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La magia e la rete

di Claudio Bonvecchio - 06/06/2007

 

 

«Horridas nostrae mentis purga tenebras»

(Detto alchemico)

PREMESSA

Un titolo quale LA MAGIA E LA RETE tende a generare – nel lettore – un comprensibile

effetto estraniante, in quanto mette in gioco due termini del tutto estranei tra loro (almeno

apparentemente) e tali da essere del tutto incompatibili: anzi e più precisamente tali da

essere tra loro conflittuali. D’altronde – scendendo nel concreto – cosa può esserci in

comune tra l’habitat di un mago, letterariamente ed immaginosamente descritto da

Goethe1 e una postazione informatica fatta di cavi, apparecchi, tastiere e accessori, quale

si trova, oramai, in ogni ufficio ed in quasi tutte le case private: in ogni angolo della terra,

insomma2. In quest’ultima, la tecnica, il calcolo e la proporzione sembrano essere

assolutamente dominanti e indispensabili nel segnare il ritmo del lavoro e dell’esistere

stesso di chi vi opera professionalmente o di chi le utilizza individualmente. La loro

distanza, materiale e spirituale, dai misteriosi luoghi odorosi di pergamena e di spezie

dove operavano maghi come Cecco d’Ascoli, Pico della Mirandola, Tritemius, Girolamo

Cardano, Agrippa, Paracelso o Dalla Porta – solo per fare qualche nome, a caso – è

1 «Un maledetto buco muffito,» così, romanticamente, Faust definisce il suo studio «dove

persino l’amabile luce del cielo s’intorbida attraverso vetri variopinti. Un buco rimpicciolito

da questo mucchio di libri che i tarli forano e la polvere ricopre, rivestito di carta nera per

il fumo, fin sull’alta volta, con sparsi, tutto intorno, vasi ed ampolle, zeppo di istrumenti ed

ingombro delle avite masserizie» (W. Von Goethe, Faust, prima parte, a cura di G. V.

Amoretti, Feltrinelli, Milano, 1965, p. 23).

2 Si può ipotizzare, con ragione, che una postazione informatica sia allocata in una

stanza dalle pareti bianche, arredata con mobili bianchi o – al più color legno – e sia

costituita da un computer multimediale Pentium 233 in rete, da vari tipi scanner A4 e

plotter, da una stampante laser e a colori e, infine, da un router che consente l'uscita

contemporanea di eventuali altre postazioni: ad esempio, su di linea ISDN per la

navigazione in Internet. Opzionali si potrebbero considerare masterizzatori, altoparlanti,

micro-camere da presa e così via.

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massima. Parimenti massima la loro differenza delle coloratissime, disordinate e variegate

Wunderkammers medioevali, rinascimentali e secentesche dove operavano e vivevano3.

Si possono leggere come la cifra ideale del loro modo di percepire e pensare la realtà che

li circondava: all’insegna di una razionalità impregnata di curiosità, di intuizioni, di immagini

visionarie e di senso di partecipazione al tutto. Di contro, l’habitat della rete – se è lecito

fare un (forse inappropriato) paragone – è dato da quegli ambienti asettici, squadrati,

razionali dove, utilizzando il lessico di Ernst Jünger si percepisce il gelo della tecnologia, il

freddo ed estremo rigore di un approccio razionale e disumanizzato. Dove, ancora, nulla

sembra essere concesso alla fantasia, all’intuizione e alla passione ingabbiate da ferree

proporzioni numeriche.

Prendono forma, insomma, due mondi che si presentano come imparagonabili tra loro, la

cui estraneità – se non l’aperta divergenza – sembra delinearsi dagli stessi principi che

sembrano esserne alla base: razionali per ciò che attiene l’universo informatico,

totalmente irrazionali per il mondo della magia. È, sostanzialmente, la iscrizione della

medesima estraneità riscontrabile tra la “cosiddetta” realtà scientifica e quella magica,

dove la prima è del tutto orientata sulla scansione, la differenza, la parzialità, mentre la

seconda è articolata sulla corrispondenza, l’analogia e la totalità. E questo è quanto

registra l’opinio communis e non solo. Basta solo ricordare, in proposito, come Voltaire –

uno dei grandi padri del razionalismo moderno – liquidi, nel suo Dizionario Filosofico, la

magia facendone un esecrabile fenomeno superstizioso, fondato sulla pazzia, sulla

suggestione e alimentato dalla non meno grave, deprecabile e fanatica superstizione

ecclesiastica4.

