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Contro l'espansione aeroportuale

di Marinella Correggia - 06/06/2007

 

 

Mentre nella politica italiana nessuno contesta l'espansione aeroportuale, in Gran Bretagna il dibattito ferve. Come riportano i quotidiani The Independent e Guardian, gli attivisti inglesi antiaviazione hanno un alleato significativo. Aqqaluk Lynge, riconosciuto esponente della comunità Inuit ed ex presidente del Consiglio circumpolare inuit. Egli ha lanciato un appello contro l'espansione dell'aeroporto di Stanstead, sottolineando il nesso - che ancora troppi non vogliono vedere - fra l'effetto serra che fa sciogliere il ghiaccio sotto il piedi degli inuit dalle stretto di Bering alla Groenlandia, e la cultura del volare sempre di più. L'occasione è stato l'avvio della pubblica consultazione, fortemente richiesta al governo da una coalizione di ambientalisti e residenti, in merito ai piani di espansione del terzo aeroporto della capitale, Stanstead: da 80.000 a 264.000 voli all'anno, da 25 a 35 milioni di passeggeri.
Secondo il governo inglese e la British Airports Authority, proprietaria dell'aeroporto, la sua crescita è «vitale» per l'economia del paese. Come se il famosissimo rapporto britannico Stern che invece illustrava gli ingenti danni economici collegati all'effetto serra non fosse mai esistito.
Più che vitale, quest'espansione è mortale, spiega Aqqaluk Lynge; «Vorremmo che metteste in discussione i vostri stili di vita, fra i quali l'abitudine a volare. Siamo solo 160 mila persone ma il riscaldamento globale non minaccia solo i poli e gli orsi, minaccia il nostro diritto a esistere». E non solo il loro ma quello del pianeta. La consultazione su Stanstead durerà sei mesi. Ambientalisti e residenti metteranno al centro la contraddizione fra l'espansione aeroportuale e l'attenzione ambientale promessa dal governo quattro anni fa con il White Paper (Libro bianco) sull'aviazione.
I piani di ampliamento riguardano in tutto 20 aeroporti inglesi, fra i quali Gatwick, Heathrow, Bristol e Norwich, perché il governo prevede di arrivare per il 2020 a 460 milioni di passeggeri in arrivo o in partenza, il doppio di oggi. E gli ambientalisti chiedono: «Come farete allora a tagliare le emissioni di Co2 del 60 per cento entro il 2050, come il Labour stesso ha promesso, e del 20 per cento entro il 2010?». Le emissioni aggiuntive legate alla sola espansione di Stansted saranno pari a 5-7 milioni di CO2 l'anno; l'equivalente di quanto si risparmierebbe se tutte le case inglesi sostituissero tutte le lampadine a incandescenza con quelle a basso consumo. La campagna su Stansted non lavora certo con la logica Nimby, cioè «non nel mio giardino ma in quello di qualcun altro». Anzi, John Stewart, presidente di Hacan, la campagna che lotta contro una terza pista del più mastodontico di tutti gli aeroporti, quello di Heathrow, ha dichiarato: «Se vinciamo in questa storica consultazione, sarà una grande sconfitta per tutti i piani di espansione aeroportuale nel nostro paese e per l'industria dell'aviazione».
Di mezzo c'è anche la foresta di Hatfield, circa 300 ettari, una delle più antiche del paese, meta di 200 mila turisti l'anno, con oltre 800 alberi più vecchi di 500 anni. Dista circa un miglio dalle piste e l'associazione protezionista National Trust, 3,3 milioni di iscritti, sostiene gli alberi più vecchi si indeboliranno - diventando più facilmente preda di malattie - con l'aumento del rumore e dell'inquinamento atmosferico (figuriamoci i residenti, che sono ben meno forti e longevi degli alberi). Un degrado ambientale, estetico, storico e scientifico.
Il governo inglese cercherà di far quadrare il cerchio: non vuole scontentare il settore ma nemmeno quei tre milioni di iscritti al National Trust, e i determinati residenti intorno agli aeroporti nonché i gruppi ambientalisti attivi sul clima.
C'è da sperare anche in un ravvedimento dei viaggiatori: meno domanda, niente espansione e il clima ringrazia. E almeno sui low cost, e almeno in Gran Bretagna, Ryan Air accusa qualche calo di vendite.