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Sulle imprese piovono soldi (pubblici...)

di Emiliano Fittipaldi e Maurizio Maggi - 08/06/2007

 
Cinque miliardi di euro l'anno. E' il denaro che lo Stato dà a fondo perduto agli industriali privati e finanziano un'azienda su quattro, dalle piccole fino a Fiat ed Eni. Sono soldi che spesso vengono letteralmente buttati via o ottenuti illegalmente. Il tutto a spese dei contribuenti

Pochi sanno che per il progetto di ricerca sugli spaghetti della Barilla i contribuenti italiani hanno pagato circa 8 milioni di euro, e che lo Stato ha sborsato 10 milioni per un nuovo stabilimento pastaio di Foggia, rendendosi disponibile a finanziare anche l'arrivo dei sughi pronti sui banconi dei supermercati di mezzo mondo. Secondo i tecnici del ministero dello Sviluppo economico, che hanno preparato una relazione al Cipe sul funzionamento dei contratti di programma, alla fine il gruppo alimentare di Parma ha preso oltre 78 milioni di euro per una serie di investimenti al Sud.

Molto meno dei 172 milioni finiti nelle casse della STMicroelectronics (al tempo Sgs-Thompson), l'azienda inventata da Pasquale Pistorio, leader mondiale dei semiconduttori e simbolo del miracolo tecnologico siciliano, che ha chiesto e ottenuto agevolazioni per potenziare la sede di Catania e le linee di produzione. E se, come documentato giorni fa da 'la Repubblica', la Saras dei petrolieri Moratti ha spuntato agevolazioni per 200 milioni per ammodernare una raffineria in Sardegna, un altro contratto ha regalato agli americani della Texas Instruments ben 422 milioni, per mettere in piedi tre stabilimenti ad Avezzano, Aversa e Cittaducale, poi rivenduti ad altre società straniere. In pratica il 55 per cento dei costi dell'intero progetto è stato finanziato con denaro pubblico, e ogni nuovo occupato (1.150 in tutto) è costato allo Stato italiano la bellezza di 370 mila euro. STM ha fatto il record (550 mila euro per ogni nuovo posto di lavoro), mentre è andata malissimo ai lavoratori della Getrag, multinazionale tedesca che per venire a Modugno, in provincia di Bari, ha partecipato ai bandi della 488 e incassato quasi 100 milioni di euro. Il contratto non è stato ancora chiuso, ma il sogno degli operai di un lavoro sicuro sembra già tramontato: le commesse di trasmissioni e cambi per auto per Fiat e General Motors non tirano più, e dal 2005 è partita la cassa integrazione. Si punta ora su un altro accordo di programma con la Regione Puglia, ma il nuovo cadeau dello Stato arriverà solo nel 2009. "Forse", dice un lavoratore, "sarà troppo tardi".


Motore di Stato
Se gran parte delle imprese del Sud sopravvive alla globalizzazione grazie soprattutto ai soldi pubblici, anche i colossi dell'industria - italiani e stranieri - continuano a beneficiare a piene mani dei finanziamenti dello Stato. L'imposizione fiscale alle aziende sarà anche tra le più alte del Continente, come lamenta Confindustria, ma la Commissione europea ha stabilito che, in termini di agevolazioni alle aziende, l'Italia è tra i paesi più generosi della Ue. Dietro a Germania (i tedeschi staccano tutti con 20,3 miliardi, dato che comprende anche i mutui da restituire) e la Francia (9,7 miliardi), ma davanti a tutti gli altri 25.

Nel dibattito sulla politica economica è difficile che gli industriali affrontino l'argomento, e Luca Cordero di Montezemolo non fa eccezione. Nell'assemblea di maggio il presidente non ha solo sciorinato i punti di un'agenda politica per la sua (presunta) discesa in campo, ma, con orgoglio, ha rivendicato i meriti delle aziende italiane, "vero motore" del mini boom del Pil dell'ultimo anno. "La ripresa economica è merito delle imprese, che hanno dato e continueranno a dare", ha chiosato, "ora le aziende possono chiedere al governo, alla politica e alle altre parti sociali di fare la loro parte per non vanificare gli sforzi fatti fin qui". Nell'arringa, che ricordava le stime sui costi della politica (4 miliardi di euro l'anno per stipendiare circa 180 mila persone), mancavano però i dati sulle imprese. O, meglio, su quanto il sostegno agli industriali pesa sui portafogli dei contribuenti. Il bistrattato Palazzo versa nelle casse degli imprenditori un pacco di soldi. Spesso aiutando imprese decotte che non creano né sviluppo né occupazione.

