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Corno d'Africa: la Somalia tra bombe Usa e caos

di Siro Asinelli - 06/06/2007

 

Un’autobomba è esplosa nel primo pomeriggio di ieri a Mogadiscio contro un edificio occupato dall’esercito etiope nei dintorni dell’ex ambasciata statunitense. Imprecisato il numero delle vittime tra cui figurerebbero diversi civili, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa somala Shabelle.
Una giornata tragica in cui si registra lo scoppio di diversi ordigni nella capitale somala che seguono l’attentato di domenica contro l’abitazione del primo ministro Mohammed Gedi, rimasto illeso, che ha provocato la morte di sette persone, cinque civili e due agenti di polizia. L’azione dinamitarda, compiuta con un’auto imbottita di tritolo, sarebbe stata rivendicata via internet dal fantomatico “Movimento dei giovani mujahiddin”. Permangono però molti dubbi sull’accaduto: l’azione, rivendicata come “un’eroica operazione di martirio” ed attribuita ad un militante dal nome Abdul-Aziz Mohammed Semter, è infatti avvenuta proprio mentre Stati Uniti, Governo federale di transizione somalo (Gft) ed alleati etiopi ravvivano la tesi della presenza di Al Qaida in Somalia e, più in generale, nel Corno d’Africa.
Un refrain utile a giustificare la massiccia interferenza straniera negli affari interni somali e che la presunta rivendicazione non farebbe che confermare con tempismo quanto meno sospetto.
Resta ovviamente il confronto reale, quello che si combatte ogni giorno nel Paese da quando, sul finire dello scorso anno, Washington ha dato il via libera all’offensiva di Gft e truppe di Addis Abeba contro il governo destituito dell’Unione delle Corti Islamiche (Uci). Sul piano militare gli Stati Uniti hanno optato, ancora una volta, per un’azione di guerra unilaterale: sabato sera un’unità navale Usa ha bombardato il villaggio costiero di Baar-gaal, a nord della Somalia, provocando la morte di una decina di persone che sia il dipartimento di Stato Usa che il Gft si sono affrettati a definire “terroristi”, smentendo peraltro le notizie provenienti da fonti locali sull’utilizzo anche dell’aviazione. Le stesse fonti, citando testimoni oculari, hanno riferito che il fuoco avrebbe colpito indistintamente civili e soldati governativi presenti nel villaggio.
Commentando l’azione militare con i giornalisti del New York Times, il portavoce del dipartimento di Stato Usa Bryan Whitman ha parlato di “guerra globale al terrorismo”, sottolineando come la Casa Bianca sia “ferma nell’intenzione di ridurre le capacità dei terroristi quando ed ovunque siano scovati”.
Forte del sostegno diplomatico e militare Usa, il primo ministro di transizione Gedi si è rivolto ieri alla comunità internazionale affinché siano raddoppiati gli sforzi nella guerra al presunto terrorismo nel Corno d’Africa: “Solo con il supporto internazionale le truppe somale, aiutate da quelle dell’Amisom (missione dell’Unione africana in Somalia, ndr) e da quelle etiopi riusciranno a stanare i terroristi”, ha dichiarato il capo dell’esecutivo durante una conferenza stampa convocata ieri a Mogadiscio.
Mentre si gioca la carta consunta del “terrorismo internazionale”, appare sempre più evidente che Gft ed Usa vogliono arrivare alla prospettata conferenza di pace somala senza la presenza ingombrante ed imbarazzante delle Corti islamiche.
La scorsa settimana, infatti, di fronte all’evidente mancanza di controllo del Paese da parte di Gedi e dei suoi tutor statunitensi, tra la comunità internazionale si è fatta strada l’idea che un ritorno alla normalità sarebbe impossibile senza il diretto coinvolgimento dell’Uci nell’agenda di pace.
La prospettiva, ovviamente, non è gradita a Washington, il cui inviato speciale per la Somalia, John Yates, è intervenuto per ribadire il sostegno al Gft e, soprattutto, per specificare che gli Stati Uniti hanno già depositato presso l’Agenzia Onu per lo sviluppo (UNDP) fondi destinati a coprire almeno il 50% delle spese previste per la futura conferenza. Come a dire che solo rispettando i piani Usa per il futuro del Paese e della regione sarà possibile avviare un qualche negoziato per la stabilità. Tutti avvertiti, insomma: contro la volontà di Washington non si va da nessuna parte. E per dare ancora più peso all’avvertimento, alle parole di Yates sono seguiti, appunto i bombardamenti sui civili nel nord del Paese.