concorrenti erano davvero malati
consenzienti: “Lo abbiamo fatto per attirare
l’attenzione dell’opinione pubblica sulla
loro vita e sui loro problemi”. Messaggio
perforante, se persino il premier Jan Peter
Balkenende aveva dovuto dichiararsi imbarazzato.
Ma del resto, era la sua stessa cultura
ultralibertaria, per principio refrattaria a
intervenire sul contenuto, a precludergli la
possibilità di dire no, questo in Olanda non
si fa. Performance comunicativa perfetta,
del resto dietro c’è una storia esemplare. Ilreality
è andato in onda nel quinto anniversario
della morte del fondatore della Bnn,
Bart de Graaff, morto a 35 anni dopo avere
atteso invano per sette un donatore di rene.
Ma è giusto il prezzo da pagare in termini
di “mostrificazione” comunicativa, di messa
in gioco di temi così drammatici pur di far
passare il proprio messaggio? Domanda che
non si può certo archiviare con il moralismo
di Giuseppe Giulietti, “a noi fa ugualmente
ribrezzo”, ma che resta a galleggiare nell’aria
come un fantasma: una volta che si è fatto
per scherzo, non potrà essere fatto davvero?
Una volta che il “mostro comunicativo”
è stato creato, perché non dovrebbe andarsene
in giro con le sue gambe, come la creatura
di Frankenstein? L’archetipo è sempre
quello di Orson Welles, la burla dell’invasione
dei marziani. Ma lì in ballo c’era solo
il disvelamento della potenza dei media. E
se il pericolo di oggi fosse “l’invasione degli
ultrabuoni”? L’Ultrabene, in nome del quale
è permesso tutto, dentro al mondo (già da
tempo) trasformato in un talk-show. Anche
Taddeucci qualche perplessità ce l’ha sulla
riffa del rene. Ma quando un messaggio passa,
qualcosa rimane. Il filosofo Armando
Massarenti, sul Sole 24 Ore di domenica,
suggeriva di “trasformare uno scandalo in
una discussione utile e seria”. Il mostro ha
cominciato a camminare.
Maurizio Crippa
STAVOLTA NON SI SCHERZA, COME IN OLANDA
La direttiva Ue che apre (di straforo) alla compravendita di organi
I
l reality olandese sul rene messo in palioda una malata terminale e conteso da
tre dializzati si è rivelato uno scherzo, ma
se ci aveva creduto anche il governo, se il
commissario europeo alla Salute si era detto
“scioccato”, se i media di tutto il mondo
hanno rilanciato e commentato il fatto, è
perché tutti abbiamo pensato che in qualche
modo potesse essere possibile. La richiesta
di regolamentare il traffico di organi
per stroncarne il mercato nero non è
certo una novità: fu messa in discussione,
nel maggio del 2004, a Boston, al Congresso
dell’American Society of transplant surgeons,
e se ne parla sempre più frequentemente
sulla stampa internazionale. Disturba
molto meno, invece, la compravendita
dei gameti umani, soprattutto degli ovociti,
anche se in continuo aumento: le preziose
cellule femminili sono molto richieste, sia
per la fecondazione in vitro eterologa sia
perché la ricerca sugli embrioni non ne
può fare a meno.
Nel 2004 il Parlamento europeo ha approvato
una direttiva per la qualità e la sicurezza
di “donazione, approvvigionamento,
controllo, lavorazione, conservazione,
stoccaggio e distribuzione di tessuti e cellule
umani”, che riguarda anche cellule staminali
embrionali, spermatozoi e ovociti. La
direttiva, che anche l’Italia dovrà recepire
entro i prosssimi mesi, determina i criteri
con i quali si possono autorizzare biobanche
private a raccogliere e a conservare materiale
biologico. Soprattutto, stabilisce che
“i donatori possono ricevere un’indennità,
strettamente limitata a far fronte alle spese
e agli inconvenienti risultanti dalla donazione”,
a condizioni fissate dai singoli stati.