Secondo le ultime statistiche, il totale dei finanziamenti pubblici a fondo perduto per sostenere le industrie ammonta (anno 2005) acirca 5 miliardi di euro. Somma che sale a 6,4 miliardi, comprendendo gli aiuti pubblici da restituire a rate. Dal 1999 al 2005 le erogazioni (al netto dei prestiti e dei mutui) arrivano alla cifra monstre di 36 miliardi di euro. Più della Finanziaria 'lacrime e sangue' varata dal governo Prodi. Le tabelle sono state elaborate dalla società Met (Monitoraggio, economia e territorio), l'unico centro studi che ogni anno fa un rapporto completo sulle politiche industriali, elaborando dati del ministero dello Sviluppo economico, del ministero dell'Università e delle regioni.


Anche nel 2006, analizzando la Trimestrale dello scorso marzo messa a punto dal ministro dell'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, un fiume di denaro si è riversato sugli imprenditori. I contributi, considerando anche quelli per le Ferrovie e l'Anas, sfiorano gli 11 miliardi. Prendendo in esame gli ultimi due lustri, i numeri sono impressionanti: in pratica quasi un quarto delle imprese italiane che operano nel settore industriale ha preso agevolazioni pubbliche. Anche le imprese che operano nel commercio, nell'edilizia e nel turismo non fanno eccezione. Secondo i calcoli dei più pessimisti, come l'economista Francesco Giavazzi, gli aiuti valgono ancora di più, 30 miliardi, circa il 2 per cento del Pil. Ne beneficiano decine di migliaia di aziende, che hanno investito pochissimo in ricerca e sviluppo e moltissimo su operazioni a bassa produttività.

Colpa non solo delle imprese, spiega Raffaele Brancati, docente di politica industriale all'Università di Camerino e presidente del Met, "ma di un sistema che ha accumulato negli anni centinaia di leggi nazionali, regionali ed europee, un pacchetto completamente slegato dagli obiettivi necessari allo sviluppo. Il 60 per cento dei finanziamenti finisce in investimenti di massa sul territorio a basso impatto, mentre si danno pochi spiccioli alla nascita di soggetti innovativi, alla ricerca e alla crescita dimensionale. Per non parlare della riduzione dell'impatto ambientale".

Caos finanziamenti
La giungla delle leggi è, in effetti, spaventosa. Gli strumenti nazionali sono 39, quelli 'regionalizzati' 22. Per chiedere soldi alle regioni ci sono ben 153 modi diversi. Gli studi specializzati fanno affari d'oro, ma ormai il meccanismo è talmente complesso che persino gli esperti annaspano nelle carte bollate. "Da tre, quattro anni si è bloccato tutto", spiega Giovanni Farina, avvocato che ha creato una società di consulenza in grado di intercettare i contributi pubblici, "i tempi tecnici per ottenere i soldi sono diventati esasperanti, mentre i mezzi a disposizione stanno calando: sono stati riammessi dei progetti presentati nel 2002, ma alle aziende è stato chiesto di abbattere le richieste del 50 per cento".

Considerando le macrocategorie, le domande più gettonate riguardano le crisi aziendali, l'aumento della produzione, l'innovazione e la ricerca, la crescita dei sistemi locali, l'early stage e l'internazionalizzazione. Nell'ultimo decennio la parte del leone la fanno la legge 488, i contratti di programma e i patti territoriali. Che, dice il Met, costituiscono da soli il 71 per cento del totale erogato. Scorrendo i bandi delle Gazzette ufficiali, si trovano i nomi di migliaia di microaziende (nel Sud i finanziamenti finiscono soprattutto a loro), fino ai colossi multinazionali, che fanno incetta di miliardi soprattutto al Centronord, lasciando le briciole alle piccole imprese.

