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Home / Articoli / Ultime notizie dal mondo 15/ 31 Maggio 2007

Ultime notizie dal mondo 15/ 31 Maggio 2007

di redazionale - 06/06/2007


USA / Russia. È ritornata la “guerra fredda”?  Qualche notizia sulla rottura del trattato sulle forze convenzionali in Europa (16 maggio) e sullo “scudo” USA, che interessa, con l’accordo del governo “di sinistra”, anche l’Italia (21, 23 e 29 maggio). Washington mira inoltre a rovesciare dall’interno il presidente Putin (31 maggio). Le reazioni da Mosca, non più remissiva come ai tempi dell’ex presidente Eltsin (29 e 31 maggio). Intanto sul Golfo Persico continuano a spirare venti di guerra (23 maggio), mentre in Afghanistan le forze di occupazione appoggiano il traffico di droga (cfr. Afghanistan al 17).

 

a)            Kosovo. Pristina “indipendente”? Una disanima del rapporto Ahtisaari, l’inviato speciale dell’ONU per i negoziati sul futuro status del Kosovo, della sua “indipendenza sorvegliata” e dei suoi rischi di “palestinizzazione” del Kosovo. Qualche dato sulla situazione del Paese ad otto anni dai bombardamenti NATO. L’opposizione di Mosca al piano ONU (15, 23 e 30 maggio).

 

b)            Libano. Forti tensioni nel Paese dei Cedri. Si prepara il terreno per l’intervento militare straniero, soprattutto USA? Tra le proteste dell’opposizione libanese guidata da Hezbollah viene intanto varato un Tribunale Internazionale con il pretesto di indagare sull’omicidio dell’ex primo ministro libanese Rafik Hariri. Uno sguardo al 17, 20, 21, 23, 24, 26, 27, 29, 30 e 31.

Sparse ma significative:

USA / Cina. Un’analisi dei rapporti commerciali e finanziari tra Washington e Pechino (18 e 22 maggio). Sul piano geopolitico, confronto a distanza sul Sudan (25, 29 e 31 maggio), Stato sempre più nella sfera d’influenza cinese.

Georgia / Ossezia del Sud. Nel quadro del confronto geopolitico tra Washington e Mosca, il Caucaso è un’area da tenere particolarmente d’occhio (cfr anche Azerbaigian 17 maggio). Piuttosto calda la situazione nell’Ossezia del Sud (20 e 29 maggio).

Tra l’altro:

Afghanistan (17, 18 e 31 maggio).

Iraq (17 e 25 maggio).

Giappone (18 maggio).

USA / Nigeria (23 maggio)

Turchia (23, 24, 30 e 31 maggio).

Ucraina (25 e 27 maggio).

Venezuela (25, 28 e 29 maggio).

Guatemala (28 maggio).

Kosovo. 15 maggio. «Quella del Kosovo sarà una indipendenza sorvegliata». Lo ha detto a Radio Eco di Mosca il segretario di Stato USA Condoleezza Rice. La Rice ha affermato categoricamente che «il Kosovo non farà più parte della Serbia, è impossibile». Cercando di ottenere il consenso russo, la Rice ha escluso che Pristina possa costituire un precedente, come teme Mosca, in particolare per l’area del Caucaso: «Quella del Kosovo è una storia speciale, ci sono condizioni particolari legate alla storia della ex Jugoslavia», ha aggiunto la Rice.

 

  • Kosovo. 15 maggio. C’è chi ha sintetizzato la proposta di Marrti Ahtisaari, l’inviato speciale dell’ONU per i negoziati sul futuro status del Kosovo, con l’ossimoro “sovranità controllata”. In sostanza la Missione delle Nazioni Unite in Kosovo si ritirerebbe lasciando varie proprie funzioni direttamente al Governo del Kosovo. Contemporaneamente verrebbe creato un International Civil Office (ICO) guidato dall’Unione Europea con il ruolo di supervisionare l’applicazione dello status e non più di legiferare come è stato in questi anni. L’UE ha iniziato i preparativi per gestire questo passaggio all’inizio del 2006, costituendo in aprile lo “EU planning Team for Kosovo” con il compito di disegnare la nuova missione. Sui limiti di questo ruolo di controllo le interpretazioni sono molto diverse e sono oggetto di un continuo dibattito. I vertici di UNMIK (la Missione dell’ ONU in Kosovo) enfatizzano la portata del ritiro della comunità internazionale. Il diplomatico svedese Torbjörn Sohlström, capo dell’ICO Preparatory Team, precisa: «Ora UNMIK è letteralmente padrone di tutto quello che succede in Kosovo, e questo è quello che cambierà con il nuovo status». L’UE tuttavia si riserva prerogative tutt’altro che marginali. È sempre Sohlström a chiarirne i termini: «L’UE avrà il potere di dimettere i vertici del Governo kosovaro se valuterà che essi non rispettano l’applicazione dello status, ed avrà potere di veto nelle materie ad esso correlate come la protezione delle minoranze, la decentralizzazione amministrativa e lo stato di diritto».

 

  • Kosovo. 15 maggio. “Decentramento amministrativo” o “palestinizzazione” del Kosovo? Il kosovaro Albin Kurti, uno dei leader del movimento “Lëvizja Vetëvendosje!” (“autodeterminazione”, in albanese), protagonista di azioni spettacolari contro l’UNMIK e finito in prigione dopo una violenta repressione da parte della polizia delle Nazioni Unite, si batte contro la proposta di Ahtisaari sollevando non solo il problema dei poteri che rimarranno in mano all’Unione Europea, ma anche sul progetto di decentralizzazione amministrativa, ufficialmente varata per garantire alla minoranza serba, oggi raccolta in enclavi soprattutto nel nord del paese, un’autonomia da Pristina nel nuovo Kosovo “indipendente” (alle 5 municipalità attualmente a maggioranza serba ne verrebbero create in aggiunta altre 8). «Il progetto di decentralizzazione inserito nel piano dell’UNOSEK rischia di generare tensioni incontrollabili tra la popolazione albanese e quella serba, portando ad una palestinizzazione del Kosovo. Questo è quello che vogliamo evitare (…) La logica di questa decentralizzazione è esclusivamente su base etnica, gli albanesi da una parte, i serbi dall’altra, e le nuove municipalità finiranno per tagliare i contatti tra alcune zone a maggioranza albanese e il resto del paese. È in queste zone che il rischio di tensioni tra le parti sarà maggiore. E da una scintilla può nascere un nuovo incendio”».