3 Le Wunderkammers o “camere delle meraviglie” – famose sono quelle appartenute

all’imperatore Rodolfo II d’Absburgo, al re di Polonia Federico Augusto o al Monastero

palermitano di San Martino delle Scale – erano luoghi particolari, per lo più scaffalati, in

cui venivano raccolti reperti straordinari, meravigliosi o, comunque, fuori dal comune: veri

o falsi che fossero. Potevano essere animali o feti con due teste, esseri rari, deformi o

mostruosi che venivano chiamati naturalia. Ma potevano essere anche manufatti fuori dal

comune per pregio o per fattura: erano i cosiddetti artificialia. A tutti questi reperti si

aggiungevano – al fine di formare quelli che venivano chiamati mirabilia – vasi contenenti

parti del corpo umano, zanne di elefanti, strane rocce o pietre, reperti d’oltre mare (frutti

inconsueti), monete, ritrovati archeologici, libri rari, cammei e sigilli antichi, coralli, pietre

preziose, il supposto “corno del liocorno” e così via. Spesso, sul soffitto, trovavano posto

alligatori essiccati, ossa, tartarughe o grandi conchiglie. Molti reperti delle

Wunderkammers in seguito formeranno la base delle attuali istituzioni museali.

4 Cfr. Superstizione in Voltaire, Dizionario filosofico, trad. it., Einaudi, Torino, 1950, p.

427.

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Da questo momento, ogni riferimento alla magia – e a quanto ad essa si riferisce,

direttamente o indirettamente – è stato recepito dalla scienza ufficiale e accademica (in

ogni suo settore d’interesse) e dall’opinione pubblica o con un risolino di compatimento o

con un netto, sdegnoso, sprezzante rifiuto. Non diversamente, tutti coloro che, a vario

titolo, se ne sono occupati – vuoi come operatori, vuoi come studiosi – sono stati

brutalmente marginalizzati, diffamati e screditati come pseudo-scienziati: se non come

volgari ciarlatani. A meno, ovviamente, di non essere etnologi o antropologi e riferirsi alla

magia e all’atteggiamento magico come a uno stadio primitivo e inferiore dell’umanità:

superato dall’avvento del pensiero scientifico. Sintomatico è l’atteggiamento di uno dei

grandi padri dell’antropologia come Fraser che, in merito, così scrive: «Insomma, la magia

è tanto un falso sistema di leggi naturali quanto una guida fallace della condotta, tanto una

falsa scienza quanto un’arte abortita…. l’idea stessa di scienza manca del tutto nella sua

mente poco sviluppata.»5. E continua, ancora più esplicitamente, sottolineando l’abissale

separazione sussistente, nel primitivo, tra magia e scienza: «È compito del filosofo

rintracciare il processo mentale nascosto sotto la pratica del mago e trovare il bandolo

dell’intricata matassa; estrarre i principi astratti dalle loro applicazioni concrete; insomma

discernere la falsa scienza sotto l’arte bastarda»6.

Ora non è il caso di soffermare l’attenzione sulle superficiali affermazioni del pur

intelligente Frazer. Si possono, al più, liquidare come il frutto scientificamente poco

interessante dell’età illuministico-positivistica e dell’inconcludente delirio di una razionalità

fine a se stessa7. Tuttavia, questi sbrigativi giudizi di Fraser sono stati (e sono) il calco su

cui hanno preso forma pressoché tutte le opinioni sulla magia che si sono susseguite

dall’ottocento sino ai giorni nostri, dando luogo ad un atteggiamento che è riassumibile,

criticamente, nella domanda di Elémire Zolla: «Ma l’etnologo cui l’illuminismo abbia

amputato le facoltà superiori alla vaga sensibilità ed al macchinale raziocinio, che cosa

potrà mai vedere, come saprà giudicare?»8. Senza voler dare una risposta che – aprendo

nuove domande – amplierebbe ulteriormente il campo d’indagine, ci si può limitare a citare

5 J. G. Frazer, Il ramo d’oro, trad. it., Einaudi, Torino, 1950, vol. primo, p. 48. Frazer

pensa, in chiave evolutiva, che l’umanità sia passata attraverso gli stadi della magia,

della religione e infine della scienza.

6 Ivi.

7 Cfr. C. Bonvecchio, Non contro la ragione ma per una ragione diversa in La maschera e

l’uomo, franco Angeli, Milano, 2002, pp. 41-68.

8 E. Zolla, Che cos’è il satanismo in Che cos’è la tradizione, Adelphi, Milano, 1998, p.

237.

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uno studioso del calibro di Propp e il suo, celebre, studio sulle radici storiche dei racconti

di magia . Ebbene, Propp – superando con indubbio coraggio ed intelligenza i ristretti limiti

dell’ortodossia marxista-leninista – riporta i racconti di magia (e quindi, indirettamente la

magia ad una epoca arcaica e non sovrastrutturale9, riducendo, sostanzialmente, il

carattere magico alla ritualità e quest’ultima alla struttura del gruppo sociale di

riferimento10.