Riguardo agli ovociti, come è possibile individuare,
quantificare e monetizzare gli
“inconvenienti” senza che le indennità diventino
un vero e proprio pagamento alle
donatrici? Per la cronaca, i farmaci assunti
dalle “donatrici” hanno numerosi e pesanti
effetti collaterali (fino alla sindrome da
iperstimolazione ovarica, che può anche
causare danni ai reni e pure la morte) e la
loro estrazione richiede un intervento chirurgico
in anestesia totale. E poi: quali sono
le spese? L’eventuale viaggio da affrontare?
Le ore di lavoro perse?
Ma soprattutto: veramente pensiamo che
una donna decida spontaneamente di sottoporsi
a procedure tanto invasive e pericolose
per cedere gratis i propri ovociti a
un’altra donna o a un laboratorio di ricerca?
Non è in gioco la sopravvivenza di un
malato, come per la donazione di midollo
spinale: quella dei “motivi puramente altruistici”
è un’ipotesi possibile solo in linea
teorica, e infatti gli ovociti scarseggiano
ovunque. C’è invece il pericolo concretissimo
che con indennità e rimborsi spese si
introduca surrettiziamente una qualche
forma di pagamento, che spinga alla “donazione”
le donne più vulnerabili. Insieme
con l’accreditamento di biobanche private
e con la regolamentazione dell’import/export,
si creerebbe un vero e proprio mercato
dei gameti, oltre che delle altre cellule e
tessuti individuati dalla direttiva.
Eppure, solo nel 2005, il Parlamento europeo,
con una risoluzione, aveva duramente
condannato la compravendita di ovociti,
e chiedeva agli stati membri di applicare in
modo trasparente le norme sulla cosiddetta
“indennità”. La risoluzione nasceva per
censurare un episodio avvenuto nel 2004.
Dalla Gran Bretagna, una certa quantità di
sperma era stata spedita in Romania, con
regolare autorizzazione, erano stati fecondati
ovociti “donati” da donne rumene, e i
circa quattrocento embrioni formati erano
stati poi importati per essere impiantati in
cinquantacinque donne inglesi. Non tutto
andò liscio. La sindrome da iperstimolazione
ovarica colpì almeno due delle donatrici
rumene, che non ricevettero nessuna cura
dalla Global Art, la clinica che aveva fornito
il “servizio”. Scoppiò un caso internazionale
e la clinica venne chiusa, nonostante
gli ispettori inglesi inviati in Romania
non fossero stati in grado di “rinvenire alcuna
prova secondo cui i donatori rumeni
avrebbero ricevuto compensi superiori alle
legittime spese”, a dimostrazione della difficoltà
nel distinguere le spese “legittime”
da quelle pretestuose.
Rimane il fondato dubbio che il mercato
del corpo umano, nelle sue cellule e tessuti,
sia già realtà. L’ultimo rapporto della
Commissione europea sulla Regolazione
della donazione di cellule riproduttive nell’Ue,
mostra che su 25 stati solo 11 hanno comunicato
i dati – spessi incompleti – sull’import/
export di gameti.
Assuntina Morresi
“Il mondo di Berlusconi è fittamente popolato
di personaggi stravaganti, di una tipologia
non disponibile fuori dal mondo
del realismo magico sudamericano”. Ecco,
appunto, e uno di questi personaggi irrinunciabili
è Colombo quando avanza
preceduto dalla dismisura ideologica, dalla
nostalgia d’un colpo di stato, dalla speranza
che quella canaglia di Berlusconi si
decida, ora che arriva l’estate, a rianimare
le conversazioni degli stabilimenti balneari
antifascisti. Colombo è un antico sognatore
di paradisi maoisti, un vecchio
pescatore di affari nell’ambasciata americana
della Fiat, un fresco anatomopatologo
democratico e un poeta con la divisa
da senatore. Mao gli aveva indicato grandi
spazi di conquista collettiva, l’America
gli ha donato il gusto d’avere una coscienza
individuale, Berlusconi è stato la sua
musa, Evita Brambilla potrebbe regalargli
una nuova storia da musicare.