 

  • Kosovo. 15 maggio. Ma ritorniamo alla storia della ex Jugoslavia richiamata dalla Rice poco sopra. Washington non ha certo giocato un ruolo di comparsa. I bombardamenti NATO del 1999 hanno innescato un rivolgimento politico dagli effetti sociale devastanti. Pochi dati bastano a dare l’idea della situazione sociale nel Kosovo “liberato” dalla NATO: circa 300.000 mila profughi, in stragrande maggioranza serbi e rom, scacciati dalla loro terra; più di 3.000 casi di desaparecidos (di cui 1.300 già dati per morti) denunciati all’ONU, rapiti e assassinati dal marzo ’99 ad oggi; quasi 100.000 persone, sopravvissute alle violenze e alla pulizia etnica dell’UCK, che vivono in poche decine di enclavi in condizioni subumane e di mera sopravvivenza fisica, senza lavoro, sanità, educazione e diritti, di fatto in un regime di apartheid; centinaia di migliaia di case bruciate e distrutte; circa 150 monasteri e luoghi di culto ortodosso distrutti o danneggiati dalle forze criminali dell’UCK. Dulcis in fundo, una regione completamente devastata dall’uranio dei bombardamenti, dove i dati sulle nascite di neonati malformi o i decessi per linfomi di Hodgkin (ne sanno qualcosa anche i militari italiani inviati in “missione”...) sono assolutamente top secret.

 

  • Kosovo. 15 maggio. Dal punto di vista politico ed economico, il Kosovo sedicente “indipendente” –in realtà un protettorato internazionale di stampo coloniale, tanto che lo stesso rapporto di Ahtisaari parla esplicitamente di “indipendenza” del Kosovo «sotto la supervisione internazionale»– è uno Stato privo di attività produttive governato letteralmente dalla mafia. Parola di Bujar Bukoshi, co-fondatore della Lega Democratica del Kosovo di Rugova e primo ministro del governo in esilio dell’autoproclamata Repubblica del Kosovo, che alla rivista tedesca Der Spiegel (1 agosto 2004) ha candidamente ammesso: «il nostro governo si basa, di fatto, su strutture mafiose». Addirittura anche la DEA (“Agenzia Antidroga USA”) definisce il Kosovo come un “narcostato” nel cuore dell’Europa, mentre esperti investigativi vari lo pongono come il crocevia e lo snodo internazionale di tutti i traffici criminali: dalla droga alle armi, dalla prostituzione al traffico di organi. Il Kosovo non produce niente, ma importa una sorprendente quantità di generi di consumo il cui acquisto è consentito solo dai proventi di una criminalità che estende i suoi gangli a tutta la società. La mafia kosovara, fortemente connessa con i partiti di etnia albanese e con gli ex miliziani dell’UCK, si è specializzata nel traffico di droga, con una predilezione per l’eroina, e in quello degli esseri umani, del quale la prostituzione è il cespite principale. Dopo otto anni di amministrazione ONU, è la mafia il “potere forte” a Pristina.

 

  • Kosovo. 15 maggio. In un’ottica di analisi geopolitica globale va poi rilevato come Washington abbia lasciato in eredità agli Stati europei l’onere di convogliare fondi verso Pristina. La “ricostruzione” del Kosovo è stato forse il più imponente investimento economico dell’Unione Europea verso l’estero (quasi 5 miliardi di euro), senza contare il mantenimento delle decine di migliaia di soldati della NATO avvicendatisi in questi anni (di cui più di 2.000 italiani). È stato inoltre stimato che, alla fine del 2006, in sette anni erano stati concessi al Kosovo da vari organismi internazionali finanziamenti per un valore di 10-15 miliardi di euro, per una regione che è grande pressappoco come l’Abruzzo e ha circa due milioni di abitanti. Che fine ha fatto questo denaro? Così come per altre missioni internazionali come quella in Afghanistan, i “beneficiati” hanno visto sparire in mille rivoli, incluso ovviamente quello della criminalità, gli aiuti a loro teoricamente destinati. La realtà kosovara è di una regione senza struttura produttiva, dove la disoccupazione degli stessi albanesi kosovari raggiunge i 2/3 della popolazione. È su questo scenario che nel gennaio scorso l’inviato speciale dell’ONU, Martti Ahtisaari, ha presentato il suo piano per lo status futuro della regione, categoricamente respinto da Vojislav Kostunica, alla guida del Governo della Serbia, che ha accusato l’ex Presidente finlandese di avere oltrepassato i confini del suo incarico, delimitati dalla risoluzione 1.244 dell’ONU del giugno ’99, la quale manteneva la “sovranità serba” in Kosovo.

 

  • Kosovo. 15 maggio. In questa vicenda Mosca appoggia senza riserve Belgrado. Il fermo atteggiamento di Mosca si spiega, oltre che con il tradizionale “patrocinio” sui popoli slavi, anche con l’attuale stato di tensione dei suoi rapporti con gli USA. La Russia, che giudica la secessione del Kosovo un pericoloso esempio per i conati indipendentisti all’interno dei propri confini, ha fatto trapelare la minaccia di reagire con la stessa moneta, spingendo Abkhazia ed Ossezia del Sud, formalmente all’interno dei confini della Georgia, a muoversi nella medesima direzione. Stante le attuali posizioni, il piano non verrà approvato in Consiglio di Sicurezza ONU. In un’intervista alla Itar-Tass, il vice ministro degli Esteri della Russia Vladimir Titov ha detto che «per via delle divergenze di principio la discussione sulla votazione al Consiglio di Sicurezza dovrà essere rimandata», lasciando intendere che Mosca non esiterà a porre il suo veto sulla proposta Ahtisaari. «Esso è inaccettabile per Belgrado e può causare molte conseguenze negative non soltanto nei Balcani ma bensì in molte altre regioni», ha detto Vladimir Titov. Trovare una situazione accettabile per Washington ed élites kosovare da un lato, Mosca e Belgrado dall’altro, sarà piuttosto complicato. I serbi vedono in quella regione il sacro focolare della propria patria, ma i cittadini di etnia albanese sono ormai il 90% della popolazione e in nessun modo accettano ingerenze da parte di Belgrado. Per l’Unione Europea è comunque alto il rischio di trovarsi, alla fine della vicenda, con una grossa gatta da pelare: l’ONU, conclusa un’altra bella “missione” al servizio dei “poteri forti” internazionali, leverà le tende e a “sorvegliare” il nuovo Stato sarà una missione dell’UE la quale rischia di bruciarsi per domare l’incendio attizzato dagli USA.

 

  • Italia / Palestina. 16 Maggio. D’Alema disponibile ad inviare militari italiani (anche) a Gaza. Il ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, ha detto oggi che se l’Autorità Nazionale Palestinese chiedesse l’invio di una forza militare internazionale di interposizione nella Striscia di Gaza sarebbe una richiesta da prendere in considerazione. Una proposta militare che nei fatti si configurerebbe come un appoggio al presidente Abu Mazen ed al suo partito e contemporaneamente come un’ingerenza nei confronti di Hamas, impegnato in un duro scontro con i propri partner di governo, che sta provocando decine di morti. Il ministro D’Alema ha pure ricordato che il governo italiano è con Israele (i cui alti vertici politici e militari sono sotto inchiesta giudiziaria) e mantiene l’embargo che sta affamando e disgregando la società palestinese, rea di aver eletto democraticamente il governo di Hamas diversamente da quanto auspicato da USA ed Unione Europea.