In tal modo, la magia verrebbe ad essere niente più che il collante sociologico di una

comunità che non ha ancora la coscienza di se stessa: e, pertanto, non avrebbe senso

alcuna nell’epoca moderna. Sarebbe al più una testimonianza storica della preistoria della

coscienza. Da questo e da altri consimili (se non ben peggiori) giudizi si può trarre la

conclusione che tentare un accostamento tra la magia e la rete sarebbe, scientificamente,

improprio. Configurerebbe una sorta di bizzarria teorica o potrebbe essere liquidato come

un paradosso culturale improntato ad un cerebralismo umoristico: sul modello di Woody

Allen, per intenderci. Forse, però, le cose non stanno proprio in questi termini e la magia

non può essere liquidata né come un prodotto di scarto della coscienza, né come uno

stadio ancestrale dell’umanità e neppure come uno pseudo-sapere regressivo, ma come

una tipologia, particolare, di approccio alla realtà. Il che la rende paragonabile o

assimilabile ad altri approcci. È il caso, allora, di precisare meglio (seppur succintamente) i

caratteri essenziali della magia affinché una sua corretta comprensione ne renda

plausibile (o compatibile) l’accostamento analogico (e provocatorio) con la rete informatica

vista come una sua, possibile, trascrizione moderna.

Una tale necessaria precisazione si potrebbe – a ben vedere – applicare pure alla rete,

anche se nessuno – per la verità e a differenza della magia – ne mette in dubbio i

presupposti scientifici che la fondano, la costituiscono e la regolano. Tuttavia, seppur in un

contesto diverso, essa non è immune da pre-giudizi, da pesanti critiche e da verdetti

apertamente negativi: come la magia. Così, se i misteriosi (per i non addetti ai lavori)

algoritmi che stanno alla base della logica dei computer – da cui ha preso avvio il sistema

internet – godono del massimo rispetto scientifico e vengono identificati come gli assi

portanti della rivoluzione tecnologica che ha cambiato il mondo, non sempre i loro esiti

pratici godono del medesima considerazione. Da molti, infatti, la rete informatica viene

9 V. Ja. Propp, Le radici storiche dei racconti di magia, trad. it., Newton Compton, Roma,

1992, pp. 142-143.

10 Cfr. op. cit., pp. 472-475.

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considerata come il motore nefasto di quella globalizzazzione a sua volta letta come la

quintessenza “dell’impero del male” che domina il mondo e asserve gli uomini11. In questo

caso, il giudizio è sociologico-politico-morale e non scientifico, ma il risultato non

particolarmente differente. Come la magia è soggetta ad una conventio ad escludendum.

Comunque, senza ulteriormente soffermarsi su questo parallelismo nel negativo tra rete e

magia è il caso di confrontare, più direttamente e dall’interno, magia e rete per vedere se è

possibile – come si è ipotizzato – riscontrare una qualche analogia o, quanto meno,

qualche somiglianza12. A tale scopo è opportuno prendere le mosse dalla magia su cui è il

caso di soffermare, maggiormente, l’attenzione sia per il suo carattere “anomalo” (rispetto

alla rete) sia per le scarse (e distorte) conoscenze che la contraddistinguono.

LA MAGIA

Cercare, in qualche modo, di comprendere cosa sia la magia – ovviamente senza cadere

nelle panie di un’antropologia positivista alla Frazer e continuatori – non è cosa facile per

una sua costitutiva ambiguità. Ambiguità che è contenuta nell’etimo stesso della parola

“magia” che deriva dal greco magos (parola di provenienza persiana cui fa riferimento per

la prima volta Eraclito di Efeso13) da cui magheia: per l’appunto magia14. D’altronde,

l’etimo del verbo magheo – accanto al significato di incanto – contempla anche quello,

certamente negativo, di inganno. La magia, insomma, può essere causa tanto di incanto

che di inganno. Inoltre, molti altri autori vedono il magos come una specie di indovino o

sacerdote itinerante15 – che ovviamente può essere anche un volgare imbroglione come

scrive Sofocle nell’Edipo re16 – creando, così, un ponte ideale sia tra magia e

superstizione che tra magia e religione17. Ma anche tra magia e la filosofia, se il magos

dimostra una saggezza superiore e si rivolge positivamente, con le sue pratiche, agli dei

11 Cfr., ad esempio, M. Hardt, T. Negri, Impero: il nuovo ordine della globalizzazione,

Mondolibri, Milano, 2002.

12 Sull’analogia, oltre a C. Bonvecchio, Riflessioni sull’analogia come strumento per una

analisi metafisico-teologica sui fondamenti del ’politico’ in AA. VV:, Metafisica e principio

teologico, Tilgher, Genova, 1990, pp. 153-172, cfr. M. Mirabail, Analogia in Dizionario

dell’esoterismo, trad. it., RED, Como, 1989, pp. 19-26 e più in generale il classico E.