Si va dal milioncino di euro chiesto dalla calabrese Styl Moda Calze di Tiziana Bruno fino ai mega contratti firmati da Fiat (2 miliardi la richiesta di agevolazioni pubbliche per gli stabilimenti di Melfi e Cassino, ma da Torino si sottolinea che per il periodo 2002-2006 sono stati concessi solo 415 milioni), Eni (l'onere pubblico, alla firma del contratto, era di oltre 200 milioni di euro), Piaggio e Natuzzi (150 milioni). Nel labirinto della burocrazia, come racconta la cronaca,la truffa allo Stato è diventata la regola: l'aneddotica è infinita, i pm delle procure di mezza Italia hanno arrestato decine di imprenditori e aperto centinaia di fascicoli. Ora il ministro dello Sviluppo economico vuole correre ai ripari, e ha modificato la tipologia del bando della 488. "Combatteremo la piaga della consulenza fasulla o inadeguata", dice Paola Verdinelli de Cesare, direttore generale del Ministero: "Specie nel Sud ci sono stati, in passato, casi in cui dei professionisti scorretti hanno spinto imprenditori, magari sani, a intercettare i contributi e le agevolazioni presentando progetti destinati in partenza all'insuccesso. Le nuove modalità del bando hanno sicuramente migliorato la situazione anche sotto il profilo etico". Sarà. Ma quando lo Stato non recupera gli incentivi illegali (la Commissione ha portato nel 2006 l'Italia davanti alla Corte di giustizia del Lussemburgo per alcuni aiuti distribuiti grazie alla Tremonti bis) c'è poco da essere ottimisti.

Tasse e incentivi
Sergio Colaninno e Pasquale Pistorio
Gli stessi imprenditori chiedono revisioni immediate di un sistema che non funziona. "Siamo disponibili a scambiare qualunque agevolazione in cambio di minore pressione fiscale", sfida Montezemolo. Ma secondo gli osservatori i sussidi sono fondamentali, soprattutto per alcuni settori. Aeronautica ed edilizia in testa. Nel Mezzogiorno, poi, la fine delle agevolazione porterebbe migliaia di aziende all'immediata chiusura. Forse un male minore: il 40 per cento delle imprese che godono dei finanziamenti di Stato non fa investimenti, non fa ricerca e non crea nuova occupazione.

"Per questi soggetti non vedo perché il contribuente dovrebbe versare un solo euro. Io però", aggiunge Brancati, "credo che gli aiuti servano: la posizione iperliberista dei bocconiani è fantasiosa. Barattare le tasse con gli incentivi? Può convenire agli industriali, ma non certo alla collettività. Che perderebbe sia un gettito fiscale importante, sia la possibilità di orientare la politica industriale". Legge 488 e credito d'imposta vanno intanto modificati, "in modo da privilegiare progetti di sviluppo ad alto impatto". Se il futuro è incerto,la casistica del Ministero ricorda contratti disastrosi come quello del Gruppo Tessile Castrovillari (21 milioni di soldi pubblici in fumo, ritardi enormi nell'erogazione e 248 operai in casa integrazione) e del gigante delle fibre sintetiche Snia (oggi controllato anche da Montepaschi, dall'Hopa di Emilio Gnutti e da Abn Amro) che, ottenuti aiuti per 61 milioni di euro, invece dei 1.432 operai promessi alla stipula dell'accordo (1990) all'assetto finale ne contava solo 572. E se il consorzio Tarì Industriale sembra aver speso bene i 26 milioni per il nuovo centro orafo a Marcianise, i soldi dati alla Barilla per Foggia non hanno scongiurato la chiusura dello stabilimento di Matera, con 111 persone finite a spasso. "Lo spot dice che dove c'è Barilla c'è casa", ironizzavano le maestranze, "ora a casa ci andiamo davvero".
(07 giugno 2007)