 

  • Grecia. 16 maggio. Sciopero contro il centrodestra greco. Atene si ferma per protestare contro il governo presieduto dal centrodestra del premier Costas Karamanlis, accusato dello scandalo finanziario legato ai lucrosi investimenti fatti con i fondi previdenziali di varie categorie di lavoratori. Sembrerebbe, secondo quanto appurato finora e riportato dal quotidiano spagnolo El Mundo, che alcuni responsabili dell’organismo preposto a gestire i fondi pensionistici degli impiegati statali hanno investito le risorse dei lavoratori nell’acquisto di obbligazioni a prezzi gonfiati, guadagnando dal canto loro milioni di euro attraverso transazioni con agenzie di mediazione di Borsa greche e straniere.

 

  • Grecia. 16 maggio. Già nel corso dei primi tre mesi dell’anno la Grecia è stata teatro di gravi disordini per la riforma dell’Università varata dal governo di Kostas Karamanlis. Tutto cominciava poco prima di Natale, quando il partito del primo ministro “Nuova Democrazia” annunciava l’intenzione di voler ridurre di anni a disposizione degli studenti per completare i corsi, istituire università private ed introdurre l’“autonomia” e la “concorrenza” negli atenei pubblici. «Con la privatizazione delle università, senza toccare i gravi problemi dell’istruzione fin dalla scuola elementare, la situazione peggiorerà», sottolineano docenti e rappresentanti del movimento studentesco, che hanno reagito unanimi. Al centro dell’attenzione nelle proteste il carattere pubblico delle università e il diritto all’istruzione gratuita. La riforma è stata comunque votata dal parlamento. Studenti e docenti non demordono comunque: «la riforma non potrà essere applicata», è stata la replica di studenti e docenti.

 

  • Russia. 16 maggio. Il trattato sulle forze convenzionali in Europa (CFE) è ormai lettera morta. Su il Manifesto del 27 aprile, Manlio Dinucci parla del CFE, firmato dai paesi della NATO e del Patto di Varsavia nel novembre 1990, per creare un bilanciamento militare tra le due alleanze, riducendo le forze di ciascuna in 5 categorie di armamenti convenzionali ai seguenti livelli: 20mila carri armati, 30mila veicoli corazzati da combattimento, 20mila pezzi d’artiglieria, 2mila elicotteri d'attacco, 6.800 aerei da combattimento. Il trattato viene firmato subito dopo la riunificazione tedesca (il 3 ottobre 1990). Il 1 luglio 1991 si scioglie il Patto di Varsavia: i sei paesi che ne facevano parte non sono ora più alleati dell’URSS. Il 26 dicembre 1991 si dissolve la stessa URSS: al posto di un unico Stato se ne formano quindici. L’implosione dell’URSS e del suo blocco crea nella regione europea e centroasiatica una situazione geopolitica nuova. Cambia quindi completamente lo scenario del trattato, con la scomparsa della principale controparte di Washington.

 

  • Russia. 16 maggio. Un ulteriore cambiamento avviene quando la NATO comincia a espandersi a est. Nel 1999 essa ingloba i primi tre paesi dell’ex Patto: Polonia, Repubblica Cèca e Ungheria. Nel 2004 si estende ad altri sette: Estonia, Lettonia, Lituania (già parte dell’URSS); Bulgaria, Romania, Slovacchia (già parte del Patto di Varsavia); Slovenia (già parte della Jugoslavia). Ora sta per inglobare Albania, Croazia e Macedonia e punta a far lo stesso con Georgia e Ucraina. I limiti quantitativi degli armamenti, stabiliti dal trattato CFE, passano in secondo piano. Prioritaria è la loro dislocazione strategica. Non a caso, nell’annunciare la moratoria del trattato, Putin sottolinea: «I paesi NATO stanno costruendo basi militari ai nostri confini e, per di più, stanno pianificando di dislocare sistemi di difesa antimissile in Polonia e nella Repubblica ceca».

 

  • Russia. 16 maggio. Per Manlio Dinucci, il contenzioso va ben al di là del trattato. «In realtà, dichiarando la moratoria di un trattato ormai superato dagli eventi, Putin lancia agli USA e alla NATO il segnale che la Russia non intende perdere altro terreno, militarmente e politicamente, dopo il crollo dell’Unione sovietica che di recente ha definito “la più grande catastrofe geopolitica del secolo”». Da qui l’opposizione al piano statunitense di installare missili intercettori nell’Europa orientale, visto a Mosca quale tentativo degli USA di acquisire un ulteriore vantaggio strategico sulla Russia. «Mosca ha già annunciato che prenderà contromisure, adottando metodi adeguati e asimmetrici; ha avvertito inoltre che potrebbe anche ritirarsi dal Trattato Inf del 1987, che ha permesso di eliminare i missili nucleari a raggio intermedio in Europa. L'Europa, e in particolare l’Italia che ha già aderito al programma dello “scudo” statunitense, rischia quindi di trovarsi di nuovo in prima linea in un confronto militare che, pur diverso da quello della guerra fredda, potrebbe divenire persino più pericoloso».

 

  • Azerbaigian. 17 maggio. Grazie al petrolio e al gas, Baku accresce il proprio peso geopolitico, in particolare nei confronti dei rivali armeni. L’inaugurazione dell’oleodotto BTC (Baku – Tbilisi – Ceyhan), la produzione ed esportazione di idrocarburi hanno dato nuova centralità geopolitica all’Azerbaigian. Gli USA guardano al paese con attenzione sia per le sue riserve d’idrocarburi e la posizione di passaggio tra gli Stati dell’Asia centrale (come Kazakistan e Turkmenistan, ricchi di petrolio e gas), sia per la sua vicinanza con l’Iran. Sul primo punto, va ricordato che la realizzazione del BTC è stato fortemente voluto dagli USA e finanziato da molte imprese statunitensi, soprattutto per diminuire l’influenza russa sulla regione. Il 23 marzo 2007, il Segretario di Stato statunitense e la sua controparte azera hanno firmato un memorandum per la sicurezza energetica nella regione caspica: lo scopo del documento è quello di “assistere” il trasporto degli idrocarburi azeri verso i mercati occidentali. Anche se per ora si tratta soltanto di una dichiarazione di intenti, il risultato diplomatico non è sottovalutare, anche perché si prevede una sempre più intensa collaborazione per quanto riguarda l’addestramento delle forze armate nella protezione delle pipelines da attacchi stranieri. Inoltre, gli USA stanno supportando la realizzazione della pipeline Nabucco (Turchia, Bulgaria, Romania, Ungheria ed Austria), che dovrebbe porsi in competizione con Blue stream (Russia, Turchia, Bulgaria, Grecia ed Italia).