Melandri, La linea e il circolo. Studio logico-filosofico sull’analogia, Il Mulino, Bologna,

1968.

13 L’informazione viene da Clemente Alessandrino, Protrettico, 19.

14 Di maghi e magia ne parlano, tra i primi, nel mondo antico Erodoto in diversi passi,

Senofonte (Ciropedia, VIII, 3, 11) e Platone (Alcibiade primo, 122a).

15 Cfr., ad esempio, Platone, Repubblica, 364 b.

16 Cfr. Sofocle, Edipo re, 387 ss.

17 Nei testi antichi – ad esempio quelli assiro-babilonesi – la mescolanza tra una magia a

carattere apotropaico e la religione è chiarissima.

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superi. In questo caso, le argomentazioni del magos sono molto simili – quanto meno nella

forma lessicale esteriore – alle argomentazioni filosofiche di stampo neo-platonico, fino a

far ipotizzare una stretta unione tra filosofia e teurgia. «Che cosa…» scrive il neoplatonico

Giamblico «impedirebbe a coloro i quali praticano la filosofia teoretica di ottenere l’unione

teurgica con gli dei?»18. Questa ipotetica “stretta unione” tra magia e filosofia si fonda,

però, sul presupposto della forza del simbolo che diventa così – ma lo era già da sempre –

oltre che il punto centrale e nevralgico della filosofia il punto centrale e nevralgico della

magia e, conseguentemente, di ogni operazione magica: «Infatti, senza che noi

interveniamo con il nostro pensiero, i simboli stessi compiono da se stessi la loro opera

propria e la potenza ineffabile degli dei, cui questi simboli appartengono, riconosce le sue

proprie immagini essa stessa da se stessa, non con l’incentivo del nostro pensiero: perché

ciò che contiene non è per natura posto in movimento da ciò che è contenuto, né il

perfetto dall’imperfetto, né l’universale dalle sue parti»19.

Il che sottolinea una ulteriore ambiguità costitutiva della magia che la rende – nel

contempo – assolutamente simile e totalmente estranea a diversi campi ad essa afferenti,

vanificando ogni semplicistico tentativo d’isolarne il significato. Pertanto, se si può

sovrapporre la magia – trovando similitudini e estraneità – alla religione (talora se ne parla

come di una “magia ufficiale”), la si può ugualmente sovrapporre, con gli stessi esiti, anche

ad altre forme spirituali, comportamentali e culturali come la già citata filosofia, la scienza,

la medicina, la politica o il vivere comunitario: come la storia della cultura insegna. Ora,

però, abbandonando il problema dell’ambiguità terminologica e significativa (in generale)

della magia – problema questo che comporterebbe approcci e riflessioni ben più articolati

e complessi – conviene dedicarsi ad isolare, seppur approssimativamente e

superficialmente, alcuni dei caratteri distintivi principali della magia. Saranno questi a

circoscriverne, de facto, il perimetro significativo.

18 Giamblico, I misteri egiziani, Lib. II, 96, 16-19, a cura di A. R. Sodano, Rusconi, Milano,

1984, p. 113. La “teurgia” è un tipo di magia che si rivolge alle forze della natura o alle

potenzi del cielo (cfr. Teurgia in J. Tondriau, Guida all’occultismo, trad. it., Sugar, Milano,

1965, p. 334). Sulla teurgia nel mondo antico, cfr. E. R. Dodds, I Greci e l’irrazionale,

trad. it., La Nuova Italia, Firenze, 1997, pp. 335-369. La teurgia si oppone alla goezia

identificata con forze della terra considerate infernali e quindi sinonimiche di magia nera.

Un tentativo di spiegazione di questa identificazione al negativo di tutto ciò che inerisce

alla terra si trova in C. Bonvecchio, L’illusione dello spirito e la forza della terra in Corpo

spirituale e terra celeste, Quaderni di Mantra, Edizioni Holos, Lugano, 2004, pp. 118-156.

19 Giamblico, I misteri egiziani, Lib. II, 97, 4-11, op. cit., p. 113.

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In primo luogo, la magia, non è automaticamente riducibile alla religione (malgrado la sua

stretta contiguità) in quanto se la religione tenta di convincere – con sacrifici, preghiere o

comportamenti – Dio, gli dei, la natura o entità superiori ad aiutare o soccorrere l’uomo, la

magia cerca invece di costringere, con pratiche particolari, i medesimi a ottemperare alla

volontà degli uomini20. Lo ribadisce, esplicitamente, Filostrato quando scrive: «I

maghi…affermano di poter mutare il corso del destino: gli uni mettendo alla tortura gli

spiriti dell’aldilà, altri ricorrendo a barbari sacrifici, altri ancora con incantesimi e unzioni»21.

