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Vicenza: in segreto cominciano i lavori del nuovo comando americano

di Roberto Di Caro - 09/06/2007

Vicenza. Missione Camp Pluto  
 
    
Camp Pluto da google earthA Vicenza nasce la base delle polemiche: in segreto cominciano i lavori del nuovo comando americano. Che si allarga anche ai vecchi bunker delle armi atomiche.
 
A volte il passato ritorna. Non come memoria o incubo, ma nella concretissima forma di bombe, armamenti, siti, installazioni, reti e strutture per le nuove guerre del XXI secolo. Il caso Vicenza è questo. Basta guardare dall'alto con Google earth, disegnare la trama dei siti militari che tesse e circonda la città, leggere il contestato progetto per la nuova base nell'attuale area dell'aeroporto Dal Molin, i lavori ufficialmente di 'manutenzione straordinaria' nel Site Pluto che fino al '92 ospitava le testate atomiche americane, l'inizio di interventi in altri due siti e, aggiungiamo, la possibile estensione della base ben oltre l'attuale progetto: si capirà allora...
che il nuovo insediamento militare americano è il sistema della città e dell'immediato circondario, non un pur gigantesco ulteriore dormitorio per soldati di passaggio, come talora l'operazione viene contrabbandata.
 
Pluto, intanto. Altro che mistero militare: si sa benissimo come sono fatte le grotte che per ben 30 mila metri quadri a temperatura costante di 12 s'inoltrano sotto le alture tra Longare e Costozza, un quarto d'ora a sud di Vicenza: lo si sa addirittura dal 1759, quando il 'pubblico perito' Giovanni Domenico Dell'Acqua ne tracciò la prima dettagliata mappa. Durante la Seconda guerra mondiale il regime e poi i tedeschi ci piazzarono una fabbrica di motori Alfa Romeo: ci lavoravano ben 3 mila operai. Dal 1954, però, l'accesso è interdetto: da quando cioè quel dedalo protetto dalla roccia divenne deposito delle atomiche americane, chiamato Pluto con un rimando a Plutone dio degli inferi e un altro al plutonio.
 
Chiuso con tanto di cerimonia il 26 marzo '92, in realtà un paio di mesi dopo e con il fondato sospetto che vi si fosse verificato un incidente con fuga di radiazioni, non è mai stato restituito all'Italia, che del resto non l'ha mai chiesto indietro. Ma oggi dalle case attaccate all'ingresso vedi che la collina è sbancata in tre punti. Da sette mesi è ripreso un viavai di camion. "Semplice manutenzione straordinaria: il rifacimento della rete idrica e del manto stradale dei percorsi interni alle grotte", minimizza uno dei responsabili tecnici con gli americani del Comando Setaf, South european task force alla base Usa.
 
Gli autisti delle ditte si inoltrano solo per un breve tratto, poi consegnano i mezzi agli americani che glieli riaffidano carichi più tardi. Cosa portano fuori? "Pietre, nei primi tempi. Poi una terra nera che nell'area non risulta esserci, e che si trova invece nella zona semipaludosa delle torbiere presso il lago Fimon, distante sui tre chilometri: proprio dove c'è un secondo sito militare, quello di Tormeno o di Fontega, il che accredita l'esistenza di un collegamento tra i due siti", sostiene Angelo Azzalini, nel pool dei tecnici che lavora con il presidio No Dal Molin, gli oppositori della base. Come dire che i lavori hanno ben altra rilevanza che cambiare qualche tubo.
 
Cosa c'è oggi a Tormeno, dietro il cartello del 191 Ordinance batallion ammunition supply che ai tempi delle atomiche doveva intervenire in caso di emergenza o incidenti? Nove grandi bunker numerati da 11 a 19. Piccoli cumuli di terra che nei mesi scorsi sono cresciuti e calati, segno di lavori. All'esterno, cartelli rossi e recenti indicano un ossigenodotto a 2,5 metri di profondità. "Semplici depositi per munizioni di armi leggere", rispondono i tecnici con il Comando Setaf: "I lavori? Stiamo solo riparando un paio di tetti".
 
Il terzo sito è quello di San Rocco. Sta sulla stessa collina di Pluto. Vi erano installati i missili antiaerei Nike in dotazione all'Aeronautica militare italiana, era gestito congiuntamente da italiani e americani, da anni è abbandonato e invaso da erbacce. Ma allora quale preoccupazione estetica avrà indotto a rifare la recinzione e ripristinare l'illuminazione di un luogo del genere, nei mesi scorsi, proprio quando la nostra Aeronautica ne annunciava ufficialmente la chiusura?
 
Ci sono altri pezzi del mosaico. Incluso un supplemento sull'area del Dal Molin che da un lato potrebbe quasi raddoppiare il progetto, dall'altro ne spiegherebbe alcune, almeno all'apparenza, incomprensibili leggerezze.
 