  • Azerbaigian. 17 maggio. Sul secondo punto, gli USA sono interessati a costruire una base in Azerbaigian o almeno ad utilizzare l’aeroporto militare azero, come dichiarato recentemente dal vice segretario di Stato Matthew Bryza. Tuttavia il ministro della difesa azero ha negato la propria disponibilità a cedere il proprio territorio per attaccare un paese vicino come appunto l’Iran. A ciò si aggiunge che la presenza di una base statunitense nel Caucaso indispettirebbe notevolmente Mosca. Anche se l’ipotesi di un’installazione militare è da tenere al momento in scarsa considerazione, non è escluso che l’Azerbaigian venga coinvolto nel progetto dello scudo missilistico, soprattutto per l’installazione dei radar. Da un punto di vista finanziario, Baku ha nei confronti di Mosca maggiori carte da giocare. Per esempio, quando ad inizio anno Gazprom ha alzato i prezzi del gas, ha promesso uno sconto nel caso in cui l’Azerbaigian vendesse al colosso russo parte del possesso della propria rete. Baku, forte del proprio successo economico e certo che entro il 2007 il giacimento di Shah Deniz diventi operativo, ha deciso di pagare il gas russo al prezzo di mercato senza cedere la proprietà della rete, come invece ha fatto l’Armenia. L’influenza di Mosca permane però notevole, sia per l’aiuto dato da Putin due anni fa al presidente Aliyev nello sventare una nuova “rivoluzione arancione” finanziata da Washington, sia per i conflitti “congelati” che rendono l’area ancora troppo instabile: la questione dell’Abkhazia e dell’Ossezia meridionale in Georgia, ma soprattutto la disputa con l’Armenia per l’enclave armena del Nagorno Karabakh. Conflitti cje Mosca, all’occorrenza, potrebbe attizzare per non perdere la sua influenza nella regione caucasica e non essere tagliata fuori dai circuiti di esportazione degli idrocarburi verso il mercato europeo. Per tale motivo Mosca ha messo in cantiere alcuni nuovi progetti per l’esportazione del gas in Europa, come  il gasdotto Blue Stream II, l’oleodotto Burgas-Alexandroupolis per evitare gli stretti turchi oppure l’oleodotto Transanatolico Samsun-Ceyhan, la cui messa in opera potrebbe rendere economicamente poco vantaggiosa la costruzione del Nabucco o delle pipeline transcaspiche.

 

  • Afghanistan. 17 maggio. Le forze di occupazione in Afghanistan appoggiano il traffico di droga. Lo sostiene il docente universitario in Canada Michel Chossudovsky in un articolo pubblicato su www.globalresearch.ca/index.php. Secondo le stime di Chossudovsky, il traffico procura 120-194 miliardi di dollari di entrate al crimine organizzato, alle agenzie di spionaggio e alle istituzioni finanziarie dell’Occidente. I proventi di questo redditizio traffico illecito va infatti quasi totalmente a beneficio di interessi privati ed associazioni criminali fuori dell’Afghanistan, e sono depositati nelle banche Occidentali. Il traffico dell’oppio afghano, promosso dalla CIA all’inizio degli anni Ottanta, continua ad essere protetto dai servizi segreti statunitensi, in collegamento con le forze di occupazione della NATO e dell’esercito Britannico. Michel Chossudovsky riporta un articolo del The Guardian (27 aprile 2007), che rivelava come le forze di occupazione britanniche abbiano emesso comunicati via radio per assicurare che l’ISAF e l’esercito afgano non avrebbero toccato la coltivazione del papavero da oppio.

 

  • Afghanistan. 17 maggio. Lo stesso articolo del The Guardian afferma che il commercio di droga «viene controllato da 25 trafficanti, compresi tre ministri del governo» e riporta dati dell’ONU sull’aumento esponenziale della coltivazione del papavero da oppio in Afghanistan. Dall’invasione USA del 2001, il traffico di droga è stato enormemente sviluppato. La produzione di oppio è aumentata di 33 volte, dalle 185 tonnellate del 2001 sotto i Talebani alle 6.100 tonnellate del 2006. Le aree coltivate sono aumentate di 21 volte dall’invasione del 2001 guidata dagli USA. Chossudovsky evidenzia che nel 2000-2001 è stato proprio il governo dei Talebani ad applicare con successo un programma di sradicazione della droga, con l’appoggio e la collaborazione delle Nazioni Unite. Realizzato nel 2000-2001, il programma dei Talebani aveva portato ad un calo del 94% nella coltivazione del papavero da oppio. Nel 2001, secondo dati dell’ONU, la produzione di oppio era crollata a 185 tonnellate. Immediatamente dopo l’invasione dell’ottobre 2001 a guida USA, la produzione è drammaticamente aumentata, riguadagnando i suoi livelli storici. Nel 2006 l’Afghanistan ha fornito quasi il 92% delle forniture mondiali di oppio che, ricordiamolo, viene usato per produrre eroina.

 

  • Afghanistan. 17 maggio. Il 95% dei profitti generati dalla droga va nelle tasche di comitati di affari, del crimine organizzato e di istituzioni bancarie e della finanza. Solo una piccola percentuale arriva agli agricoltori e ai commercianti del paese di produzione. Chossudovsky cita un lavoro dell’UNODC (United Nations Office on Drugs and Crime), “The Opium Economy in Afghanistan” (www.unodc.org/pdf/publications/afg_opium_economy_www.pdf) ed una citazione del Dipartimento di Stato USA (riferita da Voce dell’America, 27 febbraio 2004), secondo cui «l’eroina Afgana viene venduta sul mercato internazionale dei narcotici ad un prezzo cento volte più alto del prezzo pagato ai contadini per il loro oppio fuori del campo». Un traffico, conclude Chossudovsky ricordando suoi precedenti studi, in cui la CIA ha giocato un ruolo centrale nello sviluppo, sia nell’America Latina che in Asia.

 

  • Libano. 17 maggio. Scoperto un arsenale di Hezbollah dai soldati del contingente spagnolo dell’Unifil, la forza ONU in Libano, nel sud del paese. Lo ha riferito il quotidiano libanese As-Safir. Citando fonti di sicurezza libanesi, il quotidiano ha precisato che il materiale era nascosto in una grotta a ovest del villaggio di Kfar Shuba, a ridosso della zona di confine contesa delle Fattorie di Shebaa, occupata da Israele nel 1967.

