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G8 e clima, dobbiamo ringraziare Angela Merkel?

di Marinella Correggia - 07/06/2007

 

 

Il Time, riferendosi alle discussioni sul clima in corso al G8, ha scritto: «Nessuno si può aspettare molto da questo mercato di parole dei compiacenti stati ricchi». È dello stesso parere il sociologo filippino Walden Bello, direttore dell'organizzazione thailandese Focus on the Global South e attivista nei movimenti altermondialisti. Bello, ovviamente, concorda con il fatto che rispetto a Bush chiunque è meglio; ma forse non è il caso di correre a ringraziare la presidenza tedesca dell'Ue. Angela Merkel vuole che i paesi ricchi, nell'ambito della cornice Onu, si impegnino a limitare a due gradi il riscaldamento climatico, con un taglio del 50 per cento delle emissioni di gas serra entro il 2050 rispetto ai livelli del 1990 e un aumento dell'efficienza energetica del 50 per cento entro il 2020. Walden Bello avverte: dimezzare fra 43 anni è «troppo poco e troppo tardi» il minimo che ci si deve aspettare dai paesi ricchi - che hanno sulla coscienza secoli di emissioni - è un taglio dell'80 per cento, e in fretta.
Invece la bozza della presidenza tedesca mostra che di più non si potrà offrire, perché il principio guida del documento è «disaccoppiare la crescita economica dall'uso dell'energia». La crescita economica rimane sacrosanta e centrale, e nessun taglio si prevede nei livelli di produzione e consumo. Ad esempio la dichiarazione accetta che il numero di autoveicoli raddoppierà, arrivando a 1,2 miliardi nel 2020, e propone l'aumento delle alternative non fossili come gli agrocarburanti e l'idrogeno. Il direttore di Focus sottolinea il fatto che, semplicemente, non è possibile mantenere una «economia competitiva e in crescita» e al tempo stesso ridurre le emissioni di quanto sarebbe necessario.
La strategia della bozza di dichiarazione G8 per quanto riguarda il clima consta di tre elementi. Primo, un aumento dell'efficienza: più prodotto per unità di energia. Secondo, la diversificazione delle fonti energetiche, e lì dopo l'obbligatorio tributino al solare e all'eolico, non si trascura il nucleare, il cui uso pacifico si chiede ai G8 di avallare e finanziare. Del resto il 5 giugno, giornata mondiale dell'ambiente, organizzazioni ambientaliste di 15 paesi europei hanno protestato contro Bnp Paribas (Bnl in Italia), quinto gruppo bancario europeo, che intende finanziare la costruzione dell´impianto nucleare di Belene, in Bulgaria. Terzo, l'innovazione tecnologica: accelerare la messa a punto di ricette futuribili, «intensificando la ricerca e la cooperazione sulle diverse tecniche di cattura e stoccaggio del carbonio». Bello sottolinea che il documento rivela «un'ossessione tecnocratica: carbone pulito, cattura del carbonio, eolico offshore, agrocarburanti di seconda generazione, idrogeno. Ma James Lovelock, di Gaia, se sbaglia a riproporre il nucleare, ha ragione nel sostenere che occorreranno fino a 40 anni per sviluppare queste tecnologie: a quel punto sarà troppo tardi».
Un'altra prova della contraddizione flagrante delle politiche europee è stata ancora una volta denunciata dall'osservatorio Bankwatch (www.bankwatch.org) sulle politiche di investimento dell'europea Bei, la più grande banca pubblica del mondo. L'osservatorio e Friends of the Earth Europe spiegano: «I quattro paesi che negli ultimi 15 anni hanno ricevuto i maggiori sussidi europei pro capite - Spagna, Portogallo, Grecia, Irlanda - hanno anche avuto la crescita più veloce delle emissioni di gas serra.
Il che significa che i fondi dell'Ue hanno finanziato un tipo di sviluppo energy-intensive e il pericolo è che si ripeta lo stesso nell'Europa dell'Est e Centrale fra il 2007 e il 2013. I finanziamenti pubblici potrebbero giocare un ruolo importante nella lotta contro i cambiamenti climatici, ma solo se concentrati sistematicamente sull'efficienza energetica, sulle energie rinnovabili e sui trasporti più ecocompatibili. Il che non sta avvenendo».