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Stalin’s folly. L'operazione Barbarossa e il dittatore silenzioso

di Silvia G. Sequi - 07/06/2007

A nulla valsero i ripetuti moniti delle spie in territorio tedesco e le preoccupazioni dei generali dell’esercito russo: Stalin era convinto che si trattasse di una provocazione tedesca, e non intendeva far coinvolgere nella guerra il Paese, ancora impreparato per un conflitto su ampia scala. Mentre l’esercito di Hitler proseguiva con il raggruppamento delle truppe al fronte, Stalin si rifiutava di allertare l’Armata Rossa, permettendo addirittura ai velivoli tedeschi di violare i cieli russi in aree di delicata importanza.
Il vozd era sì pronto alla guerra contro la Germania, ma era convinto che solo dopo l’eventuale caduta dell’Inghilterra, il Führer avrebbe rivolto le sue mire espansionistiche e voraci verso l’Unione Sovietica, tra la tarda primavera e l’inizio dell’estate del 1942, al fine di terminare la campagna prima dell’arrivo dell’inverno.
Per quella data il piano di Stalin, un attacco preventivo contro i tedeschi che avrebbe consentito all’Unione Sovietica di ottenere porzioni dell’Europa orientale da annettere all’«impero rosso», sarebbe stato pronto. Ma soprattutto il vozd viveva nella convinzione che il Reich tedesco non avrebbe commesso l’imprudenza di aprire un secondo fronte, come fatalmente fece nel 1914.
Ma il calcolo logico e temporale di Stalin si rivelò un errore strategico: Hitler scatenò il suo attacco inatteso, all’alba del 22 Giugno 1941, dando così inizio alla fulminante Operazione Barbarossa.
Le incoerenze di Stalin perduravano da un anno, l’Armata Rossa e il popolo erano fortemente vulnerabili, e si ritrovarono così imprigionati in un limbo strategico: attaccare la feroce penetrazione tedesca o ritirarsi in difensiva.
I segreti dei fatidici primi dieci giorni della violenta invasione sono emersi dagli archivi ex - sovietici, e sono stati minuziosamente ricostruiti da Kostantin Pleshakov, in un saggio recentemente tradotto in italiano.
Mentre le forze congiunte della Wehrmacht e della Lufwaffe devastavano il fronte occidentale, penetrando per 550 chilometri nel suolo sovietico, Stalin, invece di arginare l’assalto e proporre un compromesso diplomatico, si rinchiuse in un lungo silenzio, e in un’inerzia destabilizzante ed inspiegabile per l’intera nazione.
Ma bastò che si rivolgesse al suo popolo perché il suo potere riconquistasse prestigio, dopo la privazione della sconfitta iniziale. “Compagni! Fratelli e sorelle!”, così parlò ai suoi concittadini riconoscendo le sventure, e promettendo una lotta patriottica comune.
L’umiliazione e la sofferenza subite, unite alla rabbia e alla voglia di riscatto, resero il popolo e le truppe russe determinate nella controffensiva.
Con lentezza, l’URSS cominciò a dare segni di ripresa: l’Armata rossa riuscì infatti, alla fine del ‘41, a contenere i panzer tedeschi, e a bloccare le truppe alle porte di Mosca. Questo evento rappresentò il primo vero smacco di Hitler, e il primo reale successo di Stalin: la guerra lampo si trasformò in guerra d’usura che le truppe hitleriane mal sopportarono.
Le modalità brutali dei tedeschi nei confronti dei prigionieri russi non consentirono ai nazisti di approfittare dei crescenti sentimenti anticomunisti, antistaliniani ed indipendentisti (numerosi ucraini, lettoni, lituani ed estoni aspiravano infatti all’indipendenza delle loro nazioni). Commisero quindi l’errore di non riuscire ad assecondare la collaborazione con i cittadini sovietici per sconfiggere Stalin.
Il sopraggiungere della stagione del fango e del rigido inverno favorirono l’esercito del dittatore russo, così come la grandezza dell’Unione Sovietica: l’URSS, infatti, non sarebbe scomparsa come nazione neanche se avesse perso vaste porzioni di territorio.
Inoltre il patto di neutralità con il Giappone, che decise di non attaccare l’Unione Sovietica, garantì la sicurezza per il confine orientale di Stalin, permettendo al vozd di concentrare tutte le sue forze sull’Europa.
Dopo l’iniziale smarrimento, Stalin affrontò la direzione delle operazioni militari dimostrando un’inaspettata elasticità: concesse una maggiore libertà di iniziativa e di azione ai comandanti, limitò il potere dei commissari nelle unità militari e alleggerì i toni dell’ideologia comunista al fine di lasciar sfogare al suo popolo i sentimenti nazionalistici. Ma non rinunciò all’arma del Terrore: nella seconda metà del 1941, riferisce Pleshakov, furono processate “ben 1.339.702 persone, di cui il 67,4% fu spedito nei gulag”.
L’anno seguente, nell’autunno del ’42, si consumò la grandiosa battaglia di Stalingrado, e la vittoria sovietica rappresentò il punto di svolta del conflitto: l’esercito tedesco cominciò a perdere terreno, e nell’Aprile del 1945 le armate russe entravano a Berlino.
Per la seconda volta la guerra su due fronti risultò fatale per la Germania: ecco perché Stalin, mentre si preparava ad attaccarla, e si convinceva della bontà del patto di non aggressione tedesco-sovietico (il Patto Molotov – Ribbentrop, firmato nel ’39) aveva torto e ragione al contempo.
Il silenzio di Stalin
(titolo originario “Stalin’s folly”)
I primi dieci tragici giorni dell’Operazione Barbarossa
Kostantin Pleshakov
Corbaccio, 24,00 Euro.