 

  • Iraq. 17 maggio. Il fiume Tigri sull’orlo della distruzione. A lungo simbolo di prosperità in Iraq, dall’invasione delle forze statunitensi nel 2003 il fiume, una delle principali fonti di acqua, cibo, trasporto e svago per la popolazione locale, si è trasformato in una fogna a cielo aperto dopo quattro anni di guerra e di danni ambientali. Il Tigri vede aumentato il tasso d’inquinamento e diminuito il livello d’acqua, trasformandosi addirittura in un cimitero. L’inquinamento è causato da derivati del petrolio e da rifiuti industriali così come da residui bellici iracheni e statunitensi. Montagne di spazzatura si accumulano lungo le sponde ostacolando il normale fluire delle acque e inquinando l’aria. Il fiume è stato in gran parte trasformato in zona militare, proibendo la navigazione e la pesca (fonte di introiti per molte famiglie) e costringendo le famiglie residenti lungo le sue sponde a lasciare le proprie case e a chiudere i ristoranti. Il fiume è contaminato da residui bellici e da tossine, ma ai residenti del quartiere impoverito di Sadr City spesso non rimane altra alternativa se non quella di bere l’acqua contaminata del Tigri, causa per gli specialisti dei frequenti casi di diarrea e di calcoli renali registrati nella zona. Anno dopo anno, il volume complessivo dell’acqua si riduce in particolare a causa di dighe costruite in Turchia e Kurdistan, che hanno ridotto di quasi la metà la portata del fiume. Con le dighe che diminuiscono la portata d’acqua, la salinità che aumenta e le sostanze inquinanti versate nel fiume dalle città del nord, non sorprende che se in passato era facile prendere pesci nel fiume, oggi è praticamente impossibile, fuorché quelli che si vedono galleggiare, morti per l’inquinamento e la mancanza di ossigeno. Ogni giorno, infine, vengono recuperati dal Tigri cadaveri che portano segni evidenti di tortura e la gente che abita nei pressi del fiume vede continuamente corpi galleggianti. «La maggior parte dei cadaveri rimangono senza identità e vengono seppelliti senza che ci siano state richieste da parte delle famiglie», ha dichiarato il Colonnello Abdel-Waheed Azzam, ufficiale superiore nel reparto investigativo del Ministero degli Interni, aggiungendo che il 90% dei corpi mostra segni di torture atroci e che «a causa del loro stato è inutile tentare un’autopsia».

 

  • Somalia. 17 maggio. Ali Mohamed Gedi, premier del “governo di transizione somalo” sostenuto da USA ed Etiopia, è sfuggito oggi a un attentato nella capitale Mogadiscio. Una bomba è esplosa al passaggio del suo convoglio per la strade della capitale somala, senza comunque ferire nessuno.

 

  • Unione Europea / Russia. 18 maggio. Barroso ammonisce Mosca. Il presidente della Commissione Europea, José Manuel Barroso, intervenendo in occasione di un vertice tra UE e Russia nelle vicinanze di Samara, ha dichiarato che d’ora in poi i problemi che la Russia avrà con uno dei paesi membri saranno considerati problemi con l’intera Unione. Barroso si è poi esplicitamente riferito alle questioni più spinose che rendono particolarmente tese le relazioni tra Russia e alcuni paesi dell’Unione. La questione del divieto di importazione di carni polacche ed il taglio dei rifornimenti petroliferi nei confronti della Lituania sono le due problematiche più serie, che hanno portato entrambi i paesi a porre il veto ad ogni accordo di cooperazione strategica tra Unione e Russia. Rimane poi teso il rapporto con l’Estonia per via delle polemiche in merito al trattamento dei cittadini russi e alla rimozione del memoriale al soldato dell’Armata Rossa a Tallinn, lo scorso mese. Infine è stata al centro dell’ordine del giorno del vertice la questione della sedicente “indipendenza” kosovara, appoggiata dall’Unione Europea, ma a cui la Russia si oppone fermamente. Il vertice di Samara era stato previsto inizialmente per discutere soprattutto dell’approvvigionamento energetico degli Stati europei. Nessuna firma di accordi è risultata dal summit.

 

  • Unione Europea / Gran Bretagna. 18 maggio. Che Londra adotti l’euro! Il presidente della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet, ha esortato oggi la Gran Bretagna ad abbandonare la sterlina per adottare l’euro, sostenendo che tale decisione favorirebbe un pieno funzionamento del mercato unico europeo. «Esortiamo tutti il Regno Unito ad entrare nell’eurozona. Al Regno Unito dico che il mercato in cui è così coinvolto non può funzionare bene senza una moneta unica», ha detto Trichet al Financial Times. La questione dell’adozione dell’euro era stata proposta timidamente dal primo ministro Tony Blair, ma i sondaggi in Gran Bretagna hanno sempre mostrato che la maggioranza della popolazione è contraria all’abbandono della sterlina. Anche l’attuale cancelliere dello scacchiere Gordon Brown, successore designato di Tony Blair e favorito alle prossime elezioni contro il conservatore David Cameron, è contrario. Le stesse analisi macroeconomiche mostrano che la Gran Bretagna ha ottenuto una crescita del PIL maggiore della media degli altri membri dell’“eurozona” soprattutto perché le esportazioni non sono state penalizzate dalla forte rivalutazione dell’euro.

 

  • Cina. 18 maggio. La Banca Centrale Cinese ha ampliato la flessibilità dello yuan sul dollaro. Quattro giorni prima della visita di una delegazione cinese a Washington dal 22 al 24 maggio, la Banca Centrale della Repubblica  Popolare Cinese ha deciso di ampliare la banda di oscillazione giornaliera dello yuan sul dollaro dallo 0,3% (fissato nel luglio del 2005, primo storico movimento che ha introdotto la flessibilità della valuta cinese) allo 0,5%. Il rappresentante per la Cina del Dipartimento del Tesoro USA, Alan Holmer, ha salutato positivamente la decisione della Banca Centrale Cinese, aggiungendo però che gli USA continueranno a esercitare pressioni su Pechino affinché consenta un maggior apprezzamento della valuta. Secondo gli USA lo yuan deve apprezzarsi più velocemente e la Cina deve accelerare il processo di riforma della sua moneta rendendola completamente libera di fluttuare sui mercati valutari. Di fatto, però, Pechino viene incontro solo parzialmente alla richieste degli USA. Nell’annunciare il nuovo cambio, infatti, la Banca Centrale Cinese ha commentato la propria decisione, affermando, in una nota, che «una maggiore flessibilità non significa che si punti a una rapida  rivalutazione della nostra moneta, la politica dei cambi resta improntata al mantenimento della stabilità del cambio». La svalutazione della moneta cinese è (così come il basso costo del lavoro) uno dei principali fattori di competitività delle esportazioni cinesi.

