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Somalia, terrorismo ultimo modello

di Matteo Fagotto - 08/06/2007

Al-Qaeda sbarca nel Corno d'Africa, svolta nel conflitto somalo
Attacchi suicidi, video di martiri postati su internet, appelli alla jihad e combattenti stranieri intercettati nel Corno d'Africa. Se l'anno scorso le voci di una presenza di al-Qaeda in Somalia sembravano paranoie statunitensi, i recenti sviluppi della guerra a Mogadiscio fanno pensare a uno spostamento del conflitto somalo verso una situazione stile Iraq o Afghanistan. Giovedì, gli Usa hanno annunciato di aver catturato uno dei maggiori leader di al-Qaeda nell'Africa orientale, e di averlo spedito a Guantanamo. Suo malgrado, Washington potrebbe aver aperto un terzo fronte nella lotta al terrorismo internazionale.

MogadiscioClan. “Siamo tutti scioccati per quello che sta succedendo – riferisce a PeaceReporter il giornalista somalo Abukar Albadri – perché gli attacchi suicidi o i video dei martiri lasciati su internet sono cose che in 16 anni di guerra non avevamo mai visto”. Finora, il sanguinoso conflitto somalo si limitava a una battaglia tra i due principali clan, i Darod e gli Hawiye, con questi ultimi impegnati a mantenere il controllo della capitale (che conquistarono nel 1991, all'indomani della caduta di Siad Barre e dell'inizio della guerra civile) e i primi dediti a manovrare le leve del potere con l'appoggio del presidente Abdullahi Yusuf e delle truppe etiopi. Un conflitto in cui gli appelli alla jihad contro gli occupanti cristiani, lanciati dai leader di al-Qaeda come Ayman al-Zawahiri, avevano avuto scarso séguito. Almeno fino allo scorso gennaio.

Milizie. Con la caduta delle Corti islamiche ad opera delle truppe somalo-etiopi, il quadro è decisamente cambiato. Se prima gli islamisti erano riusciti a soffocare le varie correnti interne al movimento, la sconfitta delle Corti ha permesso all'ala più oltranzista di organizzarsi in proprio. Lo Shabaab, la milizia di élite delle Corti, che lo scorso anno aveva conquistato Mogadiscio sconfiggendo l'alleanza dei signori della guerra supportati dagli Usa, si è frazionato in gruppi armati più piccoli, sensibili al richiamo della jihad. La caratteristica principale dello Shabaab era stata infatti quella di superare le differenze tra clan all'interno della società somala, per promuovere una forma di solidarietà tra i suoi membri basata sull'affiliazione religiosa.
Un principio che si è mantenuto anche nei nuovi gruppi armati suoi eredi: il Popular Resistance Movement in the Land of the Two Migrations, nato nel gennaio 2007, e lo Young Mujahideen Movement, responsabile dei principali attacchi delle ultime settimane.

Il premier somalo Mohammed Gedi esce dalla sua abitazione danneggiata dopo l'attentato suicidaAttacchi. “Continuo a pensare che l'instabilità somala non sia data dall'influenza degli islamisti – dichiara scettico a PeaceReporter Andrew McGregor, analista politico alla Aberfoyle International Security di Toronto – perché le milizie impegnate nella guerra hanno come primo interesse quello di assicurarsi il controllo del territorio, non certo quello di organizzare una crociata contro l'Occidente”.
E' però un dato di fatto che gli attacchi condotti dalle milizie islamiche stiano aumentando: a fine maggio, su internet è apparso il primo “video testamento” di un ragazzo somalo, che si sarebbe fatto esplodere nei mesi scorsi contro una base dell'esercito etiope a Mogadiscio; la scorsa settimana, forze Usa hanno compiuto raid missilistici nel nord del Paese, uccidendo, secondo il governo somalo, almeno otto guerriglieri islamici stranieri; sempre la scorsa settimana, un attentatore suicida si è schiantato contro la residenza del premier Mohammed Gedi, mentre lunedì le forze etiopi hanno reso noto di aver ucciso un attentatore prima che potesse farsi esplodere contro una loro base; giovedì, infine, gli Stati Uniti hanno catturato e mandato a Guantanamo Abdullahi Sudi Arale, un somalo ritenuto il corriere di al-Qaeda nel Corno d'Africa.

Alleanze. “All'inizio speravamo che questi guerriglieri venissero da fuori – confida deluso Albadri – ma purtroppo la stragrande maggioranza è somala. Anche se, la scorsa settimana, una fonte mi ha riferito di aver visto a Mogadiscio almeno quattro islamisti, fra cui alcuni bianchi, che non parlavano somalo”.
Finora, comunque, la presenza di jihadisti stranieri rimane trascurabile, anche perché, come sottolinea McGregor, “è vero che i nuovi gruppi armati potrebbero dare una dimensione diversa al conflitto somalo, ma è altrettanto vero che si dovrebbero integrare in una realtà complessa, fatta di clan e alleanze familiari, che non conoscono. Un compito non facile”.
Per ora, la strana convivenza tra gruppi islamici e milizie dei clan funziona, perché entrambe hanno l'obiettivo di scacciare gli etiopi e rovesciare il governo. Un'alleanza strategica che potrebbe dare non poco fastidio alle truppe somalo-etiopi, le quali non sono riuscite a mettere in sicurezza la città neanche dopo i feroci combattimenti dello scorso aprile, costati la vita ad almeno 1.300 persone.

Una nave da guerra Usa lancia missili contro il nord della SomaliaUsa. “Gli islamisti hanno buon gioco a fare proseliti adesso – prosegue Albadri – visto il modo in cui il governo sta gestendo la situazione. Non ci sono servizi, non c'è sicurezza. In un quadro del genere, è facile per loro porsi come dei crociati che si interessano alle sorti della gente, soprattutto nei riguardi dei giovani”. Una dinamica assente durante il regno delle Corti, che avevano portato una certa stabilità a Mogadiscio. La loro caduta, favorita anche dall'intervento degli Usa, ha aperto il vaso di Pandora.
“Sono stupito di quante risorse Washington abbia destinato alla questione somala – conclude McGregor –. Invece di dedicarsi a combattere il terrorismo nei suoi santuari, ha preferito agire in periferia. Sono azioni come i bombardamenti che, a gennaio, hanno fatto decine di vittime civili ad aver favorito la radicalizzazione della situazione. E' l'amministrazione Usa che sta spingendo perché la guerra somala diventi uno scontro tra Est e Ovest”.