In secondo luogo, non è lecito – come di sovente e impropriamente si è verificato –

assimilare la magia alla stregoneria e a tutte quell’insieme di pratiche centrate sul rapporto

con il demonio proprie alla tradizione cristiana. Assimilazione questa che ha comportato

una netta svalutazione delle pratiche magiche, lette sia come forme degradate di

superstizione sia come una sorta di sottoprodotto regressivo del cristianesimo. Su questo

tuttavia non ci si può esimere – data l’importanza dell’argomento – di spendere qualche

parola in più, per comprenderne meglio la portata22. Di primo acchito, appare chiaro che il

demonio della tradizione cristiana – ossia Satana – ben poco ha a che vedere con i

demoni dell’antichità classica che erano considerati – Omero insegna23 – a tutti gli effetti

dei o sinonimi di esseri divini. Sarà con Esiodo che i demoni perderanno la caratteristica

prettamente divina venendo declassati e gerarchizzati in una scala e, quindi, occupando

una posizione intermedia24. Concezione questa che sarà ripresa da Talete di Mileto e dai

pitagorici che li distingueranno in demoni “autentici” o immortali e in demoni mortali,

facendo di questi ultimi gli agenti privilegiati della magia. La conseguente distinzione tra

demoni buoni e malvagi – posta in essere da Empedocle di Agrigento e Democrito di

Abdera – spianerà la strada all’idea che possano esistere demoni malvagi accanto a

20 Va detto, comunque, che tanto per Senofonte (cfr. Ciropedia, VIII, 3, 11) quanto per

Platone (cfr. Alcibiade primo, 122 a) che per Apuleio (cfr. Apologia, XXV, 10), i maghi

erano esperti delle cose divine.

21 Filostrato, Vita di Apollonio di Tiana, V, 12, a cura di D. Del Corno, Adelphi, Milano,

19882, pp. 227-228.

22 Basta considerare un testo sicuramente interessante come Ch. Daxelmüller, Magia.

Storia sociale di una idea, trad. it., Rusconi, Milano, 1997. L’autore, infatti, dopo aver

fornito una definizione assolutamente accettabile di magia – «la magia

occidentale…come sistema di pensiero si appella alle strutture simpatetiche del cosmo.

La stretta unione di macro e microcosmo permette una rete di possibilità di

comunicazione fra l’uomo e gli dei o i demoni, dove il rituale magico rappresenta

un’azione immaginifica e altamente significativa per gli esseri medianici che la compiono»

(op. cit., p. 42) – di fatto la risolve in tutta l’opera nella stregoneria e nella demonologia.

23 Cfr. Omero, Iliade, , 17, 98-101.

24 Cfr. Esiodo, Teogonia, 991.

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demoni che sembrano ancora rimandare alla primitiva equazione demone=dio. Cosa

questa a tutti nota per via del celeberrimo demone socratico che rappresenta una voce

interiore e una superiore istanza etica e non già uno spirito nefasto e distruttivo. Con ciò,

comunque, il demone – come lo definisce Platone che tende a de-divinizzarlo – si situa a

metà tra un uomo mortale ed un essere divino25, anche se la sua natura intermedia lo può

spingere a compiere quelle operazioni che verranno, in seguito, accreditate come

magiche26 e che possono essere sia positive che negative. A partire da Platone e dai suoi

discepoli (come ad esempio Senocrate di Calcedonia), i demoni tendono, di conseguenza,

a perdere l’antico status divino o semi-divino. Cosa questa che apre la strada ad una loro

connotazione in senso negativo – anche se, certo, non solo in senso negativo –

costituendo la possibilità di una magia malvagia. Di conseguenza, il mago “nero”che

evocava o si serviva di demoni cattivi per scopi malvagi (sortilegi, fatture, evocazioni di

morti, inganni o illusioni) incorreva nell’accusa di stregoneria e diventava uno stregone

ossia un gòes (da cui Goezia27) e, come tale, veniva sanzionato e perseguito. Lo si evince

sia dalla giurisprudenza greca che dalle romane Leggi delle XII Tavole o dagli Editti

imperiali emanati in proposito. Il mago che, invece, faceva riferimento – nella gerarchia

demonica – a demoni non malvagi assumeva la antica connotazione di sapiente-filosofo e

la sua “magia naturalis” diventava un modo per conoscere le segrete leggi della natura

(gli arcana mundi) e per farsi guidare alla conoscenza degli dei (magia teurgica). Sarà

questa una componente essenziale del pensiero (magico) di Plotino, di Giamblico e del

neoplatonismo destinata a rimanere come il vero filone della magia occidentale: anzi a

costituirla come tale.