 

  • Afghanistan. 18 maggio. I taliban hanno annunciato di aver catturato la “spia” che avrebbe aiutato le forze statunitensi a individuare e uccidere il mullah Dadullah, organizzatore tra l’altro del sequestro dell’inviato di Repubblica, Daniele Mastrogiacomo. L’annuncio è stato dato da un portavoce dei guerriglieri islamici. Dadullah è morto venerdì scorso in un’offensiva delle forze USA e afghane nella provincia meridionale di Helmand. Il portavoce ha rivelato che il mullah si era fermato proprio nell’abitazione del presunto traditore nel distretto di Bahramcha quando è partito l’attacco.

 

  • Iraq. 18 maggio. Lo Sciri, il Consiglio Supremo per la Rivoluzione Islamica, parte della coalizione di governo in Iraq, ha cambiato il suo nome in Consiglio Islamico dell’Iraq. Il cambiamento, annunciato da uno dei leader del partito, Abd al Aziz al Hakim, riflette il tentativo di prendere le distanze dal termine “Rivoluzione” e dall’omonimo partito al potere in Iran, con il quale i rapporti rimangono stretti, anche se tesi per via delle pressioni statunitensi, che accusano Teheran di sostenere la guerriglia in Iraq.

 

  • Giappone. 18 maggio. Obbligo di “patriottismo” a Tokyo. Per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra mondiale, il “patriottismo” tornerà a essere materia d’insegnamento nelle scuole giapponesi. La camera bassa del Parlamento giapponese ha approvato una proposta di legge che che prescrive “l’amore per la patria” come obiettivo fondamentale delle scuole dell’obbligo giapponesi. La mozione è stata votata dalla maggioranza del primo ministro Shinzo Abe, scatenando la protesta dell’opposizione. Il disegno di legge verrà ora trasmesso alla camera alta, dove verrà nuovamente discusso. La nuova legge, che riprende, ampliandolo, il progetto di revisione della Legge fondamentale per l’istruzione cominciato nel dicembre scorso, prevede non solo che gli insegnanti incoraggino il “patriottismo” ed il rispetto per la “tradizione” e la cultura, ma che «l’attitudine all’amore per la propria patria e la propria città» e «l’attitudine alla partecipazione basata sulle norme sociali e sullo spirito pubblico» diventino obiettivi obbligatori del sistema d’istruzione.

 

  • Giappone. 18 maggio. Cambiamento dei libri e dei programmi scolastici, revisione della Costituzione giapponese, rinnovato spirito di iniziativa in politica internazionale. Sono questi i punti cardine della politica del neoprimo ministro giapponese Shinzo Abe, membro di una delle famiglie politicamente più influenti del Giappone. Per la cronaca Shinzo Abe è nipote di quel Nobusuke Kishi (già importante ministro nel famigerato governo del generale Tojo durante la seconda guerra mondiale) che fu prigioniero negli Stati Uniti. Processato come criminale di guerra, venne poi prosciolto da tutte le accuse nel 1952 e divenne primo ministro (1957-1960) e uno dei politici giapponesi più fedeli agli Usa. Il figlio di Kishi (e padre di Shinzo Abe), Shintaro, fu invece ministro degli Esteri nel governo presieduto da Yasuhiro Nakasone (1982-1986), anticomunista e reaganiano di ferro, considerato il maestro politico di Shinzo Abe.

 

  • Giappone. 18 maggio. Il discorso sulla Legge fondamentale sull’istruzione, finalizzata dopo la Seconda Guerra mondiale a costruire la personalità degli allievi limitando il più possibile l’intervento statale (in modo da controbilanciare il sistema educativo inculcato sino ad allora da una mentalità fortemente militarista), non può prescindere dal dibattito sulla revisione della Costituzione. Modificare l’una e l’altra legge è stato per anni il chiodo fisso del partito liberaldemocratico dell’attuale Primo ministro Shinzo Abe. Lunedì scorso la camera alta aveva anche approvato il primo disegno di riforma della Costituzione pacifista giapponese, rimasta immutata dal 1947, dopo la seconda guerra mondiale. Redatta dalle forze di occupazione militari statunitensi subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, la Costituzione giapponese vieta la forza militare «quale mezzo per risolvere le controversie internazionali» e proibisce il mantinimento di forze armate per scopi bellici. Lo scenario geopolitico è però cambiato. La virulente ascesa della Cina, contro cui gli strateghi del Pentagono prevedono persino scenari di guerra, spinge Washington a sostenenere l’armamento giapponese e la creazione di un esercito da impegnare in missioni internazionali, e nell’entourage della Casa Bianca c’è anche chi ha parlato di un ingresso di Tokyo nella NATO.

 

  • Giappone. 18 maggio. Dopo le recenti prese di posizione sulla volontà di modificare la Costituzione, sfociate nell’avvio di un iter legislativo che porterà a un referendum, adesso le preoccupazioni delle opposizioni vertono sul significato della “clausola patriottica” contenuta nella legge sull’istruzione: cosa significa, per un giapponese “amare la propria patria”? Cosa dovrebbe fare, qualora si trovasse in disaccordo con una decisione del governo? Molti ritengono che “patriottico” voglia dire accantonare le considerazioni personali e appoggiare incondizionatamente l’operato dei governanti. Altri, invece, più correttamente fanno notare che essere patriottici significa criticare o rifiutare scelte non ritenute legittime. Ma la nuova legge contempla anche una prescrizione ben più pericolosa. Consente infatti ai funzionari dell’istruzione di sospendere o escludere dall’incarico insegnanti che “deviano” dalle politiche educative proposte dal governo ed introduce il rinnovo delle licenze degli insegnanti ogni 10 anni. L’indottrinamento, secondo la nuova misura, si estenderebbe poi fino alle comunità locali, chiamate a «fare uno sforzo per cooperare» con le scuole in quello che molti critici hanno già definito il “controllo ideologico” della società. Il provvedimento ha incontrato perplessità anche in Cina e Corea del Sud, preoccupate a causa delle passate aggressioni militari giapponesi nel periodo pre-seconda guerra mondiale.

 

  • USA. 18 maggio. Banca Mondiale, il presidente Wolfowitz si dimette. Paul Wolfowitz, uno dei più accesi “neoconservatori” al potere con l’amministrazione Bush, ha deciso con effetto 30 giugno di rassegnare le proprie dimissioni. Si conclude così una vicenda che ha visto l’ex vice segretario USA alla Difesa e uno dei principali artefici della guerra in Iraq accusato di favoritismo per avere sollecitato nel 2005, anno della sua nomina alla presidenza della Banca mondiale, la promozione e trasferimento della sua compagna, Shaha Riza, al Dipartimento di Stato. Una promozione che comportò a favore della signora un aumento di stipendio di circa 70.000 dollari l’anno, ben al di là delle consuete retribuzioni dell’ente, deciso dal presidente stesso contro il parere di tutti i suoi collaboratori. Immediato è stato il commento della Casa Bianca all’annuncio di Wolfowitz. «Avremmo preferito che fosse rimasto».

