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L’alleanza naturale tra scienza e ambiente

di Pietro Greco* - 06/06/2007

Tra scienza e ambiente c’è un’alleanza “naturale”. Magari non sempre riusciamo a toccare con mano questo stretto legame. Anzi, capita spesso di vedere noti ambientalisti che mostrano diffidenza nei riguardi degli scienziati e, in maniera del tutto speculare, che illustri scienziati guardino ai movimenti ecologisti come ai moderni nemici della ragione. Eppure è un danno per tutti sciogliere l’alleanza “naturale” tra scienza e ambiente.
Per alcuni motivi. Alcuni dei quali così evidenti da apparire banali. La scienza è necessaria a chiunque voglia salvaguardare l’ambiente, per il semplice fatto che non posso proteggere qualcosa che non conosco. D’altra parte la scienza altro non è che conoscenza della natura e nessuno scienziato può pensare di distruggere l’oggetto stesso dei suoi studi.

Inoltre tra i valori fondativi della scienza moderna, nata nel XVII secolo, c’è quell’ideale baconiano secondo cui la nuova conoscenza prodotta di “filosofi naturali” non deve essere a vantaggio di questo o di quello, ma a vantaggio dell’intera umanità. E il principale bene dell’umanità è la conservazione di se stessa e dell’ambiente che la ospita.

Tutti questi motivi e altri ancora sono stati espressi, con grande autorevolezza, da Rita Levi Montalcini, Marcello Cini, Giorgio Parisi, Marcello Buiatti e dagli altri scienziati che hanno firmato l’appello «Contro ogni fondamentalismo, per una scienza alleata dell’ambiente».

Tuttavia c’è una ragione specifica e meno autoevidente che rende necessaria l’alleanza tra scienza e ambiente. Riguarda l’impatto, I, che proprio sull’ambiente ha l’attività umana. Come ci ricorda la formula I = PAT elaborata ormai 35 anni fa da John Holdren e Paul Ehrlich, questo impatto, cioè I, è il prodotto di tre fattori: la popolazione, P, i consumi pro capite, A, e l’impatto ambientale di ciascuna unità di consumo, T.

In teoria per far diminuire I, l’impatto umano sull’ambiente, potremmo agire su uno solo dei tre fattori che lo determinano. In realtà siamo obbligati ad agire su tutti. Tenendo presente che la popolazione mondiale aumenterà ancora nel corso di questo secolo, fino a stabilizzarsi tra gli 8 e i 10 miliardi di individui. E che, quindi, sarà necessario puntare sulla diminuzione di A e di T. Il guaio è che in questo momento i consumi individuali, A, crescono. E crescono a una velocità persino superiore a P senza accennare a fermarsi. Nei paesi ricchi infatti si tende a consumare sempre più. E nei paesi a economia emergente si tende sempre più a fare come nei paesi ricchi. Invertire la tendenza alla crescita del fattore A sarà necessario, ma potrebbe essere non sufficiente nel futuro più o meno prossimo.

Ecco perché è assolutamente necessario che nell’equazione dell’impatto umano sull’ambiente di Holdren ed Ehrlich diminuisca anche T, l’impatto per unità di consumo. Per realizzare questo obiettivo abbiamo un solo strumento: aumentare l’intensità di conoscenza aggiunta per ciascun bene che consumiamo. Ovvero ottenere le medesime funzioni con meno materia, meno energia e più organizzazione. In altri termini: con più scienza.

* Pietro Greco, giornalista scientifico e scrittore, è direttore del Master in comunicazione della scienza presso la Scuola internazionale superiore di studi avanzati (Sissa) di Trieste