Il sì del Comune di Vicenza, formalizzato con un ordine del giorno del 26 ottobre, è subordinato a cinque condizioni: una è il mantenimento dell'aeroporto civile nell'altra metà dell'area del Dal Molin. Ma è credibile che il Piper o il Cessna di un qualunque espositore alla Fiera di Vicenza o di un ricco turista venga tranquillamente lasciato atterrare sulla testa del Comando Setaf? A 135 metri (tanto disterà la pista) dal cuore strategico della risposta bellica di pronto intervento americano sullo scacchiere mediorientale, base della 173 Brigata aerotrasportata attualmente in Afghanistan? Suona bizzarro. Ma siccome con le deduzioni ci si può anche ingannare, vediamo i disegni.
 
Lo ha fatto Guglielmo Verneau, ingegnere, per una vita al vertice di grandi società italiane e straniere e ora coordinatore del pool di tecnici del presidio No Dal Molin. "Guardi questa dicitura", dice dispiegando il tracciato del cavidotto per fibre ottiche che la municipalizzata Aim ha appena interrato lungo strada Sant'Antonino fino a quello che sarà il nuovo ingresso dell'aeroporto: "C'è scritto 'indirizzare verso il Dial Center Office lato ovest'. Lato ovest? Ma è quello che dovrebbe restare italiano e civile!". Gli americani pensano di prendersi anche l'altra metà dell'area? "Al momento la richiesta è solo per quei 1.300 metri per 250-300 cui si riferisce il progetto", risponde il tecnico per Setaf, "in seguito, tutto si può ipotizzare". Bene, le ipotesi si fanno sui dati concreti. L'Aeronautica militare, che gestisce l'impianto, parte civile inclusa, lo giudica ormai inutile e andrà via al più tardi nel 2008.
 
La società Aeroporti vicentini è sempre in rosso: voliamo, voleremo, è il ritornello, ma di aerei neanche l'ombra. Si comincia a parlare di fallimento. Se a quel punto gli americani installati in metà Dal Molin chiedessero di rilevare anche l'altra inutile metà, chi troverebbe più qualcosa da obiettare? Piccola postilla di Verneau sulla base dell'esame del progetto della nuova base pubblicato nel numero di gennaio 2007 di 'Public works digest', rivista Usa di architettura e ingegneria: "In ciascuno dei quattro edifici che ospiteranno i comandi di batteria sono disegnati cinque magazzini indicati in italiano come 'depositi biologici'. Nel testo inglese, però, si legge: 'Nbc storage'. Nbc è la sigla di nuclear batteriological chemical". Megalomania delle abbreviazioni americane? O c'è altro? Non è dato saperlo.
 
La vista dall'alto del Dal MolinChe succederà ora è tutto da vedere. Gli stessi Comitati antibase sono divisi. "Un pool di avvocati sta preparando il ricorso contro il decreto che darà il via ai lavori", annuncia Giancarlo Albera, dei tre comitati più vicini ai partiti, alla sinistra Ds che parla contro la base. Altra musica da Cinzia Bottene, leader dei sei comitati apartitici del Presidio, i più determinati a giocare la partita anche in termini di guerra psicologica, rendendo così complicato il procedere dei lavori da spingere gli americani a desistere: "In 200, per metà donne, abbiamo seguito un corso di resistenza passiva tenuto da sei esperti, alcuni di Greenpeace: far barriera, opporsi allo spostamento forzato senza farsi troppo male, entrare in uno spazio chiuso e impedire che altri vi entrino, e poi motivazione, coinvolgimento, fiducia nel gruppo. Stiamo preparando il secondo ciclo di esercitazioni".
 
Qualcosa devono avere imparato, se ai primi di aprile durante una manifestazione cinque di loro, vestiti di bianco e protetti dagli altri,hanno tagliato e cementato il nuovo cavidotto di fronte al Dal Molin senza che la polizia avesse il tempo di accorgersene. "Abbiamo solo ripristinato la legalità: l'intero scavo era privo di concessione del Comune, come il comando della polizia locale ha notificato", sorride sventolando il relativo verbale. Poi Bottene e altre due sono andate a Washington ospiti delle pacifiste di Code Pink, dove hanno incontrato alcuni membri delle commissioni del Congresso Esercito e Aviazione e Personale sentendosi dire un paio di cose abbastanza stupefacenti: "Primo: 'Fu proprio il vostro governo a offrirci il Dal Molin, sei o sette anni fa': purtroppo in quel lasso di tempo si succedettero Amato, D'Alema e Berlusconi, stiamo cercando di farci dire una data precisa. Secondo: 'Non ci risulta alcuna offerta alternativa da parte del governo italiano, in particolare quella della dismessa base di Casarsa a soli 30 chilometri da Aviano', dove sarebbero d'accordo anche sindaco e popolazione: il ministro D'Alema ha detto invece a fine gennaio che l'offerta era stata fatta, ma declinata dagli americani". Ma a Casarsa ci sarebbe solo lo spazio per la base. Niente Pluto, niente grotte, niente rete di siti. In una parola: niente città-caserma.
 
 
 
Qui (PDF) il dossier su Site Pluto del comitato "No Dal Molin" (per scaricare, click col tasto destro del mouse e "salva..."  )