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Il libro della settimana: Bernhard Bueb, Elogio della disciplina

di Carlo Gambescia - 07/06/2007

Il libro della settimana: Bernhard Bueb, Elogio della disciplina, Rizzoli, 2007, pp. 155, euro 12,50

Nell’ articolo su don Milani, apparso sul Corriere della Sera (22-5-2007), Giovanni Belardelli, ritiene “fuori luogo” che si continui a considerare Lettera a una professoressa, “ libro di quarant’anni fa come fosse portatore di una positiva, e ancora attuale, rivoluzione pedagogica”. Tuttavia Belardelli non nasconde la sua ammirazione per la dedizione assoluta dell’insegnante don Milani verso suoi ragazzi.
Quel che stupisce, è che il neomeritocratico Berladelli, scriva ancora su un giornale, come il Corriere della Sera che naviga tra la cultura del divertentismo più volgare, propinata nelle pagine interne, e quella meritocratica, che nobilita solo la prima pagina, grazie alle acuminate penne dei suoi togati editorialisti. Ma questa è un’altra storia.
Qui, il problema non è il presunto “populismo” pedagogico di Don Milani, che ben faceva a criticare la scuola dell’epoca, dove professori “lombrosiani” (non tutti fortunatamente), bollavano come cretino irrecuperabile, chiunque fosse figlio di operai e si distraesse a lezione… Ma l’uso che ne ha fatto certa cultura sessantottina antiautoritaria per partito preso. Che ha confusamente mescolato Marcuse e Don Milani, snaturando il pensiero di quest’ultimo. Il quale, come riconosce anche Belardelli, credeva in “una scuola in cui appariva centrale la figura del maestro, che … puntava a lasciare sugli alunni una impronta indelebile”.
Un approccio, perciò molto distante dalle varie pedagogie permissive, che negli ultimi quarant’anni, hanno demolito qualsiasi principio, non tanto di autorità, quanto di autorevolezza, all’interno della nostra società: a scuola e in famiglia. Un’autorevolezza - attenzione - che nasce dalla naturale "distanza" che deve esservi tra padri e figli, tra docenti e discenti: distanza che non può essere eccessiva ma nemmeno inesistente, come invece accade oggi. Ora, se questa “distanza” sociologicamente necessaria, è venuta meno, la responsabilità principale è di certa pedagogia superficiale, che da quarant’anni raccomanda a genitori e insegnanti di comportarsi con figli e studenti da “amici” e non da padri, madri e docenti. “Dimenticando” che tra amici, di solito non vi è distanza: l’amicizia è sempre tra eguali… E dove non c’è distanza, come differenziazione qualitativa dei ruoli (da una parte c'è colui che insegna e dall’altra chi apprende), non c'è neppure autorevolezza. Certo, esiste anche il pericolo contrario: spesso l’autorevolezza rischia trasformasi in autoritarismo, e di conseguenza le gerarchie tra chi insegna e impara, invece che provvisorie possono divenire stabili e coercitive.
Il vero punto, allora, è trovare il giusto equilibrio: la giusta distanza tra padri e figli, come tra insegnanti e studenti. Sotto questo ultimo aspetto sembra che si stia levando un vento nuovo. In particolare dalla Germania. Dove sembra crescere, da parte dei pedagogisti ma anche delle famiglie, la richiesta di un’educazione più seria, segnata appunto dall’ autorevolezza, a casa e scuola. Una buona testimonianza in argomento è rappresentata dal libro di Bernhard Bueb, Elogio della disciplina (Rizzoli 2007, pp. 155, euro 12,50). L’autore, nato nel 1938, oltre ad essere studioso di filosofia e teologia, è stato preside dal 1974 al 2005, dell’ importante collegio privato tedesco di Salem. E non è assolutamente un fanatico della disciplina. Il suo testo, al contempo, è un grido di allarme e una guida intelligente all’ armoniosa formazione di giovani responsabili. Dove la disciplina è mezzo, e non fine, per raggiungere migliori risultati scolastici, sociali e professionali.
Scrive Bueb: “Vivremo un rapporto equilibrato con la disciplina e l’obbedienza solo quando riconosceremo senza riserve il dislivello di potere tra genitori, educatori e insegnanti da un lato e bambini e ragazzi dall’altro. La possibilità che di quel potere si abusi non può agire da deterrente. Dobbiamo impegnarci a riconoscere come autorità il potere legittimo: il potere di Dio, il potere dello stato, il potere di chi è preposto all’educazione” .
Sono parole piuttosto forti, soprattutto per chi sia abituato, a diffidare sistematicamente di qualsiasi forma di potere, come chi scrive. Tuttavia, come sottolinea Bueb, senza la “distanza” e il “riconoscimento” di un potere, ovviamente fondato sullo stato di diritto e il riconoscimento della democrazia, non è possibile puntare sull’accettazione spontanea della disciplina. Soltanto “ quando avremo riconquistato la nostra purezza nel rapporto con il potere potremo anche parlare con naturalezza di disciplina ed obbedienza. Per riconquistare una tale purezza tuttavia non basta riconoscere a livello razionale che il potere in una collettività è indispensabile ed è pur sempre un male necessario: dobbiamo appropriarcene a livello emotivo come di un concetto positivo, cosa che per esempio si può manifestare riconoscendo apertamente il piacere che esso offre, senza guardare con sospetto qualcuno solo a causa del potere che detiene” .
Ora, due brevi riflessioni finali.
Sul piano filosofico la sfida è impegnativa. Perché Bueb, invita a superare i luoghi comuni di oggi. Che alcuni storici fanno risalire alla “Scuola del sospetto”, che informalmente ruotava intorno a Marx, Nietzsche e Freud. Tre “profeti” che per alcuni scorgevano dietro ogni comportamento un “retropensiero”, volto a celare lo sfruttamento dell’altro, in termini di rapporti di classe, religiosi, e sessuali. Si tratta, in pratica, dello stesso mix ideologico che ha distinto il Sessantotto e, quel che è peggio, in forma banalizzata, il Post-Sessantotto. Ferma restando, ovviamente, la perspicacia filosofica, soprattutto di Marx e Nietzsche (mentre sul Freud “filosofo”, chi scrive, avanza qualche riserva…. Ma questa è un’altra storia…).
Sul piano concreto Bueb, offre invece utili indicazioni, su come comportarsi nelle varie circostanze, a casa e scuola, per favorire l’ introduzione della “disciplina come terapia” sociale e quale mezzo per praticare una vita ordinata. Secondo Bueb, quel che conta nel buon educatore (padri, madri e insegnanti) è lo spirito di dedizione verso i ragazzi. Che deve essere assoluto.
Sì, assoluto, proprio come nel nostro don Milani.