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Accerchiati e umiliati. Tra Mosca e l'Occidente la provocazione militare degli Stati Uniti

di Martin Jacques - 07/06/2007

La causa delle attuali tensioni tra Mosca e l'Occidente è la provocazione militare degli Stati Uniti e della NATO



Coloro che stanno sperimentando una sensazione di déjà vu di fronte al deteriorarsi delle relazioni tra la Russia e l'Occidente vanno perdonati. Però qui non si tratta di un semplice ritorno alla guerra fredda. La Russia è molto più debole perfino della superpotenza atrofizzata dei tardi anni Ottanta. La sua popolazione è stata più che dimezzata, il suo prodotto interno lordo ridotto della metà, e la qualità della vita è diminuita. Semplicemente, non ha la capacità di essere quello che era in passato.
Dopo il crollo dell'Unione Sovietica c'è stato un breve interregno durante il quale i rapporti tra l'Occidente e la Russia andavano bene. La ragione era che la Russia era un paese in ginocchio e Boris El'cin era pronto a fare il gioco dell'Occidente abbracciando, almeno a parole, la democrazia di modello occidentale e il libero mercato. In realtà, naturalmente, la salute della nuova democrazia russa sotto El'cin non era migliore di quanto lo sia stata sotto Putin. Anzi, il libero mercato di El'cin significò svendere le ricchezze del paese, soprattutto il petrolio e il gas, agli oligarchi in cambio del loro appoggio elettorale. Sotto molti punti di vista El'cin fu un presidente disastroso. Certo, nell'elaborare una strategia economica che possa salvare il paese dalla deriva, Putin ha dimostrato una stoffa completamente diversa. Ristabilendo il controllo dello stato sulle riserve di petrolio e di gas del paese, si è giustamente ispirato più al modello asiatico che al neoliberismo angloamericano.
Il punto di partenza per comprendere il deteriorarsi delle relazioni tra gli Stati Uniti e la Russia sta a Washington, più che a Mosca. Dopo il 1989 la Russia era un paese sconfitto. Nonostante le belle parole e alcuni gesti limitati, gli americani l'hanno trattata come tale. La loro politica è stata una politica di accerchiamento. In seguito alla fine della guerra fredda si è discusso molto sull'utilità della NATO. Fu allora reinventata come mezzo per ridurre l'influenza della Russia ai suoi confini occidentali e per cercare di isolarla. I suoi precedenti stati satellite europei furono fatti entrare nella NATO, così come gli stati baltici. La Russia si trova ora accerchiata a ovest, e nell'Asia centrale a sud. Non c'è dunque da stupirsi che la Russia non sia felice di questi sviluppi. Non solo vengono calpestate le sue ragionevoli preoccupazioni in termini di sicurezza, ma si sente anche umiliata.
La proposta degli Stati Uniti di collocare il proprio scudo di difesa anti-missile in territorio ceco e polacco può solo gettare sale sulla ferita. Ma c'è davvero qualcuno che crede seriamente che lo scopo dello scudo missilistico sia, come dicono gli americani, quello di resistere a un attacco nucleare dall'Iran o addirittura dalla Corea del Nord? I russi credono giustamente che il sistema sia soprattutto diretto contro di loro, per isolarli ulteriormente. Putin ha reagito testando un nuovo missile a lunga gittata e ha suggerito che l'Europa potrebbe ridiventare il bersaglio delle armi nucleari russe. C'è una bella differenza rispetto al clima della metà degli anni Novanta: ora siamo sull'orlo di una nuova corsa agli armamenti.
In questo contesto è ora di vedere la strategia degli Stati Uniti, e perfino la guerra fredda, in una nuova luce. La guerra fredda è stata presentata come una lotta tra il capitalismo e il comunismo, eppure, con il comunismo ormai sepolto, una Russia indiscutibilmente capitalista viene demonizzata come il nuovo nemico. Non voglio dire che la Russia di Putin sia un luogo particolarmente attraente, però è tutt'altro che impresentabile. Inoltre, dall'11 settembre gli Stati Uniti hanno assunto nuove pose nazionaliste e si sono posti come una superpotenza espansionista che mira a estendere la propria influenza globale e a creare un nuovo impero con mezzi unilaterali. Ricordiamo che il progetto dello scudo missilistico è un'iniziativa degli Stati Uniti, non euro-americana. C'è un ovvio nesso tra la politica di Bush nel Medio Oriente e il suo atteggiamento verso la Russia, e cioè le ambizioni globali dell'amministrazione statunitense dopo il crollo del suo unico avversario.
Questo non significa negare che la Russia costituisce una minaccia potenziale per l'Europa, soprattutto in termini di forniture energetiche, o che le sua cultura politica è incline a una mentalità arbitraria e autoritaria. Ma la Russia non cambierà, e noi dobbiamo trovare un modus vivendi che rispetti la sua identità e riconosca i suoi interessi legittimi. Il rischio dell'atteggiamento statunitense, e di un clima da guerra fredda in Europa, è che la Russia venga messa con le spalle al muro. Le conseguenze sono già visibili. Non appena la Russia si è sentita un po' più forte, soprattutto grazie all'aumento del prezzo del petrolio e del gas, è diventata più assertiva. Ma in termini globali resta debole e fondamentalmente incapace di aspirare nuovamente allo status di superpotenza. Michail Gorbačëv ha indubbiamente ragione a puntare il dito contro Washington.

Martin Jacques è visiting research fellow all'Asia research centre, London School of Economics

Traduzione a cura di Manuela Vittorelli

Originale: The Guardian