 

  • USA. 18 maggio. Per Charles Wyplosz la vicenda Wolfowitz mostra la remissività degli Stati europei. In un articolo pubblicato su lavoce.info, il docente di Economia Internazionale all’Istituto di Studi Internazionali di Ginevra respinge l’idea che il Fondo monetario internazionale e la Banca Mondiale siano “agenti degli Stati Uniti” e strumento della politica USA. Pur tuttavia, il suo scritto non lascia dubbi su chi comandi dentro la Banca e sulla sudditanza degli Stati europei a Washington. Nel consiglio della Banca Mondiale, «i cinque membri principali (Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Stati Uniti) dispongono di un loro amministratore personale, gli altri paesi si dividono i 19 restanti. Ogni amministratore ha diritto a un voto, proporzionale al peso politico di ogni paese-membro. Gli Stati Uniti dispongono del 16,4% dei voti, gli europei ne controllano il 28,9 %, di cui il 4,3 per cento attribuito alla Francia. Perché tutti questi particolari? Perché il consiglio di amministrazione ha il potere di mandare via il presidente. Ma, a tutt’oggi, non l’ha fatto». Wyplosz rileva che gli USA, che per bocca di Bush difendono Wolfowitz, pesano solo per il 16.4% per cento e critica l’atteggiamento di prudenza nella vicenda assunto dagli Stati europei.

 

  • USA. 18 maggio. Scrive Wyplosz: «Come avviene sempre sia in seno al FMI che alla Banca Mondiale, i paesi membri non si oppongono agli Stati Uniti, quando questi ultimi assumono una posizione decisa (…) Gli Stati Uniti svolgono il loro ruolo di primo azionista, ma in teoria il loro potere è limitato. Ciò che gli attribuisce un immenso potere non è il numero dei voti, ma l’incomprensibile sudditanza degli altri paesi membri, Francia ed Europa in testa. L’affare Wolfowitz ne è l’esempio lampante». Wyplosz lanciava poi la previsione che Wolfowitz avrebbe dato le dimissioni «in modo da potersene andare a testa alta. Ma lasciarlo andar via a testa alta è scandaloso e appanna l’immagine della Banca Mondiale, rafforzando per giunta l’impressione di strapotere degli Stati Uniti. Il motivo di scandalo non è Washington, ma Parigi, Berlino, Roma, Londra e tutte le capitali in cui si ritiene che non valga la pena mettersi in urto con la superpotenza per la reputazione della Banca Mondiale o del FMI; e ciò nonostante gli innumerevoli bei discorsi che reclamano un mondo multipolare».

 

  • Israele. 19 maggio. Venite a combattere per noi! Il ministro degli Esteri israeliano, Tzipi Livni, ha dichiarato ieri al temine di un incontro con alcuni diplomatici occidentali che Israele sarebbe favorevole all’invio di una forza multinazionale per “riportare la calma” a Gaza. La Livni ha però specificato che sarebbe favorevole solo nei caso in cui le truppe abbiano il mandato per «dare la caccia ai terroristi» e confiscare armi. La ministro ha infatti dichiarato che, se il mandato della forza fosse simile a quello della forza Unifil in Libano, allora Israele non sarebbe interessata.

 

  • Iran. 19 maggio. Teheran ha avviato la costruzione di una centrale nucleare con tecnologia propria che verrà dotata di un reattore da 360 megawatt. Lo ha annunciato il vice capo dell’Agenzia nazionale per l’energia atomica (AIEA), Mohammad Saidi. Non si sa ancora dove dovrà sorger l’impianto annunciato. Attualmente nessuna centrale è attiva, la prima sarà quella di Bushehr, che dovrebbe essere attivata il prossimo settembre.

 

  • Bulgaria. 20 maggio. Bassissima l’affluenza per le prime elezioni europee. Solo il 28% dei circa 6.7 milioni di elettori si è recato alle urne per eleggere 18 deputati per il parlamento di Bruxelles dopo l’ingresso nell’UE avvenuto nel gennaio scorso.

 

  • Georgia / Ossezia del Sud. 20 maggio. Da circa una settimana la piccola regione secessionista georgiana dell’Ossezia del Sud ha due governi paralleli e contrapposti: quello indipendentista guidato da Eduard Koikoity, sostenuto da Mosca, e quello ‘unionista’ presieduto da Dimitri Sanakoev, riconosciuto da Tbilisi. Una situazione che ha portato nuove difficoltà nella vita quotidiana della popolazione locale e sta facendo pericolosamente salire la tensione militare tra le parti. Dimitri Sanakoev era stato eletto presidente lo scorso novembre nelle “elezioni parallele” svoltesi nei villaggi sud-osseti sotto il controllo di Tbilisi, ovvero quelli a maggioranza georgiana. “Elezioni parallele” a quelle organizzate dalle autorità dell’autoproclamata Repubblica dell’Ossezia del Sud (riconosciuta solo dalla Russia) per votare l’indipendenza dalla Georgia ed eleggere il nuovo presidente (confermando appunto Eduard Kokoity). Il 10 maggio Dimitri Sanakoev –ex-combattente nella guerra di secessione del ’91, successivamente ministro della Difesa e premier del governo indipendentista dell’Ossezia del Sud, recentemente convertitosi all’irredentismo georgiano– è stato ufficialmente nominato capo della “Amministrazione Provvisoria dell’Ossezia del Sud” dal presidente georgiano Mikheil Saakashvili. Un’amministrazione impiantata nel villaggio di Kurta, pochi chilometri dalla ‘capitale’ sud-osseta Tskhinvali.

 

  • Georgia / Ossezia del Sud. 20 maggio. La risposta delle autorità ossete è stata immediata. Il giorno dopo, l’11 maggio, Eduard Koikoity ha sigillato i villaggi georgiani della regione con decine di posti di blocco della polizia sud-osseta ai quali ha dato l’ordine di fermare tutti coloro che non erano muniti di passaporto sud-osseto o russo. Per quattro giorni la popolazione georgiana non ha potuto spostarsi per andare a lavorare né per urgenze mediche o di altro tipo. Negli stessi giorni, la Georgia ha iniziato ad ammassare forze speciali nella regione e a fortificare le sue postazioni nei villaggi georgiani attorno a Tskhinvali. Dopo giorni di sporadici incidenti, la tensione è esplosa la notte tra il 19 e il 20 maggio con un violento scontro armato tra forze georgiane e ossete, con scambi d’artiglieria che hanno provocato diversi feriti e ingenti danni ad abitazioni civili sia nella periferia della capitale Tskhinvali che nei villaggi georgiani di Ergneti e Kvemo Nikozi. La tensione rimane alta nella regione.