Non si può negare, comunque, che nei confronti della magia – quando non scadeva in

pratiche negromantiche o sanguinarie – il mondo antico mostrasse una benevola

tolleranza, talvolta venata da ironia: come avveniva per le molteplici forme della magia

cosiddetta “privata” (legamenti d’amore e così via). Analogo atteggiamento caratterizzò la

stessa Grande Chiesa che all’inizio fu tollerante in proposito. Lentamente, però, al suo

interno prese piede la convinzione – ecclesiologicamente strategica – che assimilava i

demoni (di cui si serviva la magia) alle antiche divinità pagane, unificandole tutte

nell’avversario specifico di Cristo: il demonio, associato a sua volta all’Anticristo

25 Cfr. Platone, Simposio, 202 e.

26 Cfr. Platone, Fedone, 107 d.

27 Cfr. Eschilo, I Persiani, 687 dove gòes è sinonimo del negromante: l’evocatore dei

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medesimo. È interessante notare come l’identificazione dell’Anticristo con Satana (visto in

varie figure)28 dati all’incirca alla medesima epoca in cui saranno condannati – da

autorevoli autori come Giovanni Crisostomo e Agostino e dal Concilio di Laodicea

(canone 36) – i maghi e la magia29. Da questo momento in poi prevale l’immagine

totalmente negativa del demone che diventa il demonio: il nemico giurato di Cristo che

persegue tutto ciò che per i cristiani rappresenta il ritorno nell’informe, nel caotico, nel

corporeo, nel passionale e nel sessuale cui si aggiungono ancora quegli aspetti malvagi

dei demoni del neo-platonismo.

Va da sé che Satana – da allora – assumerà i connotati di un essere antropomorfo orrido,

selvaggio e spregevole dedito a riti nefandi e sanguinari presieduti da stregoni a cui

vengono assimilati in tutto e per tutto i maghi. L’equazione

magia=stregoneria=satanismo30 troverà, quindi, il suo massimo sviluppo a partire

dall’arroccamento della Grande Chiesa su posizioni sempre più burocratico-istituzionali e

di difesa dogmatica. In tali posizioni, la lotta contro il mago-stregone diventa la lotta di

Cristo contro tutti coloro che non si conformano alle volontà e alle leggi della Chiesa. Non

meraviglia che il fenomeno raggiunga il suo momento di massimo sviluppo con

l’accelerazione del fenomeno secolarizzante attuatosi con la Riforma e con lo sviluppo,

progressivo, di una sensibilità laica che, lentamente, metterà in discussione i presupposti

fondamentali della stessa religione cristiana. In questo caso, la lotta della Chiesa contro la

stregoneria, accomunata con ogni forma di magia, coincide con una difesa estrema dei

propri confini. A sua volta, l’adesione di molti alla magia – nella forma del satanismo, allora

come oggi – può essere letta come il tentativo estremo (e velleitario) di rispondere alla

secolarizzazione, ricercando la presenza di Dio in quella di Satana.

In terzo luogo, conviene focalizzare, sinteticamente, i due nuclei specifici e fondamentali

che della magia sono le strutture portanti: indipendentemente dalle ipotetiche ma

improbabili contiguità (o sovrapposizioni) con la religione o con la stregoneria. Tali nuclei

sono reperibili sia nel principio di simpatia cosmica che nella centralità del simbolo. Per ciò

morti.

28 Cfr. G. L. Potestà e M. Rizzi, Introduzione generale a L’Anticristo – Volume I – Il

Nemico dei Tempi Finali, a cura di G. L. Potestà e M. Rizzi, Fondazione Valla –

Mondadori, Milano, 2005, pp. IX-XXXVIII.

29 Cfr. G. Luck, Introduzione a Arcana Mundi – Volume I – Magia, Miracoli, Demonologia,

a cura di G. Luck, Fondazione Valla – Mondadori, Milano, 1997, p. XXXIV.

30 Un esempio, attuale, di questo atteggiamente si può trovare in un libro per altro

intelligente e documentato come A. Introvigne, Il cappello del mago. I nuovi movimenti

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che attiene la simpatia cosmica – termine questo per cui siamo debitori a Posidonio Rodio

– ciò che balza all’attenzione è il principio per cui ogni cosa è strettamente dipendente

dalle altre: ovunque esse si trovino31. Significa affermare la reciproca influenza di ogni

accadimento sugli altri e, quindi, la possibilità di condizionamenti reciproci sulla base della

similitudine e della analogia. È ciò che viene esposto, con chiarezza adamantina, nella

Tabula Smaragdina attribuita alla sapienza di Ermete Trismegisto in cui è scritto: « Ciò che

è in basso è come ciò che è in alto e ciò che è in alto è come ciò che è in basso, per

compiere i miracoli della realtà che è una»32. Naturalmente, se ciò comporta una continua

ed incessante dinamica di forze ed energie insita in oggetti, persone, nomi e formule33,

rimanda anche ad un rapporto di sincronia esistente tra eventi non tra loro collegabili in un

nesso causale: come hanno rilevato, con approcci tra loro differenti, autori come Jung e

Pauli34.

Per ciò che invece attiene il simbolo, la magia si fonda sul presupposto che questo non è

un semplice segno che rispecchia la realtà sensibile, ma qualcosa di più importante e

incisivo. Nel simbolo, infatti, aspetto intrinseco ed estrinseco, materiale e spirituale,

significante e significato, parte e tutto si compongono in una inscindibile unità: in una

complexio o coincidentia oppositorum altamente indicativa35. In tale complexio, il sostrato

materiale (il contenuto) si unisce alla forma, rendendo concreto e visibile il simbolo. Anzi,

costituendolo come il veicolo espressivo ed intuitivo di qualcosa che non soltanto non

è visibile, ma anche non è riducibile all’oggetto simboleggiato. Lo costituisce come il

veicolo espressivo della totalità, facendone: «una modalità autonoma di conoscenza»36.

Comunica, insomma, qualcosa di più elevato e di assolutamente più profondo rispetto alla

presenza materiale dell’oggetto, comunemente colto come “segno”. Il che rivela ad un

magici, dallo spiritismo al satanismo, Sugarco, Milano, 1990.

31 Tale principio che è alla base della magia simpatetica non è particolarmente differente

da quella che viene chiamata la magia induttiva e che si fonda sulla possibilità che un

dato accadimento ne induca un altro analogo.

32 Tabula Smaragdina in C. Cristiani – M. Pereira, L’arte del sole e della luna. Alchimia e

filosofia nel medioevo, Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, Spoleto, 1996, p. 116.

33 È interessante notare come tutto questo ricordi, da vicino, la stessa dinamica che

consente l’esistenza della rete informatica.

34 Cfr. C. G. Jung, La sincronicità come principio di nessi acausali in Opere, vol. ottavo,

trad. it., Bollati Boringhieri, Torino, 1994, pp. 447-550 e W. Pauli, Psiche e natura, trad.

it., Adelphi, Milano, 2006.

35 Sulla complexio o coincidentia oppositorum, cfr. C. G. Jung, Misterium coniunctionis in

Opere, vol. 14, trad. it., Bollati Boringhieri, Torino, 1991, passim.

36 M. Eliade, Premessa a Immagini e simboli. Saggi sul simbolismo magico-religioso,

trad. it., Milano, Jaca Book, 1984, p. 13. Sul simbolo e sulla sua rilevanza, cfr. G.

M.Chiodi, Propedeutica alla simbolica politica I, Franco Angeli, Milano, 2006.

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osservatore attento connotati specifici che vanno ben oltre il suo significato

convenzionale37. Il simbolo di conseguenza – il cui etimo greco è sum-ballo, che significa

metto insieme, paragono e confronto – unisce due mondi: quello terreno e quello

supramondano. È allora facilmente comprensibile come il simbolo possa essere la chiave

di volta (e la condizione) di ogni intervento magico, in quanto quest’ultimo si realizza

tramite forme simboliche e tramite la loro potenza rappresentativa.

Questi due nuclei significativi del pensiero magico saranno ripresi dalla magia

rinascimentale che – prendendo nettamente le distanze da ogni forma di stregoneria – si

ricollegherà alla tradizione platonica e neo-platonica della magia naturale pensando il

mago come un saggio e un filosofo. Così, rifacendosi al pensiero del “mago”

rinascimentale Cornelio Agrippa di Nettesheim – che ne è uno dei più lucidi teorizzatori –

si può definire la magia come un processo per il cui tramite è possibile com-prendere

simpateticamente il mondo inverandone e trasformandone, tramite simboli, le leggi. Il che

è possibile grazie ad operazioni che – esulando dal modo in cui agiscono le scienze

sperimentali – si servono di corrispondenze ed analogie non sottomesse né alla causalità

né al principio di non contraddizione. «La magia naturale» scrive Agrippa «non è altro che

una somma potenza delle scienze naturali…Avendo cioè contemplato le forze di tutte le

cose naturali, e considerato diligentemente il loro ordine, essa rende palesi le segrete

potenze della natura, accoppia le cose inferiori con le superiori, di maniera che ne

derivano stupendi miracoli»38.

La magia – per Agrippa – riposa, dunque, sulla convinzione che esista e si dia una rete

d’interconnessioni fondate sul principio di simpatia e sincronicità che stringe il mondo e

che consente di agire, simbolicamente, sulla realtà a colui che è in grado di introdurvisi e

di parteciparvi39. In questo senso, le operazioni magiche sfuggono al tempo, alla durata,

alle leggi della materia e allo spazio entrando e collegandosi con una “dimensione altra”.