 

  • Libano. 20 maggio. È salito a 22 morti il bilancio delle violenze di oggi nel nord del Libano. 13 delle vittime sono soldati dell’esercito libanese, gli altri sono miliziani del gruppo sunnita Fatah al Islam e civili. L’esplosione di violenza ha provocato la chiusura cautelativa dei confini con la Siria e ha spinto il governo russo a esprimere la sua preoccupazione. «Questi avvenimenti tragici confermano la necessità che tutte le parti rispettino l’integrità territoriale, l’unità e l’indipendenza politica del Libano», si legge in un comunicato del Cremlino.

 

  • Somalia. 20 maggio. Esplode un’altra bomba a Mogadiscio. Obiettivo, un veicolo che trasportava il sindaco della città, l’ex signore della guerra Mohamed Dhere Omar Habeeb, rimasto illeso. Tre giorni fa un attentato simile aveva preso di mira il primo ministro somalo, Ali Mohamed Gedi e, il giorno prima, in un altro attacco, erano morti 4 soldati delle forze di pace ugandesi.

 

  • Unione Europea. 21 maggio. Proseguono le trattative per arrivare ad un “mini-trattato” europeo. Il negoziato condotto dalla presidenza tedesca dell’Unione europea, dopo un lungo periodo di stallo a seguito della batosta dei NO francese ed olandese del 2005, entra nella sua fase decisiva, con le elezioni europee del 2009 che rappresentano una scadenza improrogabile. L’opzione del “mini-trattato”, pur con diversità nei contenuti, vede favorevoli Regno Unito, Polonia e Repubblica Ceca, fautori di un testo purgato da simboli e contenuti, la Danimarca, nonché Olanda e Francia, che premono per una soluzione che eviti loro un nuovo referendum. In particolare il neo presidente francese Nicolas Sarkozy sostiene la soluzione di un testo praticamente ridotto alla prima parte, quella che riguarda il funzionamento delle istituzioni europee, rimandando eventualmente una riforma più ampia a dopo il 2009. Il cancelliere tedesco Angela Merkel, dopo aver scelto di portare avanti il negoziato sul piano bilaterale, deve cominciare a tirare le fila della consultazione. Al vertice di fine giugno la Merkel, vuole presentare una proposta per una Conferenza intergovernativa con il compito di ratificare rapidamente un compromesso che, per evitare l’ammissione di fallimento e rispettare la scadenza del 2009, sarà per molti analisti al ribasso.

 

  • Russia. 21 maggio. Il presidente russo Vladimir Putin ha chiesto oggi al governo di intensificare le trattative con l’Unione Europea per risolvere la questione del bando alla carne polacca, che dal 2005 non può più entrare in territorio russo ufficialmente per problemi sanitari. La questione sta bloccando la firma di un nuovo trattato commerciale tra Russia e UE, visto il veto imposto dalla Polonia per ripicca all’azione russa. La questione era già stata affrontata, senza risultati, nel summit tra UE e Russia tenutosi a Samara.

 

  • USA / Libano. 21 maggio. Il portavoce del Dipartimento di Stato statunitense, Sean McCormack, giudica legittimo l’attacco dell’esercito libanese contro i miliziani islamici nel campo profughi palestinesi nel nord del paese. Il portavoce del Dipartimento di Stato ha inoltre dichiarato di essere certo che il Primo Ministro libanese Fouad Siniora continuerà ad agire nell’interesse della popolazione libanese, fronteggiando le sfide poste in essere dalla «violenza e dall’uso del terrore» del gruppo Fatah al-Islam.

 

  • Libano. 21 maggio. Continuano gli scontri nel campo profughi palestinese di Nahr el-Bared, presso la città libanese settentrionale di Tripoli. I combattimenti tra l’esercito e il gruppo militante Fatah al-Islam, cominciati ieri mattina, hanno provocato finora 57 morti, tra cui 15 civili. Gli scontri sono i più violenti combattimenti interni vissuti dal Libano dopo la fine della guerra civile, nel 1990. L’esercito starebbe bombardando le posizioni dei militanti all’interno del campo profughi, senza però entrarvi, come stabilito da un accordo del 1969 che vieta alle Forze Armate di mettere piede nei quindici campi profughi del Paese. Il campo di Nahr el-Bared ospita circa 40.000 palestinesi.

 

  • Iran / Bielorussia. 21 maggio. Ahmadinejad in visita a Minsk. Il Presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad è in Bielorussia per una visita di due giorni che includerà un colloquio con il Presidente bielorusso Alexander Lukashenko. Il portavoce del ministro degli Esteri bielorusso ha riferito che i colloqui verteranno su un ampio spettro di questioni relative alla cooperazione bilaterale quali energia, commercio e tecnologia. La piattaforma base per i colloqui era stata concordata lo scorso novembre a Teheran, quando il Presidente bielorusso aveva dato l’appoggio al programma nucleare iraniano. I due presidenti, fortemente isolati dalla diplomazia mondiale, vedono nella cooperazione bilaterale un’occasione cruciale per lo sviluppo dei rispettivi paesi.

 

  • USA. 21 maggio. La NATO “approva” i piani statunitensi per uno “scudo” in Europa. Nel corso di un incontro nel ranch del Texas con il segretario della NATO De Hoop Scheffer, Bush ha espresso apprezzamento sul fatto che il segretario NATO «concorda che i piani di difesa missilistica USA integrano gli sforzi della NATO di rendere tutte le nazioni sicure dall’attacco». Va però ricordato che Washington ha scavalcato la stessa Alleanza stipulando accordi bilaterali con i governi di singoli paesi: Gran Bretagna, Polonia, Repubblica ceca e la nostra Italia.

 

  • USA / Cina. 22 maggio. Una delegazione cinese d’alto profilo è arrivata oggi negli Stati Uniti per due giorni di colloqui in materia di cooperazione economica e commerciale. L’incontro, il secondo di una serie, avviene in un momento di forte tensione nelle relazioni commerciali tra i due paesi e per la Cina riveste un’importanza tale da aver inviato a parteciparvi quasi la metà del suo esecutivo. Negli Stati Uniti si esternano preoccupazioni sulla crescita vertiginosa del deficit commerciale con il colosso asiatico (che però per quasi metà è un prodotto delle multinazionali USA che dalla Cina esportano nel mercato interno USA), che lo scorso anno ha raggiunto il livello record di 223 miliardi di dollari. In particolare Washington prme per una rivalutazione di almeno il 40% del tasso di cambio del