Essa come ribadisce Giovanbattista Della Porta – altro grande medico, mago e filosofo

rinascimentale – «non si può ridurre a ragione né probabile né dimostrativa»40 e pertanto

37 C. G. Jung, Introduzione all’inconscio in L’uomo e i suoi simboli, trad. it., Longanesi,

Milano, 1980, p. 5.

38 Enrico Cornelio Agrippa di Nettesheim, De incertitudine et vanitate scientiarum in

Agrippa, Cardano, Della Porta, Paracelso, Lo specchio della magia. Trattati magici del

XVI secolo, a cura di R. Astori, Mimesis, Milano, 1999, p. 41.

39 Cfr. J. Servier, La magie, PUF, Paris, 1993, pp. 33-34.

40 Giovanbattista Della Porta, Magia Naturalis in Agrippa, Cardano, Della Porta,

Paracelso, Lo specchio della magia. Trattati magici del XVI secolo, op. cit., p. 95.

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in essa operano forze diverse. Sono quelle che, tramite le immagini evocate

simbolicamente dal mago, possono agire positivamente, per virtus compensativa, su

qualcosa di negativo che le riguarda o viceversa41. Naturalmente, tutto questo avviene

nella convinzione, o nella presunzione, di accostarsi alle forze e entità invisibili che

costituiscono i gangli di queste reti, dominandole e utilizzandole.

Perciò, quando Agrippa nel suo De occulta philosophia afferma: «Non c’è dunque altra

causa delle necessità degli effetti all’infuori della connessione di tutte le cose con la Causa

prima e della corrispondenza con i divini esemplari e le idee eterne»42 pone nel principio,

gerarchico, di connessione e di corrispondenza43 il tramite con cui intervenire sulle cose.

L’intervento del mago su questa catena di connessioni che va dalle immagini archetipiche

alla materia creata consente mutamenti che coinvolgono la materia stessa. È quello che

indica Filippo Aureolo Teofrasto Paracelso quando insegna – in un mixage di magia,

alchimia e chimica moderna – a estrarre la quintessenza di un corpo44 o Gerolamo

Cardano, anch’esso mago e scienziato, quando si serve del sogno per le sue anamnesi

mediche45.

Prende corpo, insomma – per ciò che attiene la magia – una sorta di “tecnica

dell’Invisibile” come la definirebbe Servier46 cui è sotteso un profondo desiderio di

conoscere e di appropriarsi del mondo47. Naturalmente, per gli scienziati odierni questa

visione del mondo è inaccettabile ed improponibile in quanto – non essendo in ciò

proclamata l’assoluta superiorità della ragione – automaticamente vi dominano

41 Ad esempio, l’immagine benigna di un serpente incisa su di un anello può essere utile

contro il morso di un serpente velenoso (cfr. op. cit., p. 100).

42 Enrico Cornelio Agrippa di Nettesheim, De occulta philosophia in Agrippa, Cardano,

Della Porta, Paracelso, Lo specchio della magia. Trattati magici del XVI secolo, op. cit., p.

49.

43 Poco prima, Agrippa aveva delineato questa gerarchia scrivendo: «Quindi ogni virtù

delle erbe, delle pietre, dei metalli e di tutte le altre cose proviene in primo luogo dagli

Dei, poi dalle intelligenze che presiedono ai cieli, poi dai cieli che dispongono la materia,

poi dalla disposizione degli elementi secondo gli influssi dei cieli. Pertanto tali virtù

occulte hanno la loro ragione immediatamente nelle cose inferiori attraverso le cose

espresse, poi nei cieli per mezzo delle loro disposizioni, poi nelle intelligenze operanti

secondo l’archetipo delle forme esemplari» (op. cit., p. 49).

44 Filippo Aureolo Teofrasto Paracelo, Archidoxes in Agrippa, Cardano, Della Porta,

Paracelso, Lo specchio della magia. Trattati magici del XVI secolo, op. cit., p. 61.

45 Cfr. Gerolamo Cardano, Autobiografia, a cura di P. Franchetti, Einaudi, Torino, 1945, p.

98 ss.

46 J. Servier, La magie, op. cit., p. 31.

47 Sintomatica in proposito – con tutto il suo carico di ambiguità e contraddizioni – è

l’esperienza di Cardano (cfr. C. Bonvecchio, Il teatro delle immagini e la magia di

Gerolamo Cardano in Gerolamo Cardano e il suo tempo – Atti del Convegno, Edizioni

Cardano, Pavia, 2003, pp. 35-53).

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l’irrazionalità, la superstizione e l’allucinazione. E dove ogni evento – non essendo

ripetibile nelle medesime condizioni spazio temporali – non può essere considerato un

evento degno di attenzione “scientifica”. Questo però non significa che questo mondo non

accada: si tratta infatti di «un monde invisibile ayant ses lois propres»48. Semplicemente

non accade all’interno di un quadro scientificamente determinato secondo parametri a tal

punto strettamente razion